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farine senza glutine – Quali sono?

Esiste una grande confusione in merito alle farine senza glutine permesse in una dieta gluten free.

Noi abbiamo individuato dodici farine alternative ottime per dolci, pane e pizza!

Attraverso un’attenta analisi possiamo dimostrare come esistono sostanziali confusioni in merito, che spingono il consumatore bisognoso verso acquisti onerosi e sbagliati.

Qui di seguito vi mostriamo un elenco di farine gluten free sicure al 100% e di seguito la lista delle farine proibite. Vi accorgerete come farine largamente impiegate e consigliate come la farina di kamut siano in verità inadatte poichè certamente glutinose anche se a basso contenuto, mentre farine oggi in disuso come quella di castagne o di ceci o di grano saraceno possono èssere dei validi sostituti alle farine da frumento.

Ricordate sempre che anche le farine naturalmente senza glutine possono essere soggette al rischio di contaminazione incrociata durante la lavorazione e il confezionamento: assicuratevi quindi che sul sacchetto o la scatola vi sia il simbolo della spiga barrata o il claim “senza glutine”!

FARINE SENZA GLUTINE OTTENUTE DA CEREALI

Farina di mais: farina ottenuta dalla macinazione del chicco del granturco, in Italia conosciuta soprattutto per la preparazione tradizionale della polenta. Dal sapore dolce e rustico, si trova in tante varietà (bramata, fioretto, mais bianco, ecc), dona friabilità agli impasti ed è ottima miscelata ad altre farine gluten free per preparare pani, pizze e dolci.

Farina di miglio: risultato della macinazione di diverse varietà dei chicchi di questa pianta, classificata come cereale minore. Questa farina è molto ricca di vitamina A e B, ha un sapore delicato e viene utilizzata nei dolci umidi come il banana bread, nelle ricette di crespelle e pancakes e nelle ricette di pane, nelle quali può sostituire fino a un terzo (ma non oltre) della quantità totale di farina.

Si trova in due varietà: di miglio dorato (colore chiaro) e di miglio selvatico (colore bruno).

Farina di riso: insieme a quella di mais, è la farina gluten free più conosciuta e utilizzata. In commercio si trova bianca e integrale, e a grana più o meno fina in base al tipo di macinatura. Praticamente perfetta per tutte le ricette senza glutine, dalla pasta e la pizza fatta in casa, ai biscotti, ai dolci soffici, si utilizza molto anche per pastelle e zuppe.

Farina si sorgo: è conosciuta anche con il nome di “farina di durra”. Si ottiene dai semi della pannocchia del sorgo (soprattutto il sorgo bianco), pianta di origine africana che lentamente stiamo riscoprendo anche qui. Questa farina è leggera e delicata, è ricca di vitamine, sali minerali e fibre e ha un sapore tendenzialmente neutro: per questo, si può usare in ricette dolci e salate, anche in purezza.

Farina di teff: la farina che se ne ricava è sempre integrale, perché si ottiene da un chicco di dimensioni microscopiche, dal quale è ovviamente impossibile separare la crusca dalla parte interna. Il suo sapore, tendenzialmente dolce, è quindi sempre molto ricco, tostato e pieno, e si sfrutta nelle ricette di frolle e paste brisée, biscotti, pancakes e pane senza glutine, in cui può sostituire fino al 25% della farina totale.

FARINE SENZA GLUTINE OTTENUTE DA PSEUDOCEREALI

Farina di amaranto: ottenuta dai piccolissimi semi dell’Amaranto, pianta di origine centro americana, è ricchissima di aminoacidi essenziali tra cui spicca la lisina, che non si trova negli altri cereali.

È una farina dal sapore deciso, quasi tostato, che ricorda il sapore della frutta secca e del malto. È ottima insieme alla farina di riso o alla farina di quinoa, e va miscelata con accortezza negli impasti di pane e pizza.

Farina di canapa sativa: dalle sorprendenti proprietà nutritive, è stata riscoperta da poco soprattutto dalla cucina creativa. Si ottiene dalla Cannabis sativa (priva di sostanze psicotrope), ha un retrogusto nocciolato buono che, mescolato con altre farine dà risultati sorprendenti nei dolci, nei primi e nei pani. La farina inoltre, essendo molto proteica, viene consigliata nelle diete sportive: si può aggiungere ai frullati, nelle salse, nei gelati o si assume sciolta in acqua.

Farina di grano saraceno: a dispetto del nome, questa farina non si ottiene da un cereale, men che meno dal grano, ma da una pianta della famiglia del rabarbaro! Già conosciuta in molte ricette italiane e no (la farina di grano saraceno infatti si utilizza per preparare i pizzoccheri valtellinesi, i blinis, i soba noodles), si può utilizzare in generale per preparare pasta fresca e ricette di pane (miscelata con altre farine gluten free), crespelle e dolci. Ha un gusto marcato, deciso, quasi tostato e vagamente amarognolo.

Farina di quinoa: da usare in purezza o con altre farine, è un ingrediente molto versatile, ricco di proteine e dall’indice glicemico basso. Ha un gusto particolare (ricorda quello dei legumi), e in commercio si trova anche nella versione tostata. Si utilizza principalmente nelle ricette salate ed è perfetta per i pani.

FARINE SENZA GLUTINE OTTENUTE DA LEGUMI E FRUTTA SECCA

Farina di ceci: da sempre molto amata nella cucina tradizionale del nostro paese, è anche ricca di nutrienti perché mantiene quasi intatti quelli del legume dal quale si ricava. Ricchissima di fibre, ha un sapore dolciastro che però si abbina bene al salato: per questo si utilizza per preparare farinate e panelle, polpette, frittate veg, tortini, e per addensare salse e sughi. Ottima anche per rosolare e friggere, si può tostare in forno per mitigare il sentore di legumi e denaturarne le proteine.

Farina di lupini: ottenuta da questo legume considerato “povero” ma in realtà uno dei più ricchi di proteine (38 g per 100 g di prodotto, quantità paragonabile a quella della carne e superiore a quella delle uova), si utilizza soprattutto nelle ricette dei prodotti da forno sia dolci sia salati.

Farina di mandorle: ottenuta dalla macinatura dei semi contenuti nei frutti del mandorlo, è povera di carboidrati, ricca di vitamine E e di grassi monoinsaturi, dal basso indice glicemico ma dalle calorie elevate. Dal sapore dolce e pieno, si utilizza soprattutto nei dolci. La farina di mandorle si può macinare molto facilmente a casa: basta macinare le mandorle (sgusciate o no) in un mixer con lame affilate per chicchi di caffè e frutta secca, senza eccedere nei tempi perché si otterrebbe una “crema” pastosa.

Farina di castagne: Esperti di castagne ritengono questo frutto ideale per chi è celiaco, poichè prive del tutto di glutine e possono essere mangiate anche dai bambini intolleranti al lattosio. E’ possibile anche usare la farina di castagna, anch’essa completamente priva di glutine e ottima per ricette gustose per tutti. Questo tipo di farina si può anche preparare in casa, ma in caso contrario assicuratevi di acquistare la farina di castagne pure leggendo attentamente sulla confezione che non siano stati utilizzati altri farinacei per la produzione, in quel caso meglio desistere, anche se la denominazione farina di castagne pura dovrebbe essere composta da sole castagne essiccate e poi macinate.

Le proprietà benefiche delle castagne

Le castagne sono utilissime per la salute e anche se dopo averne mangiata qualcuna si prova un gran senso di sazietà, queste contengono meno calorie delle noci e dei semi anche se il loro apporto calorico cambia a seconda di come vengono mangiate.

Se vengono arrostite contengono 190 calorie per 100 grammi, se bollite 120 e se invece mangiate secche beh in quel caso le calorie diventano 300.

Le castagne sono ricche di sali minerali tra i quali spiccano: potassio, fosforo, zolfo, magnesio, calcio e ferro, contengono amido e fibre ed in più sono una ricchissima fonte di Vitamina C.

Questo frutto oltre ad essere adatto per i celiachi viene introdotto nella dieta degli sportivi, grazie alle sue proprietà nutrizionali e sono ottime per ridare energia a chi si sente spossato e stanco. Sono tantissimi dunque i benefici di questi frutti, che possono essere mangiati come spuntino lontano dai pasti o anche attraverso ricette gustose, il tutto senza mai esagerare.

Le controindicazioni delle castagne

Le castagne hanno un alto indice glicemico e per questo non sono adatte per i diabetici, in più vanno mangiate nelle porzioni giuste soprattutto se secche, perchè in quel caso contenendo 300 calorie per 100 grammi possono far aumentare di peso. Questa è comunque la regola basilare per tutti gli alimenti e cioè mai superare la soglia della decenza quando si mangia, perchè anche il più salutare dei cibi può comportare l’aumento di peso

FARINE PROIBITE: LE PIÙ COMUNI CONTENENTI GLUTINE

Farina di frumento: tutte le farine di frumenti (tenero, duro, 0, 00, 1, ecc) contengono glutine e vanno evitate.

Farina di farro: spesso proposta erroneamente tra le scelte gluten free, il farro contiene glutine esattamente come il frumento. Va evitato come farina e come cereale intero: fate quindi particolarmente attenzione a zuppe “dell’orto”, minestroni arricchiti e insalate fredde di cereali, dove è spesso presente.

Farina di kamut: con il nome commerciale di “Kamut” si intende il Triticum khorasan, un frumento di origini orientali, ma appunto frumento, e quindi certamente glutinoso. Attenzione quindi alle ricette che prevedono kamut e soprattutto ai prodotti “di Kamut”, come cracker, pizze e pane.

Farina di segale: non comune come le altre, anzi, abbastanza difficile da trovare nei supermercati, contiene glutine e quindi va esclusa dalla dieta gluten free. Si trova soprattutto nei pani scuri, molto utilizzati nell’Europa del Nord e a volte aggiunta ai panificati “rustici” e integrali.

Castagne – frutti d’ autunno

Con l’arrivo dell’autunno un frutto che non può mancare nelle nostre tavole è la castagna soprattutto per le sue molteplici proprietà benefiche.

Il periodo delle castagne va da ottobre inoltrato a tutto novembre. Le castagne sono un frutto molto prezioso, sia per la bellezza degli alberi, che appartengono alla famiglia delle fagaceae e sono molto diffusi nell’Europa meridionale e in particolare in Italia, sia per le loro proprietà e qualità. Dentro una buccia marrone, grande e resistente, c’è una polpa che ha straordinarie caratteristiche energetiche e nutritive.

Nella stagione autunnale l’albero selvatico Castanea sativa fruttifica quelle che noi tutti chiamiamo castagna che va distinta dal “marrone”, risultato finale di una serie  di innesti e potature.

una vera e propria coltivazione specifica, mentre infatti le castagne sono più piccole, hanno una forma schiacciata e un colore scuro, i marroni sono più grandi, hanno una forma tondeggiante e un colore più chiaro. Inoltre, rispetto alle castagne, hanno un sapore più dolce e una maggiore croccantezza.

Tradizionalmente la cultura contadina insegna che le castagne possono sostituirsi a una fonte di carboidrati. Non è un caso infatti che Un tempo erano considerate “il pane dei poveri” Adesso sono utilizzate in tanti piatti della nostra cucina, dall’antipasto al dolce.

Le castagne sono un frutto molto prezioso, sia per la bellezza degli alberi, che appartengono alla famiglia delle fagaceae e sono molto diffusi nell’Europa meridionale e in particolare in Italia, sia per le loro proprietà e qualità. Dentro una buccia marrone, grande e resistente, c’è una polpa che ha straordinarie caratteristiche energetiche e nutritive. Il valore nutrizionale  di una castagna è paragonabile a quello del pane integrale, le castagne associano anche sali minerali importanti come fosforo e potassio, vitamine B2 e PP fondamentali per la salute dei tessuti, una buona percentuale di fibre e acido folico, una vitamina in grado di prevenire alcune malformazioni nel feto, motivo per cui le castagne sono un alimento da non trascurare durante la gravidanza e soprattutto tanti carboidrati complessi che le rendono una fonte di energia per l’intero organismo. Tuttavia, è proprio l’alta percentuale di carboidrati che rende le castagne un alimento abbastanza calorico da gustare con moderazione.

Dalla preziosa polpa di questo frutto si ricavava la farina di castagna, per una serie di applicazioni, dal pane ad alcuni piatti. Oggi la farina di castagna di fatto non è più diffusa come un tempo, ma l’uso delle castagne in cucina si è molto ampliato, coprendo tutti i piatti, dall’antipasto al dolce.

Venendo alle proprietà delle castagne, prima di esaminarle più da vicino, c’è da tenere presente, per dare un’idea della ricchezza di questo frutto, che appena 100 grammi di castagne ci regalano il 9 per cento del ferro del quale abbiamo bisogno, il 10 per cento del potassio e il 14 per cento del magnesio. Un tesoro. Da qui le qualità della castagna come rimedio naturale per i problemi intestinali, per rafforzare le ossa e i muscoli, per migliorare la circolazione. Una vera e propria miniera di sostanze benefiche quindi. È per tutte queste buone qualità che questo alimento di stagione dovrebbe essere presente sulle nostre tavole almeno tre volte a settimana, soprattutto nei periodi di stress e stanchezza. Mangiare le castagne può rivelarsi infatti un rimedio naturale utile nei casi di inappetenza o in quelli in cui si richiede un’alimentazione ricostituente. Senza contare che il loro potere energetico le rende perfette per chi pratica sport o svolge lavori particolarmente faticosi.

Se consumate in quantità adeguate, tutti possono consumare le castagne regolarmente.
Ad esempio, non vi è correlazione tra castagne e diabete, quindi, anche chi è affetto da diabete può inserirle nella propria dieta bilanciando al meglio il pasto con l’aggiunta di proteine e grassi.

In caso di allergia o particolari condizioni di salute è sempre consigliato chiedere il parere del medico.

UN ANNO DA DIMENTICARE per gli olivicoltori

di Placido Salamone

Sappiamo darci una motivazione per la bassa produzione annuale in olivicoltura nel nostro territorio? Di regola ad un elevata produzione nell’anno precedente, che in olivicoltura definiamo come un anno di carica si alterna un anno di scarica come quello attuale. L’alternanza di produzione nell’olivo, cioè la tendenza a produrre un raccolto abbondante in un anno e scarso nell’anno successivo, è un fenomeno che si presenta soprattutto negli oliveti abbandonati ma che può insediarsi e persistere anche in oliveti coltivati. L’alternanza di produzione può manifestarsi a diversi livelli di scala. Si passa da pochi alberi in un oliveto ad un intero comprensorio olivicolo, con effetti anche considerevoli sui dati produttivi di intere regioni. I fattori che innescano e perpetuano l’alternanza di produzione nell’olivo sono di due tipi: fattori esogeni ed endogeni. Tra i fattori esogeni troviamo le condizioni climatiche e gli interventi agronomici effettuati dall’uomo. Condizioni climatiche avverse, come ad esempio gelate tardive, eccessiva piovosità o condizioni di siccità durante il periodo di fioritura, possono danneggiare i fiori e ridurre notevolmente la mobilità del polline, comportando quindi una drastica riduzione della produzione dell’anno. D’altro canto, alcune pratiche colturali, quali l’irrigazione, la concimazione e la potatura, se condotte in maniera non appropriata, possono creare le condizioni favorevoli per l’innesco e il perpetuarsi dell’alternanza. I fattori endogeni che determinano l’alternanza di produzione nell’olivo sono invece riconducibili ai fenomeni di competizione idrico-nutrizionale e ai meccanismi ormonali implicati nell’induzione delle gemme a fiore durante le fasi di fioritura e primo sviluppo del frutto. In questo periodo, infatti, nell’olivo sono contemporaneamente in atto tre importanti processi: la fioritura/allegagione, lo sviluppo dei nuovi germogli e l’induzione delle gemme a fiore. La fioritura e i frutticini appena formati esercitano un forte richiamo per l’acqua e gli elementi nutritivi che, quindi, saranno disponibili in minor misura per gli altri processi. Questo comporta che in condizioni di abbondante fioritura e allegagione l’accrescimento vegetativo potrebbe risultare stentato, con conseguenze negative sulla produzione dell’anno successivo. Infatti, poichè il nuovo germoglio in accrescimento rappresenta la porzione di ramo che fruttificherà l’anno seguente, il suo ridotto allungamento implicherà una minore quantità di siti potenziali per la fruttificazione. L’altro fattore endogeno implicato nell’alternanza di produzione è legato ai meccanismi ormonali. È stato visto che i frutti in fase di sviluppo sembrano ridurre la fioritura attraverso un messaggio inibitorio rilasciato dal seme durante il periodo di induzione delle gemme a fiore. Quindi, la presenza di una abbondante fruttificazione sulla chioma comporterà una minore differenziazione delle gemme a frutto e, quindi, una minore produzione di olive nell’anno successivo.

Come accennato precedentemente, le tecniche colturali utilizzate possono incidere marcatamente sul fenomeno dell’alternanza. A tal proposito, è fondamentale che tutti gli interventi colturali vengano misurati e applicati in maniera tale da contenere il fenomeno. Infatti, operazioni colturali quali l’irrigazione, la concimazione e la potatura possono attenuare o accentuare l’alternanza in base alle modalità di esecuzione. Ad esempio, una corretta gestione dell’irrigazione durante il periodo di fioritura e primo sviluppo del frutto favorisce l’accrescimento della drupa e contemporaneamente supporta il corretto sviluppo del germoglio, anche in condizioni di bassa umidità nel suolo e/o elevata carica produttiva. Allo stesso modo, un adeguato apporto di elementi nutritivi è importante per non alterare l’equilibrio vegeto-produttivo dell’albero ed assicurare produzioni costanti nel tempo. A tal proposito è bene ricordare che dopo un’annata di carica le concimazioni azotate andrebbero limitate in quanto potrebbero indurre un eccessivo sviluppo vegetativo a scapito della produzione e, quindi, un ampliamento dell’alternanza. Infine, per quanto riguarda la potatura è stato visto che il fattore più importante risulta essere l’intensità dell’intervento. Prima di iniziare con la potatura è bene tener conto dei risultati produttivi dell’anno precedente. Dopo un’annata di bassa produzione è consigliabile effettuare una potatura più energica, magari effettuando anche i tagli “lasciati in sospeso” l’anno precedente, in modo da stimolare l’attività vegetativa che altrimenti verrebbe limitata dalla presenza di un elevato carico di frutti sulla chioma. Al contrario, dopo un’annata di carica è bene ridurre l’intensità della potatura effettuando solo i tagli “indispensabili”, in quanto una potatura severa potrebbe stimolare ulteriormente l’attività vegetativa a scapito della produzione dell’anno. Studi effettuati in alcuni Paesi mediterranei hanno mostrato una stretta correlazione tra la produzione annuale di polline e la resa in olive attraverso il campionamento nell’aria di granuli di polline di olivo in aree olivetate. La grande produzione di polline dell’olivo è una conseguenza dell’elevato numero di fiori presenti, soprattutto nelle annate di carica (elevata produzione di olive). L’olivo presenta una grande percentuale di fiori ermafroditi ma fisiologicamente maschili a causa della sterilità morfologica, nota come “aborto del pistillo”, dovuta a vari fattori (genetici, nutrizionali, ambientali, etc.). I fiori fisiologicamente maschili differiscono da quelli ermafroditi esclusivamente per la parziale o totale necrosi del pistillo mentre non sembrano esserci differenze per la produzione dei granuli pollinici, da parte delle antere, tra le due tipologie fiorali. Nonostante le migliaia di infiorescenze presenti sul singolo albero ed i milioni di granuli pollinici prodotti, l’allegagione nell’olivo è generalmente pari all’1-5%. La vitalità dei granuli pollinici può essere controllata mediante varie tecniche quali i coloranti citoplasmatici, le reazioni enzimatiche e la germinazione su substrati idonei. Studi per valutare la vitalità del polline di cultivar di olivo sono alquanto limitati, ed ancor più scarse sono le informazioni relative alla qualità del polline misurata con le diverse tecniche in annate di carica e scarica.

La Malva

La malva, presente con i suoi fiori “rosa malva” lungo i bordi delle strade, sui cigli dei fossi e nei campi e giardini di tutta l’Italia è una pianta ricchissima di proprietà preziose per l’organismo umano. Oltre ad acido clorogenico, acido caffeico e potassio, la malva è ricca di mucillagini. Le mucillagini contenute nella malva, fanno in modo che, bevendone una tisana, l’intestino si gonfi, si ammorbidisca e venga stimolata la contrazione e agevolato lo svuotamento. La sua capacità lenitiva che agisce sulle mucose del corpo è davvero evidente, ecco dove la malva “ammorbidisce”.

L’uso della malva è infatti particolarmente indicato se una persona soffre di stitichezza cronica: assumere una tisana alla malva equivale ad assumere un blando lassativo naturale, non irritante e non violento anche in dosi elevate, per questo viene consigliata anche a bambini o anziani.

La malva ha anche ottime proprietà antinfiammatorie, sia per la gola e per le prime vie respiratorie, con un buon effetto antitosse, espettorante e decongestionante, che per le irritazioni dell’ano e del retto, come le emorroidi.

Studi recenti stanno dimostrando le elevate proprietà della malva anche come rigenerante cellulare: una tisana alla malva al giorno stimola il corpo a produrre cellule nuove, contrastando il formarsi di quelle cattive o tumorali. Oltre che per fare la tisana, le foglie della malva si possono utilizzare per impacchi esterni o lavande vaginali.

Una buona tisana alla malva

Se avete la fortuna di abitare in campagna, o durante una scampagnata domenicale, non dimenticatevi di raccogliere qualche foglia di malva per preparare la vostra tisana. I fiori e le foglie della malva che si raccolgono, si fanno seccare e si mettono in vasetti di vetro per la conservazione.

Prima di tutto vediamo come preparare la tisana base, poi impareremo a realizzare le 5 tisane fai da te combinando la malva con altre piante officinali per la salute e il benessere del nostro organismo. Come preparare la tisana con sola malva Realizzare la tisana alla malva base, senza l’aggiunta di altre erbe, è semplice: vi basta acquistare in erboristeria le foglie e i fiori essiccati della pianta oppure le bustine già preconfezionate, meglio se biologiche. Partendo dalle foglie e dai fiori essiccati, è necessario fare attenzione alle dosi di malva che userete per preparare il prodotto. Una tisana alla malva si prepara aggiungendo due cucchiaini di pianta essiccata a circa 200 ml di acqua bollente. Si lascia in infusione per 10 o 15 minuti, si filtra il tutto con un colino e la tisana è pronta per essere gustata, aggiungendo, se lo ritenete necessario, qualche dolcificante naturale o del succo di limone.

1) Tisana alla malva e camomilla per l’intestino Una o più tazze al giorno di infuso di camomilla e malva è un rimedio naturale molto efficace per proteggere lo stomaco, in caso di gastrite e dolori. Miscelate 30 gr di capolini di camomilla dalle proprietà antispasmodiche, a 30 gr di foglie di malva, che dall’azione calmante e antinfiammatoria. Fate bollire 250 ml di acqua, aggiungete un cucchiaio di miscela di erbe, coprite e lasciate in infusione per circa 10 minuti. Filtrate con un colino e trasferite il liquido in una tazza. La tisana è pronta per essere consumata, preferibilmente dopo i pasti.

2) Tisana contro la cistite alla malva e calendula La calendula è un’erba dalle proprietà antimicrobiche molto efficace che va compensata con l’azione antinfiammatoria e lenitiva della malva. Serviranno: 40 gr di fiori e foglie essiccati di malva e 20 gr fiori di calendula. Prendete le erbe curative e miscelatele insieme fino ad ottenere un composto omogeneo. A questo punto, portate ad ebollizione circa 250 ml di acqua in un pentolino e versate due cucchiaini di questo mix di calendula e malva. Lasciate in infusione almeno 10 minuti, filtrate e bevete nel corso della giornata come aiuto nanturale in caso di cistite.

3) Tisana rilassante alla melissa e malva Questa tisana fai da te rilassante unisce le proprietà calmanti e sedative della melissa, che dona alla tisana un buon sapore, alle proprietà rilassanti della malva. Per realizzare questa tisana alla malva e melissa miscelate 30 gr di foglie e fiori essiccati e sminuzzati di malva a 30 gr di foglie essiccate e tagliate a piccoli pezzetti di melissa, portate ad ebollizione 250 ml di acqua in un pentolino e versate due cucchiaini di miscela, coprite e lasciate in infusione per 10 minuti. Infine filtrate il liquido e bevete questa tisana la sera prima di coricarvi a letto.

4) Tisana alla malva e menta per la gola L’infuso alla menta e malva è un valido aiuto per alleviare in breve tempo i sintomi legati al mal di gola. Questo infuso svolge anche un’azione tonificante sul nostro corpo, perché la menta agisce sul sistema nervoso centrale. Si sconsiglia di consumare la tisana moderatamente, in quanto la menta, essendo un ingrediente stimolante per il sistema nervoso centrale, potrebbe causare insonnia. Per preparare questa tisana antinfiammatoria miscelate 30 gr di foglie e fiori essiccati di malva a 10 gr di foglie fresche o essiccate di menta. Si portano ad ebollizione 250 ml d’acqua, si spegne il fuoco, si versa l’acqua direttamente su due cucchiaini di miscela precedentemente posizionati sul fondo della tazza. Si copre lasciando in infusione per 10 minuti. Si procede poi filtrando con un colino e l’infuso è pronto. Se lo desiderate potete aggiuingere anche un cucchiaino di miele, per un effetto emolliente sulla gola.

5 )Tisana depurativa al finocchio e malva Per le sue proprietà depurative, digestive e drenanti, il finocchio aiuta ad eliminare i liquidi in eccesso e libera il corpo dalle tossine. Unendo il finocchio alla malva, questa tisana avrà anche un effetto calmante ed emolliente e sarà molto utile per il benessere intestinale. Portate ad ebollizione 200 ml d’acqua in un pentolino, spegnete il fuoco, versate nell’acqua un cucchiaino di semi, foglie o radici di finocchio e un cucchiaino di foglie e fiori essiccati di malva sminuzzati. Coprite e lasciate in infusione per circa 10 minuti. Filtrate il liquido con un colino e la tisana è pronta per essere consumata. Si consiglia di consumarla dopo i pasti o nel corso della giornata.


London Food Guide

Cosa conoscete di Londra? Della tradizionale cucina anglosassone? come giudicano i londinesi la cucina italiana?

Insieme ad Alberto Zingales, la Torre del Gusto vi porta in giro per la capitale del Regno Unito per  scoprire le nuove tendenze nel cibo e illustrarvi  come gli inglesi apprezzano il made in Italy quando è veramente di qualità.

Buona Visione!!!

Il Battello del Brenta

 

Il diario di  viaggio da Venezia a Padova

Continuiamo il nostro itinerario alla scoperta del Veneto attraverso un suggestivo itinerario  nella rinomata riviera del Brenta. Partiti da Venezia, percorrendo con un battello un tratto delle riviera andiamo alla scoperta delle bellissime ville settecentesche del Veneto. Un fiume d’arte tra la magia del classicismo e la sintonia tra architettura, arte e paesaggio.

Andrea Palladio, Vincenzo Scamozzi, Giuseppe Jappelli, Giambattista Tiepolo, sono solo alcuni degli illustri nomi che hanno contribuito a rendere questo territorio incredibilmente interessante per tutti gli amanti dell’arte.

Prima sosta del nostro viaggio Villa FOSCARI detta LA MALCONTENTA è l’unica villa del Palladio lungo la Riviera del Brenta. Conservata nella sua architettura, si specchia nel Brenta in localita’ Malcontenta, vicino a Mira (VE). Tornata di proprietà della famiglia Foscari nel 1973, nel 1994 è stata segnalata come “Patrimonio dell’Umanità” dall’UNESCO. La Villa è tuttora priva d’illuminazione elettrica, per scelta dei proprietari.

Continuiamo poi con la visita alla VILLA WIDMANN detta anche Villa Seriman, Foscari Widmann-Rezzonico si trova lungo la Riviera del Brenta, nel Comune di Mira (VE), in località Riscossa.
Oggi questa spettacolare Villa Veneta è di proprietà della Provincia di Venezia ed è utilizzato quale sede di mostre ed eventi culturali e mondani. La Villa comprende la casa padronale con il giardino e la corte adiacente, la barchessa, la chiesetta ed il vasto parco a nord con la serra, arricchito da statue settecentesche, numerose specie arboree,volatili ed un laghetto.

Villa Pisani detta anche la Nazionale, rappresenta certamente uno dei più celebri esempi di Villa Veneta della Riviera del Brenta; sorge a Stra, in provincia di Venezia, ed occupa un’ intera ansa del naviglio del Brenta, si estende su una superficie di 11 ettari ed un perimetro esterno di circa 1.500 metri. Venne costruita a partire dal1721 su progetto di Gerolamo Frigimelica e Francesco Maria Preti per la nobile famiglia veneziana dei Pisani di Santo Stefano. Al suo interno sono visibili opere di Giambattista Tiepolo, Giovanni Battista Crosato, Giuseppe Zais, Jacopo Guarana, Carlo Bevilaqua, Francesco Simonini, Jacopo Amigoni e Andrea Urbani.

Percorriamo  quindi la foce fino a Padova. Un antico detto recita: “Venezia la bella, e Padova sua sorella“,Il paragone con Venezia dovrebbe già far comprendere, a chi non è mai stato in questa città, cosa troverà durante la sua visita. La Cappella degli Scrovegni di Giotto, il più importante ciclo pittorico del mondo, basterebbe già da sola a giustificare una visita a Padova.

Sempre in tema di arte, i Musei Civici raccolgono una bella collezioni di pittori soprattutto veneti (Tiepolo, Tintoretto, Veronese) e nel Battistero del Duomo è perfettamente conservato un altro straordinario ciclo di affreschi, quello di Giusto de’ Menabuoi.

Non si può dimenticare la presenza del “Santo” come lo chiamano i padovani: Sant’Antonio la cui presenza secolare in città si ritrova non solo nelle reliquie conservate nella Basilica ma anche nei tanti dolci che portano il suo nome.

Le molte piazze cittadine, in particolare Piazza delle Erbe, della Frutta e dei Signori, tradiscono il piacere dei padovani (o patavini) per la socialità, di cui lo Spritz è l’emblema contemporaneo. Una scelta insolita per gli abitanti di una città del Nord, dove il clima non è sempre clemente. Poi c’è una straordinaria gastronomia, la presenza dotta ma giovane dell’Università e molti altri motivi di interesse.

La cucina padovana è una cucina di orto e di corte, basata cioè sulle verdure che si possono coltivare negli orti di casa e sugli animali che si allevano in cortile.

Abbondano, quindi, i piatti in cui i protagonisti sono la Gallina Padovana e tutti i suoi parenti stretti: l’oca, il cappone, l’anatra, la faraona, la Gallina Polverara, il galletto nano e i più comuni polli. Da questi ingredienti nascono i piatti tipici della tradizione: tra i primi, da assaggiare i bigoli (spaghetti grossi e ruvidi) e i tradizionalissimi risotti: non solo “risi e bisi“, riso e piselli ma anche con asparagi, o il radicchio. I bigoli si sposano splendidamente con “l’Oca in Onto“, carne d’oca dissossata, salata e conservata nel suo stesso grasso, usata anche come secondo piatto. Ancora tra i primi piatti: la pasta e fagioli, la zuppa con verze o altri ortaggi. I secondi seguono la linea della tradizione: bollito misto alla padovana, prosciutto di petto d’oca, i salami, la soppressa, la salsiccia luganega e il cotechino. Non mancano secondi piatti e salumi a base di cavallo e mulo. Tra i dolci da provare, la fugassa padovana (focaccia), la figassa (torta di fichi), la smegiassa (con uvetta) e la sbrisolona. C’è poi una lunga tradizione pasticciera legata a Sant’Antonio con il Pan del Santo, il Dolce del Santo gli Amarettoni e i Merletti. Ogni pranzo si apre con un classicissimo aperitivo Spritz e si chiude con una grappa. Per i vini non avete che scegliere: siete in Veneto!

E’ quindi la volta di visitare il famoso Orto botanico di Padova, tra i più importanti e certamente il più antico al mondo dal momento che la sua fondazione, risale al 1545, quando il Senato della Repubblica di Venezia decide di dar vita al progetto di Francesco Bonafede, docente e studioso dei “semplici”, le piante medicinali. La necessità di un luogo in cui coltivare e studiare le erbe ad uso terapeutico, potendo contare sulla loro osservazione diretta, nasceva dai frequenti errori nell’interpretazione dei testi classici e dalle numerose truffe commesse dagli speziali, i commercianti di erbe curative.

L’Orto Botanico costituisce il punto d’arrivo di una lunga tradizione scientifica cittadina in questo campo. Nel Medioevo Padova aveva conosciuto personalità di spicco, come Pietro D’Abano, traduttore di Galeno, e Giacomo Dondi, divulgatore delle opere di Dioscoride. L’Orto, realizzato da Daniele Barbaro e Pietro Da Noale, ebbe come primo curatore Luigi Squalermo detto Anguillara, che fece introdurre e coltivare circa 1800 specie. A causa dei continui furti di piante, nel 1552 la struttura dell’Orto, di forma circolare con un quadrato inscritto, fu cinta con un muro.

Oggi l’Orto Botanico accoglie 6000 specie diverse, e dal 1997 fa parte della Lista del Patrimonio Mondiale Unesco (World Heritage List) come bene culturale. Tra i preziosi alberi storici dell’Orto, il più famoso è una palma di San Pietro messa a dimora nel 1585 e resa famosa da Goethe, che le dedicò alcuni scritti e opere scientifiche; vi sono poi un platano orientale del 1680 con il fusto cavo, un ginkgo del 1750 e una magnolia forse risalente al 1786.

Da settembre 2014, a seguito dell’acquisizione di una nuova area a sud dell’Orto botanico antico, sono aperte al pubblico le nuove serre del Giardino della biodiversità, un simbolico microcosmo che permette al visitatore di sperimentare le diverse condizioni climatiche e di vegetazione presenti sulla Terra.

Non potevamo concludere il nostro percorso senza prima farci un giro nella campagna padovana di cui molto c’è da dire, sebbene noi ci soffermeremo su un prodotto in particolare, il celebre formaggio Asiago.Parliamo cioè  è un prodotto caseario di latte di vacca a pasta semi-cotta e a denominazione di origine protetta. La produzione di formaggio Asiago è oggetto di tutela D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta), deve quindi avvenire all’interno di un territorio circoscritto e solo con materia lattea proveniente da allevamenti ricadenti nel suo ambito.

La zona di produzione dell’Asiago è identificata nelle province di Vicenza, Trento e in parti confinanti con esse di quelle di Padova e Treviso, corrispondenti alla loro fascia pedemontana, inclusiva dei prati irrigui circostanti le relative, copiose risorgive.

La produzione di Asiago è tipica dell’omonimo altipiano, in cui avviene in numerosi caseifici e, nella sola estate (per il tempo di vegetazione delle erbe spontanee), nelle caratteristiche malghe di proprietà privata o, più spesso, collettiva, in virtù di usi civici antecedenti la formazione del diritto statuale italiano e da esso recepiti come fonte normativa di tipo consuetudinario.

Le malghe sull’Altopiano dei Sette Comuni sono oltre 100 e costituiscono per estensione e per numero il più importante sistema d’alpeggio dell’intero arco alpi

Il formaggio Asiago viene sostanzialmente prodotto in due tipi diversi: pressato (fresco) e d’allevo (stagionato) che a sua volta a seconda della durata della stagionatura si divide in tre categorie.

Asiago pressato: viene prodotto utilizzando latte intero. Viene lavorato a pasta semicruda e durante la prima cottura del latte a 35 °C si aggiungono fermenti specifici e caglio liquido. Ottenuta la cagliata, si procede a liberarla dal siero e a romperla a dimensione di un guscio di noce, quindi, si cuoce nuovamente a 45 °C circa. Dopo questa operazione si esegue una prima salatura a secco e si ripone la pasta in appositi stampi a pareti forate; a questo punto la forma viene pressata con un torchio, solitamente idraulico, per circa quattro ore.

Successivamente le forme vengono avvolte lateralmente con fascere di plastica, che imprimono il marchio Asiago attorno a tutta la forma e vengono messe in un locale, chiamato “frescura”, per 2-3 giorni ad asciugare. Si tolgono le fascere per eseguire l’ultima salatura mediante un bagno in salamoia per altri due giorni e infine si mettono le forme a maturare per un periodo che va dai 20 ai 40 giorni. Il formaggio finito si presenta con forma cilindrica dal diametro di 30–40 cm e l’altezza di circa 15 cm. Il peso medio di una forma è di 11–15 kg.

La crosta è sottile ed elastica; la pasta interna è morbida, burrosa, di colore bianco o leggermente paglierino e con occhiatura irregolare. Il sapore dolce e delicato, ricorda la panna e il latte appena munto. Ottimo come formaggio da tavola, si presta egregiamente anche a molteplici ricette.

Asiago d’Allevo: lavorato a pasta semicotta, con latte vaccino proveniente da due mungiture, mattutina e serale, di cui una scremata per affioramento naturale. Per questo tipo di Asiago, la cagliata viene rotta con un apposito strumento chiamato “spino” così da raggiungere la dimensione di un chicco di riso; successivamente la cagliata viene cotta altre due volte prima a 40 °C e poi a 47 °C. A questo punto il prodotto grezzo, dopo essere stato posto nelle fascere che imprimono il marchio Asiago, è salato in leggera salamoia e messo a stagionare.

La durata della stagionatura darà luogo alla denominazione di vendita:

  • Asiago mezzano, stagionato per 3-8 mesi. La pasta è compatta, anche se ancora abbastanza morbida, di colore paglierino abbastanza intenso, con occhiatura di piccola e media grandezza, molto gustoso ma ancora dolce. Ottimo formaggio da tavola, magari abbinato a delle buone pere mature.
  • Asiago vecchio, stagionato per 9-18 mesi. A pasta dura, compatta, di colore paglierino, con occhiatura media e sapore deciso, tendente al piccante.
  • Asiago stravecchio, stagionato per due anni o più. La pasta è molto dura, granulosa, di colore paglierino, con occhiatura abbastanza piccola. Il sapore è intenso, avvolgente, penetrante. Questo formaggio è un’autentica e rara “perla” per i buongustai, soprattutto se l’affinamento si protrae per oltre due anni donando al formaggio un sapore unico. Straordinario abbinato alla polenta, ai funghi e a vini rossi importanti.

Si usano localmente varie altre denominazioni, come mezzanello (dolce o piccante), che si riferisce al grado di stagionatura e ai caratteri organolettici, che diventano più marcati con il protrarsi della maturazione; vezzena, sostanzialmente un asiago d’allevo prodotto nel contiguo altopiano delle Vezzene, e altre ancora, in genere collegate al caseificio di produzione.

Il prodotto finito, ha forma cilindrica con 30–35 cm di diametro e circa 10 cm di altezza; il peso di ogni forma varia dagli otto ai 12 chilogrammi. La crosta è sottile ma dura, liscia e regolare, di colore ambrato nel mezzano e bruno nel vecchio e stravecchio. Anche la pasta interna e il sapore sono molto diversi a seconda della stagionatura e meritano quindi descrizioni separate.

La piccola Venezia

Alla scoperta di Chioggia, una città d’arte unica nel suo genere

Chioggia ad una manciata di chilometri da Venezia è una piacevole “città d’arte”. In molti la chiamano “Piccola Venezia” ma l’appellativo le sta stretto.

Sospesa tra il blu del mare e della laguna e l’azzurro del cielo è un microcosmo unico, sicuramente da esplorare. Corso del Popolo e Canal Vena sono due degli elementi più interessanti. Il terzo è il centro storico dalla particolare forma a “spina di pesce” dove la lisca dorsale è rappresentata appunto da Corso del Popolo (che i chioggiotti chiamano “La Piazza”) e dai due canali paralleli (il Vena ed il Lombardo) mentre le spine sono le calli, in tutto 74. E proprio queste ultime, per la gente di qui, non sono solo delle semplici vie ma piccoli universi di vita condivisa, dove, ancora oggi, si lavora e si gioca e soprattutto si vive. Un dedalo di viuzze che raggiunge ogni angolo della cittadina.

Ciò che la rende unica ed in grado di competere con Venezia è la sua autenticità ed il suo fascino, generato da quell’alternanza di terra ed acqua, di forme e di colori che danno vita ad un variopinto caleidoscopio di tonalità dove il rosso la fa da padrone incontrastato. Rosso delle case, rosso delle albe e dei tramonti sulla laguna, rosso delle vele. E rosso è anche il tendone che copre la pescheria al minuto collocata fra Corso del Popolo e Canal Vena, dietro Palazzo Granaio. Al mercato (aperto dal martedì alla domenica dalle 7 alle 13) si accede dal Portale a Prisca (dedicato ad una bambina del luogo scomparsa in tenera età) interamente scolpito da Amleto Sartori scultore e poeta patavino.

Al suo interno 52 postazioni di pescivendoli, qui chiamati “mògnoli”, che propongono a prezzi ottimi tutte le specie di pesce per la gioia dei clienti che ogni giorno affollano i banchi vendita. La pesca è l’oro di Chioggia. La pesca è l’attività principale di Chioggia e la maggior parte dei suoi abitanti ha a che fare con essa, direttamente o indirettamente. Qui c’è la flotta di pescherecci più importante dell’intero Adriatico.

Ne sono testimonianza le file di battelli all’ormeggio, molti dei quali con stazza ragguardevole, lungo i canali Lombardo e San Domenico, alcuni adatti per la pesca in laguna altri per quella in mare. Quotidianamente centinaia di imbarcazioni lasciano il porto e vanno a pescare e tornano la mattina dopo per scaricare il pesce fresco direttamente al mercato. Anche il Mercato ittico all’ingrosso, situato sull’Isola dei Cantieri, è uno dei più importanti d’Italia. Qui operano 59 aziende (14 commissionari che collocano il pesce nella Sala d’Aste e 45 commercianti che hanno i loro box nella parte posteriore del mercato).

Un microcosmo dove si commercializzano tutte le specie e qualità di pesce, dal fresco, al congelato per arrivare all’affumicato ed all’essiccato. Le contrattazioni si svolgono due volte al giorno dal martedì al venerdì alle 4 del mattino ed alle 3 del pomeriggio. Al lunedì solo di pomeriggio ed al sabato di mattina. Allo scoccare dell’ora, una campanella avvisa dell’inizio delle contrattazioni. L’interno della Sala d’Aste viene così pervasa da un vociare infinito. Gli acquirenti si aggirano fra le file di casse di pesce esposte e se vogliono comprare qualcosa lasciano sulla cassa che interessa un cartoncino con il proprio nome. In poco più di un’ora passano di mano quintali di pesce.

Nel caso la richiesta superi l’offerta si utilizza il cosiddetto metodo della contrattazione “all’orecchio”, un metodo che affonda le sue radici nel secolo scorso: gli acquirenti annunciano sommessamente il prezzo d’acquisto all’astatore il quale, al termine delle contrattazioni, cede la merce al miglior offerente.

Se i canali Lombardo e San Domenico ospitano le navi più grandi, lungo canal Vena trovano posto le imbarcazioni più piccole. È così facile incontrare i bragozzi le pittoresche imbarcazioni a fondo piatto, simbolo della marineria di Chioggia, con le grandi e caratteristiche vele ocra e rosso mattone. Corso del Popolo un unico gran caffè all’aperto. Il vero cuore pulsante è Corso del Popolo. Per buona parte pedonalizzato, parte da Porta Santa Maria ed arriva alla piazzetta Vigo (prospiciente al molo omonimo da cui partono i vaporetti per Venezia) impreziosita dal magnifico ponte istoriato, che richiama quello di Rialto e dalla colonna con il Leone Marciano, il vero simbolo della città che, per le sue dimensioni più contenute o, per meglio dire, meno appariscenti di quello del leone veneziano, è stato soprannominato “El Gato de Ciosa” che non ha bisogno di traduzioni. Il corso è lungo circa un chilometro, adornato sul lato di ponente da un portico lunghissimo e punteggiato da negozi, bar, pub e ristoranti sempre stracolmi di gente, tanto da spingere Curzio Malaparte a definirlo un unico gran caffè all’aperto dove si ha l’impressione che ogni giorno sia festa.

Entrando in città da Porta Santa Maria si incontra il “Refugium Peccatorum una balaustra marmorea raffigurante la Madonna col Bambino, uno degli angoli più suggestivi e visitati della cittadina lagunare, che da sempre ispira artisti e scrittori. Superata la Cattedrale all’interno della quale sono conservate le reliquie dei Santi patroni Felice e Fortunato si approda nel centro storico. All’inizio si incontra Palazzo Poli dove, per qualche anno, soggiornò Carlo Goldoni padre della commedia italiana ed autore tra l’altro delle famose “Baruffe chioggiotte”.

Bella anche la Chiesa di Sant’Andrea con la facciata barocca. Accanto la Torre del Campanile in stile romanico con il grande orologio da guinness dei primati; infatti essendo datato 1386 è l’orologio da torre più antico del mondo. Le tante chiese presenti nel centro storico testimoniano la grande religiosità dei chioggiotti. In alcune di queste, fra cui la Basilica di San Giacomo, si possono ammirare anche le “tolele”, ex voto dipinti generalmente su tavolette di legno e di cartone che raccontano miracoli e grazie ricevute dai pescatori ma anche dagli altri chioggiotti: una limpida espressione di religiosità popolare ed un modo per ringraziare pubblicamente Dio per una grazia ricevuta.

Una delle immagini sacre più venerate rimane comunque l’imponente crocefisso ligneo (è alto più di quattro metri) che colpisce per la sua espressività, conservato nella chiesa di San Domenico sulla omonima isoletta a pochi metri dal centro cittadino. Un’altra chicca è Palazzo Grassi che si raggiunge costeggiando il Canal Vena in direzione Ponte Vigo. Il Palazzo, completamente restaurato, ospita la facoltà di biologia marina dell’Università di Padova ed il bellissimo museo di zoologia adriatica “Giuseppe Olivi” (www.museoolivi.it/) che espone al pubblico circa 300 bellissimi reperti. Appena si entra si viene accolti da un gigantesco squalo elefante catturato per errore nelle acque prospicienti a Chioggia nel 2003, poi tassidermizzato ed esposto nel museo. Sottomarina bella località balneare. Uscendo dal centro di Chioggia in direzione del Mercato ittico si arriva a Sottomarina.

Le due località sono unite da un ponte, che taglia a metà la laguna del Lusenzo, e da un’isola artificiale (quella dell’Unione) ma sono divise da anni di rivalità. Da una parte i pescatori di Chioggia, dall’altra i marinanti (gli ortolani) di Sottomarina. I primi esuberanti, che sfidano da tempo immemore il mare che può essere amico ma anche un nemico mortale e per questo più portati a vivere alla giornata, i secondi invece legati alla terra ed ai ritmi delle coltivazioni soprattutto orticole e per questo metodici, tenaci e risparmiatori. Due mondi distanti anni luci, due modi di intendere ed interpretare la vita. Già le prime avvisaglie di queste diversità vi sono sul ponte presidiato da due statue, una raffigurante un pescatore chioggiotto e l’altro un ortolano di Sottomarina che sembrano guardarsi in cagnesco.

Poi l’attenzione viene catturata da Sottomarina, una lingua di terra che divide la laguna dal mare. La prima cosa che colpisce ed attrae è il litorale di sabbia dorata e finissima lungo svariati chilometri e largo decine di metri. Punteggiato da una infinità di stabilimenti balneari. Poi c’è una brezza marina costante e continua che rende piacevoli anche le calde ed afose giornate estive. La cittadina è divisa nella parte vecchia (che assomiglia molto a Chioggia) ed in quella nuova sorta in massima parte nella zona prospiciente al mare. Se si ha voglia di fare un giro conviene arrivare fino a Piazza Europa ed a Piazza Italia.

Se poi rimane tempo merita una visita anche il molo, una lunga lingua di cemento che si protende verso il mare punteggiata da capanni, chiamati trabucchi, con reti da pesca enormi pronte per essere utilizzate per l’ittiturismo. Intorno la laguna, la spiaggia, il mare ed in lontananza i cantieri del Mose.

Dove mangiare. La cucina chioggiotta ha nel pesce, ovviamente fresco, il suo elemento principale. Ci sono molti ristoranti che propongono piatti davvero gustosi. A Chioggia si consiglia una sosta al ristorante La Sgura (www.lasgura.it) in pieno centro storico che propone solo piatti a base di pesce. È gestito da 30 anni dai fratelli Carisi, Luciano (il cameriere) grande conoscitore di vini ed esperto di dolci e Tony (lo chef) che ha rielaborato in chiave moderna molte delle ricette della tradizione chioggiotta aggiungendovi un pizzico di personalità e di modernità. Da provare la zuppa di pesce e la frittura mista e, da maggio a settembre, anche un buon piatto di cozze. A Sottomarina invece si consiglia il ristorantino “La Bisatela” annesso al complesso natatorio Aquavillage (aquavillagesottomarina.it) sul Lungomare Adriatico collocato all’interno dello stabilimento balneare Nuova Marina Sirenella uno dei più grandi di Sottomarina. Il ristorantino è aperto da aprile ad ottobre e la cuoca, Paola, prepara degli ottimi piatti a base di pesce a prezzi molto contenuti. Altro ristorante sempre sul Lungomare Adriatico che propone ottime pizze senza additivi e buoni piatti a base di pesce è il Facecook. A Chioggia lungo Corso del Popolo si può fare una sosta per un aperitivo o un happy hour al Wine Bar Bellini, sempre molto frequentato da giovani, che prepara degli ottimi cicchetti (tramezzini con vari ingredienti) fra cui quelli con baccalà alla vicentina e sarde in saor. Un’altra cicchetteria che si consiglia è l’osteria Ai Coppi in calle Felice Cavallotti n. 383, una traversa di Corso del Popolo, che è aperta dalle 16 a notte fonda. Il locale è gestito da Andrea Ferro che prima di dedicarsi a questa attività ha avuto un passato artistico come bassista dei Carlito, una band in voga all’inizio degli anni duemila.

Manifestazioni. Gli eventi e le iniziative si susseguono per buona parte dell’anno. Se ne segnalano due, il Palio della Marciliana in giugno dove viene presentata la vita a Chioggia in epoca medievale e la Sagra del pesce a fine luglio per celebrare i sapori del mare e della laguna.