Olio rancido, come riconoscerlo

L’ossidazione dei lipidi è stata riconosciuta come il problema principale che affligge gli oli commestibili, poiché è la causa di importanti cambiamenti deteriorativi nelle loro proprietà chimiche, sensoriali e nutrizionali. L’autossidazione e la fotoossigenazione, dovute alla presenza di ossigeno nell’aria, sono praticamente inevitabili. Quando i lipidi si ossidano, possono formare idroperossidi, che sono suscettibili di ulteriore ossidazione o decomposizione in prodotti di reazione secondari come aldeidi, chetoni, acidi e alcoli. In molti casi, questi composti influenzano negativamente sapore, aroma, gusto, valore nutrizionale e qualità generale. Molti sistemi catalitici possono ossidare i lipidi. La maggior parte di queste reazioni coinvolgono alcuni tipi di radicali liberi o specie di ossigeno. L’ossidazione può essere prodotta sia al buio che in presenza di luce, che presentano differenze nel loro percorso di ossidazione dovute all’azione di variabili esterne.

L’olio di oliva vergine è considerato resistente alla degradazione ossidativa a causa di un basso contenuto di acidi grassi saturi, di un elevato rapporto tra acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi e della presenza di componenti minori antiossidanti naturali come α-tocoferolo e composti fenolici. Tuttavia, la degradazione ossidativa dell’olio d’oliva è la causa più importante di una percezione sensoriale sfavorevole.

L’ossidazione dell’olio di oliva: come nasce il difetto di rancido

Per identificare gli odori responsabili di un sapore rancido negli oli di oliva, in primo luogo, i composti aromatici chiave in un olio extravergine di oliva premium sono stati caratterizzati mediante l’approccio sensomico e sono stati poi confrontati con quelli presenti in un sapore rancido certificato. aroma di olio d’oliva ottenuto dal Consiglio oleicolo internazionale (CIO).

L’acido acetico ha mostrato il coefficiente di Pearson più alto tra l’intensità percepita del difetto di rancido e la concentrazione dell’odore. In particolare, (E,Z)- e (E,E)-2,4-decadienale e (Z)-2-nonenale possono essere suggeriti come marcatori chimici per l’irrancidimento dell’olio d’oliva in combinazione con marcatori aromatici positivi, ad esempio l’acetaldeide e (Z)-3-esenale.

Dopo un processo di ossidazione le sostanze volatili iniziali, molte delle quali responsabili delle gradevoli caratteristiche sensoriali dell’olio e prodotte principalmente attraverso vie biochimiche, scompaiono nelle prime ore, e la formazione di aromi sgradevoli, prodotti attraverso vie ossidative, aumenta gradualmente. Sono stati identificati i principali composti volatili possibilmente responsabili di off-flavor (51) ed è stata studiata la loro evoluzione durante il processo ossidativo.

Durante il processo di ossigenazione è stato determinato il contenuto di acidi grassi. Gli acidi grassi insaturi sono risultati essere i principali precursori dei composti volatili presenti nei campioni ossidati. La misurazione precoce del nonanale (che non è stato rilevato affatto, o solo a livello di tracce, nei campioni di olio extravergine di oliva) potrebbe essere un metodo appropriato per rilevare l’inizio dell’ossidazione. Il rapporto esanale/nonanale è stato utilizzato per differenziare tra campioni di olio d’oliva vergine ossidato e di buona qualità. La valutazione sensoriale dei campioni e il valore di perossido concordavano sull’evoluzione dell’ossidazione.

L’ossidazione dell’olio di oliva: come nasce il difetto di rancido

Per identificare gli odori responsabili di un sapore rancido negli oli di oliva, in primo luogo, i composti aromatici chiave in un olio extravergine di oliva premium sono stati caratterizzati mediante l’approccio sensomico e sono stati poi confrontati con quelli presenti in un sapore rancido certificato. aroma di olio d’oliva ottenuto dal Consiglio oleicolo internazionale (CIO).

L’acido acetico ha mostrato il coefficiente di Pearson più alto tra l’intensità percepita del difetto di rancido e la concentrazione dell’odore. In particolare, (E,Z)- e (E,E)-2,4-decadienale e (Z)-2-nonenale possono essere suggeriti come marcatori chimici per l’irrancidimento dell’olio d’oliva in combinazione con marcatori aromatici positivi, ad esempio l’acetaldeide e (Z)-3-esenale.

Dopo un processo di ossidazione le sostanze volatili iniziali, molte delle quali responsabili delle gradevoli caratteristiche sensoriali dell’olio e prodotte principalmente attraverso vie biochimiche, scompaiono nelle prime ore, e la formazione di aromi sgradevoli, prodotti attraverso vie ossidative, aumenta gradualmente. Sono stati identificati i principali composti volatili possibilmente responsabili di off-flavor (51) ed è stata studiata la loro evoluzione durante il processo ossidativo.

Durante il processo di ossigenazione è stato determinato il contenuto di acidi grassi. Gli acidi grassi insaturi sono risultati essere i principali precursori dei composti volatili presenti nei campioni ossidati. La misurazione precoce del nonanale (che non è stato rilevato affatto, o solo a livello di tracce, nei campioni di olio extravergine di oliva) potrebbe essere un metodo appropriato per rilevare l’inizio dell’ossidazione. Il rapporto esanale/nonanale è stato utilizzato per differenziare tra campioni di olio d’oliva vergine ossidato e di buona qualità. La valutazione sensoriale dei campioni e il valore di perossido concordavano sull’evoluzione dell’ossidazione.

Carciofo: origine, varietà e caratteristiche

Con il ricercatore Nicola Calabrese approfondiamo origine, varietà e caratteristiche del carciofo, coltura centrale nel panorama ortofrutticolo italiano

L’Italia è al primo posto nel mondo per superficie coltivata a carciofo. Presente in tutte le regioni, la produzione si concentra soprattutto in Sicilia, Puglia e Sardegna.

Nell’ultimo numero della rivista, con Nicola Calabrese – ricercatore CNR-Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari di Bari – abbiamo approfondito origine, varietà e caratteristiche di questa coltura così centrale nel panorama ortofrutticolo italiano. Eccone la prima parte.

Origine e diffusione

Il carciofo, il cui nome scientifico è Cynara cardunculus L. subsp. scolymus (L.), è originario dei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. La parola Cynara sembra derivare da cinis perché, secondo Columella, il terreno destinato a ospitare piante di carciofo veniva preventivamente arricchito con cenere.
Gli antichi Greci usavano la parola scolymus per indicare varie specie di cardo selvatico con foglie e capolini appuntiti, utilizzate per numerosi scopi. Dall’arabo al-karshuf, ardi-shoki, harshaf deriva il termine italiano carciofo, lo spagnolo alcachofa, il catalano carxofa; mentre dal neolatino articactus prendono origine la parola italiana ormai in disuso di articiocco, il francese artichaut, l’inglese artichoke, il tedesco artishoke.

Durante il I secolo a.C. gli agricoltori riuscirono ad addomesticare le piante selvatiche del carciofo, che in quel periodo erano consumate a scopo alimentare e farmaceutico, e a metterne a punto la coltivazione. Numerosi autori greci e romani, tra cui Marco Terenzio Varrone, Gaio Plinio Secondo e Lucio Giunio Moderato Columella, citano il carciofo nelle loro opere, tramandando ai posteri le tecniche di coltivazione dell’epoca e le proprietà medicamentose di questa pianta. Le proprietà del carciofo sono anche state descritte da Galeno, medico greco di Pergamo, e attraverso le sue opere il carciofo entra ufficialmente nella medicina e nella farmacopea.

Carciofaia in produzione

Carciofaia in produzione

L’Italia è al primo posto nel mondo per superficie coltivata (38.500 ha, corrispondenti al 33% della superficie mondiale) e produzione di capolini, pari a 376mila t (26% del totale mondiale).

Il secondo Paese produttore è l’Egitto con 315mila t, seguito dalla Spagna (215mila t). Partendo dal bacino del Mediterraneo, la coltivazione del carciofo si è diffusa progressivamente in terre lontane a testimonianza di un lungo percorso ricco di successo che è ben lungi dalla sua conclusione.
Nelle Americhe è stato introdotto dai migranti italiani, spagnoli e francesi e occupa posizioni di rilievo in Perù, Stati Uniti, Argentina e Cile. In Perù, fino a 15 anni fa, la coltivazione del carciofo era poco diffusa e praticata in piccoli appezzamenti sulle Ande a 2.000-3.000 metri di altitudine. Negli ultimi anni, con la diffusione in ambienti pianeggianti costieri sono stati raggiunti altri Paesi tra i quali Francia, Marocco, Algeria, Tunisia, Turchia e Grecia, in cui la coltivazione di questo ortaggio ha una lunga e consolidata tradizione.

In Italia il carciofo è presente in tutte le regioni, ma la coltivazione è concentrata in SiciliaPuglia Sardegna, che complessivamente rappresentano quasi il 90% della superficie e l’85% della produzione nazionale. Presenze significative della coltivazione del carciofo si registrano anche in Campania e Lazio.

Morfologia e panorama varietale del carciofo

La parte edule del carciofo è in realtà un bocciolo fiorale, chiamato capolino, più o meno compatto a seconda della cultivar e della fase in cui viene raccolto. Il capolino a sua volta è costituito da un peduncolo (denominato comunemente stelo o gambo), una base a forma di piccola coppa (ricettacolo, talamo o fondo) sul quale sono inserite quelle che vengono chiamate impropriamente foglie, il cui termine corretto è brattee, di forma diversa (allungata, ovale o semisferica) e colore variabile, dal verde pallido al violetto intenso, a volte dotate di spine all’apice. Le brattee esterne, più consistenti e fibrose, sono normalmente eliminate prima del consumo, mentre quelle interne – più tenere e carnose – costituiscono, assieme al ricettacolo (e spesso anche a una porzione di gambo), la parte edule del capolino. Sulla porzione più interna del ricettacolo sono infine inseriti i primordi fiorali costituenti il pappo, chiamato comunemente peluria o barba.

Capolino di carciofo in fioritura

Capolino di carciofo in fioritura

Il panorama varietale presente in Italia comprende numerose cultivar che hanno a volte una diffusione territoriale limitata e che prendono il nome della località di coltivazione.

Spesso la stessa varietà è denominata in modo diverso in aree differenti, generando confusione non solo per i nomi e gli eventuali sinonimi, ma anche in riferimento agli aspetti tecnici e commerciali.

In Puglia, Sicilia e Sardegna la produzione è basata prevalentemente su varietà di carciofo definite precoci, rifiorenti o autunnali, perché caratterizzate da un calendario di raccolta molto ampio che parte dall’autunno – in alcune zone con opportune tecniche agronomiche la raccolta dei capolini inizia già nella prima metà di settembre – per poi proseguire anche durante l’inverno (laddove le temperature lo consentono) e la primavera successiva. La caratteristica comune di tutte le cultivar di carciofo precoce o rifiorente è quella di produrre, oltre a un buon numero di capolini da destinare al mercato fresco (di solito la produzione autunnale, invernale e parte di quella primaverile), anche una notevole quantità di carciofini, raccolti nei mesi di aprile e maggio e destinati quasi esclusivamente all’industria di trasformazione.

carciofo Capolini

Capolini di carciofo

Le cultivar più diffuse in Puglia sono il Violetto di Provenza, che si è affermato in provincia di Foggia, mentre in provincia di Brindisi è coltivato il Brindisino e in quella di Bari il Locale di Mola; nel territorio pugliese si segnalano inoltre impianti di Terom e Tema 2000.

In Sicilia prevale la coltivazione del Violetto di Sicilia, del Catanese e altri ecotipi a essi ascrivibili; molto comune e apprezzato sui mercati locali è il Violetto Spinoso di Palermo.

In Sardegna è maggiormente diffusa la cultivar Spinoso Sardo, con capolini muniti di robuste spine, ma dal sapore molto delicato, perfetti per essere consumati crudi, tagliati in fette sottili e assieme ai gambi, in pinzimonio. Terom, Tema 2000Masedu e Romanesco completano l’offerta varietale della Sardegna.

Particolarmente diffuse nel Lazio e in Campania sono le diverse tipologie di carciofo romanesco (C3CampagnanoCastellammare, Tondo di Paestum), cultivar con epoca di produzione tardiva con le raccolte che cominciano di solito dalla fine di febbraio e che proseguono fino a maggio. Di pregio notevole è la produzione del Carciofo violetto di Sant’Erasmo, coltivato sull’isola di Sant’Erasmo nella laguna di Venezia; i capolini principali, raccolti quando molto piccoli e chiamati comunemente “castraure”, sono consumati crudi.

Negli ultimi anni, in tutti gli ambienti cinaricoli nazionali sono state introdotte con successo cultivar ibride propagate per seme, destinate sia al mercato fresco che alla trasformazione industriale, e che si contraddistinguono per le produzioni elevate, l’ottima qualità dei capolini e la sanità delle piante.

La forte radicazione territoriale della produzione cinaricola italiana, caratterizzata in alcune aree da particolari condizioni pedo-climatiche, specifiche soluzioni di tecnica agronomica, profondi e antichi legami sociali e culturali con il territorio e le sue tradizioni, spiega la possibilità di valorizzare la produzione del carciofo di alcune zone con marchi DOP o IGP fortemente legati al territorio di produzione. Troviamo infatti in Puglia il Carciofo Brindisino IGP, nel Lazio il Carciofo Romanesco del Lazio IGP, in Sardegna il Carciofo Spinoso di Sardegna DOP e in Campania il Carciofo di Paestum IGP.

Primavera – tempo di concimazioni

La primavera è il momento in cui la natura si risveglia, e con essa, anche gli alberi da frutto nel tuo giardino iniziano il loro ciclo vitale. La chiave per una fioritura abbondante e una ricca produzione di frutti risiede nell’uso sapiente dei concimi naturali. Questi non solo nutrono le piante ma migliorano anche la struttura del suolo, rendendolo più fertile e vivo. In questo articolo, esploreremo come l’impiego di queste sostanze organiche in marzo possa fare la differenza, portando i tuoi alberi a un nuovo livello di prosperità.

Il momento giusto per concimare: una guida stagionale

La concimazione degli alberi da frutto richiede un approccio mirato che rispetti le esigenze nutrizionali specifiche delle piante durante le varie fasi della loro crescita. In primavera, la necessità di azoto diventa predominante per supportare lo sviluppo vigoroso di foglie e rami. L’utilizzo di concimi a lenta cessione durante questo periodo assicura una fornitura costante e bilanciata di nutrienti, evitando picchi che potrebbero stressare le piante.

Con l’arrivo dell’estate, l’attenzione si sposta verso il potassio, fondamentale per stimolare una fioritura abbondante e supportare la produzione di frutti. Questo elemento aiuta anche le piante a resistere meglio a stress idrici e termici. L’autunno rappresenta il momento per un’ultima concimazione, con l’obiettivo di preparare gli alberi al periodo di riposo invernale.

In questa fase, è cruciale fornire una riserva di nutrienti che sostenga le piante fino alla ripresa vegetativa della successiva primavera, completando così un ciclo di nutrizione che le accompagnerà in ogni fase del loro sviluppo. Questa pianificazione attenta garantisce una crescita sana e una produzione ottimale, sfruttando al meglio le risorse naturali e i tempi biologici delle piante.

Tipologie di concimi: naturale vs chimico

Comprendere le differenze tra i concimi organici e quelli chimici è fondamentale per scegliere la strategia di fertilizzazione più adatta al proprio giardino o coltivazione. Entrambi i tipi di concimi hanno vantaggi e svantaggi a seconda delle esigenze specifiche delle piante e dell’ambiente in cui vengono utilizzati.

  • Concimi Organici: Questi concimi sono derivati da materiali naturali, come il letame, il compost, la cenere di legno e altri residui organici. Sono noti per il loro rilascio graduale di nutrienti, che non solo fornisce un’alimentazione bilanciata alle piante nel lungo periodo ma anche migliora la struttura del suolo e la sua biodiversità. Utilizzando concimi organici, si favorisce un ambiente più sano e sostenibile, ricco di microrganismi benefici che aiutano nella decomposizione del materiale organico e nell’assorbimento dei nutrienti da parte delle piante.
  • Concimi Chimici: Questi prodotti sono formulati in laboratorio per fornire una concentrazione elevata di specifici nutrienti, come azoto (N), fosforo (P) e potassio (K), essenziali per la crescita delle piante. I concimi chimici garantiscono un effetto immediato, migliorando rapidamente la salute e la produttività delle piante. Tuttavia, il loro uso eccessivo o improprio può compromettere la salute del suolo, riducendo la presenza di microrganismi benefici e potenzialmente causando l’accumulo di sostanze chimiche tossiche.

La scelta tra concimi organici e chimici dovrebbe basarsi su una valutazione attenta degli obiettivi di crescita delle piante, delle condizioni del suolo e dell’impatto ambientale desiderato. Mentre i concimi organici sono spesso preferiti per un approccio più sostenibile e a lungo termine alla fertilizzazione, i concimi chimici possono essere utili in situazioni specifiche dove è necessario un intervento nutrizionale rapido e mirato.

Concimi naturali fai-da-te

L’adozione di concimi naturali fai-da-te rappresenta un eccellente metodo per nutrire il tuo giardino in maniera sostenibile ed economica. L’acqua di cottura delle verdure, ad esempio, è un’ottima soluzione per riutilizzare risorse altrimenti sprecate, offrendo un mix ricco di nutrienti essenziali per le piante. Le bucce di banana sono un’altissima fonte di potassio, essenziale per stimolare una vigorosa fioritura e supportare lo sviluppo sano dei frutti

La cenere del camino, ricca di potassio, calcio e magnesio, può essere sparsa sul terreno per arricchirlo di minerali vitali, ma va usata con moderazione per non alterare il pH del suolo. I fondi di caffè, con il loro elevato contenuto di azoto, sono particolarmente indicati per acidificare il terreno, beneficiando piante acidofile come azalee e rododendri.

Infine, i gusci d’uovo triturati forniscono calcio, un nutriente cruciale per prevenire disturbi come la marciume apicale nei pomodori, oltre a combattere efficacemente alcuni parassiti del suolo. Questi semplici ma potenti rimedi naturali non solo arricchiscono il terreno ma promuovono anche un giardinaggio più ecologico e consapevole.

benefici insostituibili dei concimi naturali

L’uso di concimi naturali non solo garantisce una nutrizione equilibrata per le tue piante ma contribuisce anche a un ecosistema più sano e sostenibile. Vediamo alcuni dei principali vantaggi:

  • Miglioramento della struttura del suolo: I concimi organici aumentano la porosità del terreno, migliorando l’areazione e la capacità di ritenzione idrica.
  • Incremento della biodiversità: Favoriscono la vita microbica nel terreno, essenziale per la decomposizione organica e l’assorbimento dei nutrienti da parte delle piante.
  • Nutrizione equilibrata: Forniscono un ampio spettro di minerali e altri nutrienti essenziali, promuovendo una crescita sana e bilanciata delle piante.
  • Sostenibilità ambientale: Riducono la dipendenza da prodotti chimici sintetici, limitando l’inquinamento del suolo e delle falde acquifere.

In conclusione, l’utilizzo di concimi naturali rappresenta una scelta vincente per chiunque desideri promuovere una fioritura e una fruttificazione abbondanti nei propri alberi da frutto. Integrando queste pratiche nel ciclo di cura del giardino, si possono ottenere risultati sorprendenti, assicurando al contempo la salute del pianeta.

Fioritura e fruttificazione con concimi naturali.

Ricorda che la natura ha sempre una soluzione a portata di mano; a volte, basta semplicemente ascoltarla e collaborare con essa.