Denunciare! E’ questo l’obbligo di ogni blogger libero ed indipendente affinché si sappia delle conseguenze incontrollate della produzione intensiva dell’olio di palma. Questa volta mettendo nero su bianco. Cibo, cosmetici, e molti altri beni dei principali marchi mondiali contengono ancora olio di palma prodotto attraverso una concorrenza sleale e gravi violazioni dei diritti umani come in Indonesia, dove bambini anche di soli otto anni lavorano in condizioni pericolose. Un infamia enorme già denunciata in passato da Amnesty International, in un rapporto intitolato “Il grande scandalo dell’olio di palma: violazioni dei diritti umani dietro i marchi più noti” frutto di un’indagine sulle piantagioni dell’Indonesia appartenenti al più grande coltivatore mondiale di palme da olio, il gigante dell’agro-business Wilmar, che ha sede a Singapore.
Per conoscere più affondo il problema vi consiglio di seguir questo approfondimento di Daniela Vlacich
Qualunque consumatore che pensa di fare una scelta etica acquistando prodotti in cui si dichiara l’uso di olio di palma sostenibile dovrebbe tener conto dello sfruttamento dei lavoratori, e della distruzione della foresta pluviale, tutto per installare monocolture di palma da olio, mettendo in pericolo l’ambiente e l’ecosistema. Oltre alle grandi piantagioni dell’Indonesia, dove si concentra la maggior parte della produzione mondiale, la sua coltivazione intensiva si è diffusa dagli anni 2000 anche in diversi paesi africani. Il Gabon, ad esempio, dove il 12 dicembre l’organizzazione statunitense Mighty, che si occupa di campagne ambientaliste, e l’ong gabonese Brainforest hanno pubblicato un rapporto dal titolo “Palm Oil’s Black Box” in cui denunciano la deforestazione praticata dall’azienda Olam in Gabon. Secondo il rapporto, la multinazionale di Singapore avrebbe distrutto la foresta gabonese per installare monocolture di palma da olio, mettendo in pericolo l’ambiente e l’ecosistema di molte specie animali. Dal 2012 Olam avrebbe distrutto approssimativamente 20.000 ettari di foresta. La compagnia ha cominciato ad operare nel paese nel 2010 quando, grazie ad una joint ventures con il governo, ha ottenuto una concessione di 300.000 ettari. Olam ha rigettato le accuse garantendo, invece, il carattere sostenibile e responsabile della sua produzione. La compagnia però, nel comunicato di risposta al rapporto, ammette anche di aver raggiunto un accordo con il Gabon per la conversione di una parte delle zone forestali più degradate, in zone agricole. Nel mese di marzo del 2016 è finita sotto osservazione Socfin, una compagnia belgo lussemburghese che produce gomma e palma da olio in diversi paesi africani, tra cui: Camerun, Nigeria, Costa d’avorio e Sierra Leone. A denunciare Socfin è stata Greenpeace France con il rapporto “Minacce sulle foreste africane” che sottolinea il ruolo della compagnia nella deforestazione del bacino del fiume Congo e di Sao Tomé e Principe. Socfin viene contestata anche dalle comunità locali di contadini che si sono visti sottrarre le loro terre per l’implementazione delle piantagioni. In Sierra Leone sei attivisti sono finiti in carcere con l’accusa di aver distrutto 40 piante di palma nel 2013.