19 Marzo – San Giuseppe

In Sicilia il 19 marzo non è un giorno come tanti altri. Attraverso una  ritualità cristiana e precristiana la festa di San Giuseppe esprime pienamente uno degli aspetti più profondi della tradizione del popolo siciliano e della sua millenaria cultura. Prendendo spunto dall’ opera di Gaetano Basile e Anna Maria Musco Dominici “Mangiare in Festa” edito da Kalos, vi voglio illustrare cosa significa il giorno di San Giuseppe in Sicilia, patrono di molti comuni siciliani forse perché nella tradizione popolare riveste il ruolo di “avvocato dell’ impossibile”. E noi siciliani di avvocati per cause difficili ne abbiamo sempre vavuto bisogno.

Ci ricorda Giuseppe Pitrè che “… dei Santi il più apprezzato patrono è San Giuseppe che occupa tredici comuni”. E come “patri di puvirieddi” viene invocato nei Triunfi; fino agli anni Sessanta si celebravano messe e novene ogni mercoledì a partire da gennaio.

Il suo culto si manifesta con usanze rituali quali il banchetto, gli altari addobbati, la raccolta di elemosine e le processioni. L’ uso di mense su altari particolari è diffuso in tutti i paesi cattolici dell’ area del bacino del Mediterraneo: il cibo, simbolico e rituale, è offerto in una specie di cappelletta ricoperta di rami d’ alloro e mirto, decorata con piccoli pani, detti appunto “di San Giuseppe” legati da cordicelle colorate.

Quest’ uso continua in molti comuni siciliani così come la questua, che è atto di penitenza o di umiliazione, spesso per grazia ricevuta. Una volta tutto ciò che veniva raccolto per le elemosine si portava in giro cin la “retina”, una lunga teoria di muli  e asini riccamente bardati. Le cene si offrono a figuranti che rappresentano Gesù,Maria, e Giuseppe, pellegrini affamati di passaggio. Ma anche a  “poveri vecchietti” normalmente affidati alla pubblica carità. Almeno per quel giorno.

Vale a pena ricordare che le cene votive dovevano avere un minimo di 19 portate e fino ad un massimo di 101. Nessuno si è mai spiegato quel 19 e 101 che certamente dovevano pur significare qualcosa forse attinente alla cabala.

Infatti le siciliana cene di San Giuseppe discendono direttamente dalla festa ebraica di “Succòth”, cioè la festa delle capanne, detta anche festa dei tabernacoli. Si ricordano così le capanne erette dagli ebrei vaganti nel deserto per ben quarant’anni, dopo la biblica fuga dall’ Egitto.. Anche gli ebrei di Sicilia celebravano quella loro antica con cene di ringraziamento per sette sere di fila con tavole ricche di cibo e dolciumi.

La loro alimentazione obbediva alle leggi della Kasherut, purezza rituale dei cibi, vhe traeva origine da motivazioni igieniche; non si mangiavano  carni di animali morti per cause naturali, incidentali o ancora non note e che, quindi, potevano portare malattie. La carne fu quasi sempre quella di ovini, caprini e tanto pollame. Era assolutamente proibito l’ uso della sugna, strutto o sego e si usava solo l’olio d’oliva.

Le minestre occupavano un posto di primaria importanza: ceci, lenticchie e cavoli, soprattutto. Tante verdure cotte servite calde con un filo d’olio oppure crude in insalata. Zucchini, cipolle e porri fritti impanati o in pastella, uova sode oppure in frittata di cipolle. Trionfano le polpettine fritte, le melanzane fritte affettate o intere ma anche farcite dei carne e spezie.

Il pesce per essere Kasher doveva avere le pinne e le squame. Per conseguenza niente anguille, molluschi e crostacei, con la sola eccezione dell’ aragosta. Latte e formaggi per prescrizione talmudica, dovevano essere serviti in apposite stoviglie.

Ogni quindici giorni si faceva il pane di farina di frumento. I pan ricoperti di sesamo,erano mandati dalla famiglia del futuro sposo ai consuoceri per allontanare il malocchio.

San Giuseppe è poi il giorno delle “Vampe” che derivano quasi certamente dalle feste del fuoco legate al primordiale culto solare.

Quei falò dovevano assicurare nuova luce e calore a uomini, animali e piante, di contro la distruzione di tutti gli elementi corruttivi e negativi. E’ assai curioso che questa ritualità coincida all’incirca con  l’ equinozio di primavera quando il giorno dura quasi quanto la notte. Poco più tardi la luce del sole avrà il soppravvento sulle tenebre e quei fuochi davano una mano al sole nella lotta contro le tenebre.

 

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