IL CIOCCOLATO DI MODICA

Una tradizione che si tramanda a Modica dal XVI secolo e che affonda le sue radici in Messico dove 3.500 anni fa i Maya e gli Aztechi utilizzavano il cioccolato come cibo degli dei. Il cioccolato di Modica è ottenuto dalla lavorazione a freddo di ingredienti altamente selezionati, escludendo pertanto la fase del concaggio. La massa di cacao viene lavorata assieme a zucchero di canna grezzo, senza aggiunta di alcun emulsionante o additivo. Grazie a questo lento e lungo processo a freddo i cristalli di zucchero rimangono integri all’interno della massa, donando al prodotto finale una consistenza granulosa e grezza. Ora finalmente anche biologico per la prima volta!

 

Furono li spagnoli nel XVI secolo ad introdurre in Sicilia lavorazione del cioccolato ed precisamente nella Contea di Modica, a quel tempo uno dei più importanti stati feudali del sud Italia, dotato di autonomia amministrativa. Gli spagnoli, a loro volta, l’avrebbero mutuata dalla civiltà precolombiana degli  Aztechi. Attualmente esistono tracce di questo tipo di lavorazione in Spagna (“el chocolate a la piedra”), oltre che nelle comunità indigene di Messico e Guatemala. Leonardo Sciascia ricorda come tale lavorazione rimanesse ai suoi tempi nella città di Alicante, precisando anche che esistessero originariamente le sole due versioni con le aggiunte di vaniglia e cannella. Storicamente si è tramandato come un dolce tipico delle famiglie nobili che durante le feste e le occasioni importanti lo preparavano in casa. In questo modo si è tramandato fino ai giorni nostri e solo successivamente è diventato un prodotto dolciario di fama internazionale.

La massa di cacao, ottenuta dai semi tostati e macinati (detti localmente caracca, provengono da Sao Tomè in Africa) e non privata del burro di cacao in essa contenuta, viene riscaldata per renderla fluida. Ad una temperatura non superiore a 40 °C viene mescolata a zucchero semolato o di canna, e spezie come cannella, vaniglia, zenzero o peperoncino, oppure con scorze di limoni o arancia. Il cioccolato rimane comunque con elevate percentuali di massa di cacao, minimo 65%, anche nelle versioni “classiche” fino ad arrivare alle versioni purissime con 90% di massa di cacao.

Nella lavorazione a mano la massa veniva deposta su uno spianatoio a mezzaluna, detto la valata ra ciucculatta, costruito interamente in pietra lavica e già riscaldato, e poi veniva amalgamata con il pistuni, speciale mattarello cilindrico di pietra, di diverso peso e spessore in rapporto alle fasi di lavorazione e cioè la prima, la seconda e la terza passata, fino alla raffinazione che prendeva il nome di stricata. In molti laboratori oggi queste fasi di lavorazione sono effettuate da più moderne temperatrici.

Il composto viene sempre mantenuto ad una temperatura massima di 35-40 °C che non fa sciogliere i cristalli di zucchero che rimangono integri all’interno della pasta. Ancora pastoso, viene versato in apposite lanni (formelle di latta a forma rettangolare) che vengono battute sia perché abbia, una volta solidificato e freddo, la forma del suo contenitore sia per far venire in superficie eventuali bolle di aria e rendere il prodotto compatto. La barretta di cioccolato ottenuta è lucida con delle scanalature, a volte più opaca, ha un colore nero scuro con riflessi bruni, una consistenza granulosa e un po’ grezza.

La forza del prodotto consiste nella semplicità della lavorazione, nella masticazione granulosa e friabile grazie sia alla mancanza della fase di concaggio che allo zucchero che si presenta in cristalli, e nell’assenza di sostanze estranee (grassi vegetali, latte, lecitina di soia)

 

La Pasqua in Sicilia

La Sicilia per il visitatore è una terra inesplorata. Forse può suonare strano ma esiste una Isola bellissima che solo un poco per volta possiamo spiegare e  la Settimana Santa è uno di questi  momenti ideali.

E’ difficile riassumere tutto questo e a maggior ragione spiegare le tante sfaccettature di queste ritualità dove il sacro si mescola spesso al profano come spesso avviene. Uno scrigno di sorprese che spesso colpisce al cuore: religiosità popolare, devozione sentita, atmosfera suggestiva e riti che affondano in tradizioni secolari si diffondono in tutte le province. Cortei di congregazioni e confraternite delle arti e dei mestieri nei loro caratteristici e antichi costumi, con passo cadenzato, con la banda che segue ritmi luttuosi o suoni di festa di resurrezione, seguono “scinnute” e “giunte” trasportando statue, teche, crocifissi, vare, fercoli, addobbi floreali, giganti di cartapesta, vassoi con strumenti di crocifissione, simboli religiosi di morte e “festa” e poi Pasqua è festa dolce anche in cucina. Fitta di sapori e tradizioni. Dalle cuddure all’aceddu cu l’ova, biscotti che abbracciano uova sode, dagli agnellini di zucchero e pasta reale, circondati da frutti, alla cassata, nato come dolce pasquale, uno dei simboli della cucina siciliana, dai palummeddi ai pani a forma di colomba

Interessate è il venerdì santo di Caltanissetta dove scalzi e in un silenzio commovente i Fogliamari d portano in processione il Cristo nero, “ladanti” di preziosi canti tradizionali che raccontano la vita di Cristo, scortati dalla Real Maestranza vestita a lutto. Nella città immobile, illuminata dalle candele, il rito si ripete e unisce culto, storia e la terra dei raccoglitori di erbe amare.

Emozioni che si ripetono dai misteri di Trapani e alle processioni degli incappucciati a Enna, dalla “Diavolata” di Adrano al ballo dei diavoli di Prizzi, con i loro mascheroni, ai Giudei di San Fratello. Senza dimenticare il fascino dei riti pasquali greco-albanesi a Piana degli Albanesi, Contessa Entellina, Santa Cristina, Mezzojuso e Palazzo Adriano.

Si annodano fasce di tela di lino bianche per “Lu Signuri di li fasci” a Pietraperzia, si preparano grandi archi di pane, e frutta, alloro, rosmarino, cereali, datteri, canne, a San Biagio Platani, gli “schetti” si sfidano a Terrasini. A Enna la processione del Venerdì Santo è l’apice delle celebrazione della Settimana santa: le quindici confraternite, la sacra immagine di Maria SS. Addolorata e l’urna con il Cristo Morto sono il fulcro della lunghissima processione per le vie della città. Riti che si ripetono da San Cataldo a Gangi, da Militello ad Adrano, da Caltagirone a Vizzini. E se oggi città e borghi si parano a lutto nella giornata più sentita della quaresima, domenica canti, “iunte”, incontri e abbracci si inseguono con bambini in veste di angioletti a celebrare la Resurrezione.