Torna alle stampe il Manuale Teorico Pratico d’ Agricoltura

 

 di Placido Salamone

Ritorna alle stampe dopo oltre centoquarant’ anni il Manuale Teorico Pratico di Agricoltura, la pregevole opera  tecnico scientifica  del Rev. Sac. Gaetano Salamone messa alle stampe la prima volta nel 1870 e  frutto di un meticoloso lavoro condotto dal reverendo per circa due anni finalizzato a fornire ad un pubblico non molto erudito le nozioni basilari di scienze agrarie con un attenzione particolare al distretto di Mistretta. Una ristampa dell’ opera aggiornata e rivisitata in chiave moderna dal Dr. Agr. Benedetto Salamone si era resa necessaria  soprattutto per il grande valore storico ed etno-antropologico del opera e che è possibile acquistare online su:

Ad ogni settore agrario trattato dal reverendo, delle note d’aggiornamento completano l’opera che ritorna ad essere utile, allettante e di facile consulto, in grado di fornire all’agricoltore solerte ed attento delle nozioni di rapida conoscenza. Le scienze agrarie, come tutte le scienze sono sempre un cosmo di continua evoluzione, con nuove teorie, scoperte, ed innovazioni grazie all’opera instancabile di studiosi e ricercatori. Guardare avanti con un occhi al passato per dare continuità alla propria tradizione pastorale ma con l’utilità di chi vive ai giorni nostri. Per questo le note aggiuntive non sono mai troppo erudite ed  offrono delle conoscenze pratiche che possono rendere la lettura più allettante e dei riferimenti più pratici anche per chi non è molto addentrato nel mondo dell’agraria.

Sac. Gaetano Salamone

Introdurre lo studio sui manuali teorico-pratici di agricoltura del Rev. Salamone  significa fare una panoramica del clima politico e sociale un cui queste opere furono redatte.  La Sicilia agricola della seconda metà dell’Ottocento sebbene in maniera tardiva risentiva culturalmente un’influenza di quel progresso culturale già iniziato dal Settecento. Lo confermano le numerose analogie che collegano i manuali de prelato mistrettese con opere come il “Corso di Agricoltura Teorico-Pratico” dell’illustre cattedratico Paolo Balsamo, la cui amicizia con Arthur Young, Robert Bakewel e Sir Humphry Davy oltre ad introdurlo alle più avanzate conoscenze agricole dell’epoca contribuì notevolmente a influenzare il suo pensiero politico, intendendo l’agricoltura in senso moderno, come una scienza che, attraverso l’abolizione di alcune norme protezionistiche, avrebbe potuto aumentare la stabilità economica dei proprietari terrieri (che si sarebbero trasformati in imprenditori) e le condizioni di vita dei contadini.

In verità l’’area geografica dei Nebrodi Occidentali facente capo a Mistretta per tutto il sec. XIX mostrò una vitalità imprenditoriale eccezionale e lo conferma anche il Balsamo nelle “Memorie inedite di pubblica economia ed agricoltura” del 2 gennaio 1808 che così scriveva: <<gli agricoltori di  Mistretta e di qualche altra delle nostre popolazioni pressoché unicamente pastori, non ostante le tanto esagerate di sfavorevoli circostanze dell’arido e caldo clima, con l’economia delle pecore hanno spesso messo insieme quelle riguardevoli fortune che frequentemente non si vedono nelle persone dell’istessa condizione nel continente d’Italia ed altrove>>.

Mistretta (Me)

Da cosa derivava quest’opulenza? Il fenomeno è spiegato con dovizia dal Rev. Salamone che così scriveva <<.In quel tempo, per la peste e altre cause l’Isola era spopolata e più di ⅔ delle terre erano incolte; fu allora che i Mistrettesi uniti in diverse società presero in fitto vari feudi dell’Isola e più di un 1/3 dei feudi di Val di Mazzara; dai guadagni di queste società ne nacque opulenza di varie famiglie, l’ingrandimento di quasi una metà della Città di Mistretta, l’applicazione di regole di una buona intesa pastorizia e per la notevole pratica e abilità dei campieri e fattori Mistrettesi, questi presiedevano all’agricoltura e pastorizia in buona parte della Sicilia”>>.  Un’epoca prosperosa per l’industria agraria e pastorale mistrettese poiché si resero disponibili vaste estensioni di territori, un ridotto insediamento demografico, una forma nuova di conduzione armentizia definita “società”, la quale diede dei profitti economici vantaggiosi. Ma com’era strutturata questa società?  Questa era costituita da un proprietario o padrone che anticipava il capitale in denaro e tutto il materiale occorrente per lo svolgimento dell’attività pastorale e a costui si associavano dei soci detti prezzamara, gli animali che appartenevano ai vari soci erano costituiti da bovini, ovini, caprini ed equini. Ciascun socio doveva concorrere in proporzione a tutte le spese della mandra o pagando gli interessi del capitale al padrone o approntando un capitale proporzionato al numero degli armenti che metteva in società: chi portava 1000 pecore concorreva alla spesa per 1000, chi 100 per 100 e così di seguito. Alla fine dell’anno a conteggi ultimati, gli utili si dividevano in proporzione agli animali che ognuno possedeva lasciando in mano del padrone i capitali necessari per le spese della mandra da dover anticipare nell’anno a venire mentre la restante parte rimaneva di guadagno. Questi capitali impiegati per la mandra consistenti in denaro, frumento, e altri generi erano intitolati colonne della mandra.

mascherone mistrettese

A inizio secolo le più grandi società mistrettesi di armenti furono quelle del barone Ignazio Russo di Capizzi che il sacerdote Salamone epiteta come “patriarca” da cui tutte le altre trassero origine, quella del barone La Motta di Nicosia e del principe Valguarnera, tutte amministrate e dirette da mistrettesi, e altre grandiose quelle di don Gaetano Mastrogiovanni Tasca, di Lo Jacono, di Cannata, di don Francesco Di Salvo e dei Fratelli Salamone. Per dare un’idea si può con certezza riportare che nel 1812 nella sola Val di Mazzara vi erano ventisette mandre di Mistretta con più di 120.000 ovini.   Cessate però nel 1814 le guerre napoleoniche e Re Ferdinando I di Borbone ritornato a Napoli, dopo lo scioglimento del blocco continentale e l’abbandono degli inglesi e riapertosi il commercio con l’estero, i prezzi dei cereali e del bestiame a colpo si abbassarono a meno di un sesto di quanto erano prima e gli affittuari non potendo più pagare quei terreni presi in gabella, dovettero fingersi falliti e ritirarsi da quei siti. Le poche società che rimasero in piedi riuscirono a continuare nella loro attività ed essendo non molte ne trassero grandi vantaggi. A cavallo tra il vecchio Stato borbonico e il nuovo Governo Sabaudo le più grandi mandre di armenti erano delle famiglie Tasca, Allegra, Giaconia, Salamone, Di Salvo Pollineo e Lipari. La società mistrettese rappresentò un’interessante novità nel mondo dell’economia e non è un caso che divenne oggetto di studio per molti economisti che identificano con la dicitura “contratto alla mistrettese”, come cita Salvatore Pagliaro Bordone in “Mistretta antica e moderna- 1902” << l’associazione di più persone nel fitto di un ex feudo, ovvero di qualche altro negozio, costruendo ciascuno per la sua tangente più o meno di quella di un altro socio e dividendosi i guadagni o le perdite secondo a porzione pecuniaria, ossia il tempo del lavoro impiegato da alcuni compagni>>. Dopo il 1830, essendo venuto meno il rapporto di fiducia che legava i diversi soci, si escogitarono altre forme sociali quali ad esempio “le società, dette a spese sapute” cioè chi voleva mantenere 100 pecore o capre, secondo i tempi ed i luoghi, doveva pagare 30 onze circa e poteva allevare 25 agnelli. Alla file dell’anno prendeva tutto il cacio, le ricotte, la lana, e gli agnelli che producevano le suddette pecore e vendeva, per suo conto, le pecore vecchie ed i castrati.; il sistema delle” pecore e capre per il frutto”; dove il padrone principale della mandria riceveva otto onze ed il latte; al padrone delle pecore o capre tutti gli altri prodotti ed in fine quello del “bestiame tenuto a fida”consistente nel pagare al padrone principale una data somma per ogni animale, a condizione dì pascolare detti animali fidati. in quei luoghi ove pascolano gli animali del padrone principale.  Se questo retaggio culturale illustre influenzò certamente la formazione delle generazioni successive altre ragioni, vanno spiegate per comprendere a pieno il clima che si respirava alla vigilia della redazione dei già citati manuali di agricoltura. Con la salita al trono di Ferdinando II di Borbone nel 1831 si ebbe un nuovo impulso alla ricerca scientifica in agricoltura, vennero, infatti, istituite nelle province del Regno le Commissioni di Agricoltura e Pastorizia dirette da eminenti studiosi i cui lavori ebbero ben presto le stampe. Nel 1855 si tenne l’Esposizione Universale di Parigi. Questa rassegna internazionale era un’ottima vetrina per i paesi partecipanti, avendo questi la possibilità di mostrare le proprie capacità produttive al mondo che contava. Si costituirono pertanto i comitati promotori circondariali e quello di Mistretta fu presieduto dal Barone Giuseppe Salamone coadiuvato dal Barone Giovanni Russo, il Cav. Croce Melia, il barone Giovanni Sergio, Don Girolamo Larcan e Don Ignazio Di Giorgio. Cinque anni più tardi il Regno delle Due Sicilie sarà brutalmente travolto dalla rivoluzione garibaldina.  Nel 1860 a Mistretta regnava il malcontento generale. Mentre l’aristocrazia si era defilata dalla gestione della cosa pubblica in previsione di inserirsi nel nuovo ordine, i contadini intravedevano nella rivoluzione la speranza di ottenere, finalmente, la terra e quindi l’indipendenza economica tanto agognata. Si profilava quell’aspetto politico e sociale importante della questione agraria e contadina. Dal momento in cui Garibaldi sbarcò a Marsala la situazione dell’ordine pubblico, a Mistretta, si fece alquanto preoccupante. Avvennero numerosi disordini. Il 17 agosto 1860, la festa del santo patrono degenerò in un tumulto. Qualcuno attentò alla vita del barone De Carcamo già presidente del comitato provvisorio e Governatore del distretto. Le fasi successive, furono un susseguirsi di consigli comunali, ora per discutere sull’elenco degli indigenti ora sulle terre pervenute al Comune dopo lo scioglimento delle promiscuità da individuale per la ripartizione ora sul problema della quotizzazione, la questione agraria non trova comunque uno sbocco e il problema rimase isoluto ancora per molto tempo.

Comunque nel 1866 con Regio Decreto 3452 del 23 dicembre il nuovo governo italiano ordinava l’istituzione in ogni capoluogo di circondario di “Comizi agrari” al fine di presentare al Governo le innovazioni di ordine generale e locale che si consideravano in grado di migliorare le sorti dell’agricoltura, raccogliere per esso le notizie che fossero richieste nell’interesse dell’agricoltura, fare opera di informazione tra i contadini per diffondere le coltivazioni migliori, i metodi più adatti alla coltivazione, gli strumenti più moderni e perfezionati, promuovendo esposizioni e concorsi di macchine e strumenti agricoli, infine controllare che fossero rispettate le norme di igiene sanitaria. Nel Comizio Agrario di Mistretta sorto per interessamento dell’Avv., Gaetano Giordano fu eletto a presiedere l’avv. don Filafelfio Russo che mostrò da subito un’encomiabile vitalità. L’impegno prioritario del Comizio, come scrivere il sacerdote Salamone, era di “ rendere utile ai nostri contadini e pastori, onde muoverli a migliorare lo stato abbiettissimo di nostra agricoltura” ma senza accorgersene lasciò tramite i manuali di agricoltura un contributo non indifferente alle scienze agrarie in tutte le sue branche e agli studi etno-antropologici di questo vasto comprensorio.  Le informazioni che da essi si possono attingere oltre che avere in parte un’utilità reale ancora oggi, costituisco un patrimonio di informazioni inestimabile sulle consuetudini agricole e silvopastorali del territorio nebroideo. Del resto anche se non riporta nel testo disegni e illustrazioni il sacerdote da erudito scrive e parla di agricoltura e di zootecnia con parole molto semplici, descrivendo tutto quello che vede e osserva nelle campagne. I lavori preparatori dell’opera durati due anni furono pubblicati dal Rev. Salamone in due volumi a distanza di pochi anni; in particolare, la prima parte del lavoro, composta di circa 180 pagine, fu data alle stampe nel 1870, presso la locale tipografia comunale, col titolo “Manuale teoricopratico di Agricoltura”; la seconda parte, composta di circa 270 pagine, fu pubblicata nel 1872, presso la tipografia diretta da G. Mauro, dal titolo“Manuale teorico-pratico d’Agricoltura e Pastorizia”. Ognuno dei due volumi si presenta suddiviso in dodici trattati composti a loro volta da parecchi paragrafi. La finalità odierna di una ristampa di tali opere è duplice, la riscoperta di antiche pratiche agronomiche che oggi definiremmo ecosostenibili colmando tramite note aggiuntive tutte le lacune cognitive sulla scienza agraria che il sacerdote data l’epoca in cui visse non poteva possedere, quindi aggiornare e rendere le opere di uso pratico oltre che di valore storico-scientifico. Secondo dare un nuovo impulso agli studi agronomici in aree geograficamente svantaggiate.

I salotti del gusto e l’italian style

di Placido Salamone

Il cibo italiano è da tempo sinonimo di qualità, un marchio che il “Bel Paese” si è ritagliato nel tempo attraverso una costante e meticolosa opera di promozione turistica. Un autentica operazione di marketing che ha spinto europei ed extraeuropei a considerare le competenze gastronomiche dell’italiano generalmente di livello superiore rispetto al resto d’Europa.

In effetti sono numerosissime e variegate le produzioni alimentari d’eccellenza ed il fatto di essere uno degli elementi di punta del “ Italian style” dice già tutto. Insomma! Gli italiani sono un popolo sempre in grado di reinventarsi  e ciò è spinto anche e soprattutto dall’ esigenza di contrattaccare in una terra commercialmente sempre più ostile per loro. Per ovviare a questo disaggio da qualche anno per iniziativa di alcuni imprenditori, sono nati in Italia i “salotti del gusto”. L’idea è del tutto nuova e ben diversa rispetto alla semplice e comune degustazione che tutti conosciamo, tanto da avere un largo seguito in Lombardia e Toscana, da sempre in testa in fatto di novità.

I “salotti del gusto” prevedono una area espositiva nella quale le aziende possono presentare, raccontare e condividere con il pubblico, storia, tradizioni e passioni, ma allo stesso tempo è un “laboratorio” nel quale esplorare e sperimentare, con l’ausilio di esperti, prodotti, abbinamenti, tendenze e sapori. L’obiettivo è quello di diffondere la cultura del gusto, formare una rete di contatti e creare sinergie di sviluppo commerciale, per questo i naturali destinatari di questi eventi sono manager, imprenditori, ristoratori, chef, sommelier, buyers, wine&food lovers e opinion leaders.

Salottini ai bordi della sala consentono al pubblico di degustare comodamente ma ciò che più conta è la location. La struttura deve presentarsi di livello medio alto ed in grado di offrire servizi soddisfacenti. Non è un caso che ad oggi a condividere questa idea siano state strutture alberghiere prestigiose come il Gran Hotel Principe di Savoia di Milano o il Grand Hotel Quisisana di Capri solo per citarne alcune.

Questo esperimento è un marchio di fabbrica che rimane ad oggi un esperimento italiano ben riuscito e difficilmente imitabile, ricco di stimoli e destinato a degli sviluppi .Quali sviluppi?

Questo non posso proprio dirvelo!

 

Pennette ai carciofi, pancetta e pomodorini


 

Una video-ricetta , in compagnia dell’ effervescente Letizia Passarello e di Vincenzo Sambataro , titolare della Trattoria “Le Giare” di Tusa,  per presentare Sua Maestà il Carciofo spinoso palermitano  in una  ricetta tradizionale appetitosa e di facile realizzazione.

Il Carciofo Spinoso siciliano e’ coltivato secondo la tradizione contadina nel palermitano tra Cerda, Sciara, e la piana tra Termini Imerese e Buonfornello ed in una seconda area riguardante il territorio di Menfi e non va assolutamente confuso con altri prodotti che trovate sui banchi alimentari che sono extra-europei.
Il segreto delle sue virtù risiede nella cinarina, la sostanza aromatica che gli conferisce il caratteristico sapore amaro e molte delle sue proprietà benefiche e terapeutiche. Contiene lo 0,15 % di grassi, il 3,1 % di proteine, il 5,4 % di fibre, l’1 % di zuccheri, l’85 % di acqua % e l’1,1 % di ceneri.

E’ricco di potassio, contiene calcio, sodio, fosforo, ferro, magnesio, zinco, rame, manganese e selenio. Il carciofo contiene vitamina A, le vitamine B1, B2, B3, B5, B6, B12, vitamina C, vitamina E, K e J ed  inoltre contiene mucillagini e piccole quantità di composti flavonoidi con proprietà antiossidanti: beta-carotene, luteina e zeaxanthina.

Il carciofo è ricco di antiossidanti per la presenza dell’ l’acido clorogenico, una sostanza con proprietà antiossidanti che è in grado di prevenire malattie arteriosclerotiche e cardiovascolari e proteggono contro il cancro. Infatti  queste sostanze, come è risaputo, sono uno dei principali mezzi per di difesa del sistema immunitario nei confronti dei radicali liberi, sostanze dannose per la salute che possono dare origine a malattie pericolose tra cui anche i tumori. Le proprietà antiossidanti dei carciofi provengono anche dai polifenoli (quercetina e rutina), dalla vitamina C, la vitamina A, la vitamina E e dai flavonoidi. È stato dimostrato che i flavonoidi hanno proprietà preventive nei confronti del tumore al seno. L’organo che trae i maggiori benefici dalle proprietà del carciofo è il fegato. La cinarina, un acido presente anche nelle foglie, i cui principi attivi vengono disattivati dalla cottura (per questo motivo è meglio consumare il carciofo crudo), favorisce la diuresi e la secrezione biliare. La cinarina è anche utile al fegato per guarire da patologie come epatite, cirrosi ed ittero. Efficace anche in caso di avvelenamento chimico. C’è poi da aggiunge che il carciofo ha proprietà digestive e diuretiche e, grazie alla presenza di cinarina e inulina, permette di abbassare i livelli di colesterolo.

 

PALM OIL AND RAINFOREST , A GLOBAL EMERGENCY

Denunciare! E’ questo l’obbligo di ogni blogger libero ed indipendente affinché si sappia delle conseguenze incontrollate della produzione intensiva dell’olio di palma. Questa volta mettendo nero su bianco. Cibo, cosmetici, e molti altri beni dei principali marchi mondiali contengono ancora olio di palma prodotto attraverso una concorrenza sleale e gravi violazioni dei diritti umani come in Indonesia, dove bambini anche di soli otto anni lavorano in condizioni pericolose. Un infamia enorme già denunciata in passato da Amnesty International, in un rapporto intitolato “Il grande scandalo dell’olio di palma: violazioni dei diritti umani dietro i marchi più noti” frutto di un’indagine sulle piantagioni dell’Indonesia appartenenti al più grande coltivatore mondiale di palme da olio, il gigante dell’agro-business Wilmar, che ha sede a Singapore.

Per conoscere più affondo il problema vi consiglio di seguir questo approfondimento di Daniela Vlacich

Qualunque consumatore che pensa di fare una scelta etica acquistando prodotti in cui si dichiara l’uso di olio di palma sostenibile dovrebbe tener conto dello  sfruttamento dei lavoratori, e della distruzione della foresta pluviale,  tutto per installare monocolture di palma da olio, mettendo in pericolo l’ambiente e l’ecosistema. Oltre alle grandi piantagioni dell’Indonesia, dove si concentra la maggior parte della produzione mondiale, la sua coltivazione intensiva si è diffusa dagli anni 2000 anche in diversi paesi africani. Il Gabon, ad esempio, dove il 12 dicembre l’organizzazione statunitense Mighty, che si occupa di campagne ambientaliste, e l’ong gabonese Brainforest hanno pubblicato un rapporto dal titolo “Palm Oil’s Black Box” in cui denunciano la deforestazione praticata dall’azienda Olam in Gabon. Secondo il rapporto, la multinazionale di Singapore avrebbe distrutto la foresta gabonese per installare monocolture di palma da olio, mettendo in pericolo l’ambiente e l’ecosistema di molte specie animali. Dal 2012 Olam avrebbe distrutto approssimativamente 20.000 ettari di foresta. La compagnia ha cominciato ad operare nel paese nel 2010 quando, grazie ad una joint ventures con il governo, ha ottenuto una concessione di 300.000 ettari. Olam ha rigettato le accuse garantendo, invece, il carattere sostenibile e responsabile della sua produzione. La compagnia però, nel comunicato di risposta al rapporto, ammette anche di aver raggiunto un accordo con il Gabon per la conversione di una parte delle zone forestali più degradate, in zone agricole. Nel mese di marzo del 2016 è finita sotto osservazione Socfin, una compagnia belgo lussemburghese che produce gomma e palma da olio in diversi paesi africani, tra cui: Camerun, Nigeria, Costa d’avorio e Sierra Leone. A denunciare Socfin è stata Greenpeace France con il rapporto “Minacce sulle foreste africane” che sottolinea il ruolo della compagnia nella deforestazione del bacino del fiume Congo e di Sao Tomé e Principe. Socfin viene contestata anche dalle comunità locali di contadini che si sono visti sottrarre le loro terre per l’implementazione delle piantagioni. In Sierra Leone sei attivisti sono finiti in carcere con l’accusa di aver distrutto 40 piante di palma nel 2013.

 

IL CAVALLO SICILIANO INDIGENO

pubblicità libro salamone1 

La scoperta di un altra Sicilia ad altezza di sella, il primo appuntamento del nostro speciale parte alla scoperta di una razza cavallina oggi quasi scomparsa- IL CAVALLO SICILIANO INDIGENO – che rimane comunque oggi espressione della Sicilia e del suo inestimabile patrimonio zootecnico.

Attraverso una dotta relazione del Dr. Benedetto Salamone di Casaleni, presidente del CO.RE.C.A.S. (Comitato Regionale per lo studio ed il recupero dell’Antico Cavallo Siciliano) in concomitanza con l’uscita della sua nuova inedita opera editoriale “Il Cavallo Siciliano Indigeno -il gentile siciliano da sella – edizione Lampi di Stampa -Milano” si ripercorre la lunga ed affascinate storia di questa razza cavallina che unisce alla bellezza la dote della frugalità.

 

 

LA CASSATA SICILIANA

Un altra puntata squisitamente siciliana di A Pranzo con Letizia insieme al maestro pasticcere Giulio, titolare della prestigiosa omonima pasticceria sita a Capo d’Orlando, fornitrice ufficiale della Presidenza del Consiglio sotto il Governo Berlusconi. Salita agli onori della cronaca per la famosa “crema del Presidente”.

Alla Torre del Gusto non poteva amancare il dolce tipico della tradizione siciliana:  La cassata. Attraverso una scrupolosa spiegazione ed illustrazione di tutti i passaggi, il maestro pasticcere Giulio rivela i segreti per una buona e corretta realiazzazione di questa famosissima torta di origine araba.

Tra gli ospiti di questa puntata, l’ Arch. Giuseppe Siragusa, presidente della Comunità Slow Food Monti, Valli e Costa alesina.

Alla prossima….

LA PASTA REALE

La tradizione, Natale è una festa anche di tradizioni e la Torre del Gusto, sempre pronta ad andare alla scoperta della Sicilia inedita non poteva lasciarsi sfuggire questa occasione per parlarvi di un dolce tra i più rappresentativi della Sicilia ma dalle numerose varianti.

Giorgio d’Antiochia

La Pasta Reale sembra sia nata infatti  alla fine del 1100, nel convento palermitano della Martorana, annesso alla chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, che deve il suo nome a Giorgio d’Antiochia, ammiraglio del re Ruggero II. Il nome “reale” attribuito alla pasta dolciaria si può ricondurre al fatto che essa fosse “degna di un re” per la bontà e l’eccezionale delicatezza del dolce. Non è un caso che a Mistretta, in provincia di Messina, cittadina che in età medievale rientrava nella antica Contea degli Antiochia, questa tradizione è ancora oggi molto viva ed ha acquisito delle sue peculiarità. Certamente grazie la rinomata arte gastronomica conventuale  la ricetta  divenne ben presto anche popolare e oggi la pasta reale è una peculiarità della tradizine dolciaria siciliana e presente nella cassata, il rollò, le cassatelle, le cassatine e la frutta di martorana detta anche  frutta di pasta reale la quale si regala in occasione della festa di Ognissanti.

Alcuni maestri pasticcieri lavorano la mandorla in maniera artigianale con il miele, fino ad ottenere una pura pasta di mandorla, che può inoltre essere aromatizzata al limone o all’arancia oltre che essere ricoperta di zucchero a velo. Una delle più note applicazioni dolciarie della pasta di mandorle è la cosiddetta frutta martorana o pasta reale, ossia i “finti frutti”: vero capolavoro dell’artigianato dolciario siciliano. Altre specialità siciliane sono le paste alla nocciola dell’Etna e al pistacchio di Bronte e di Adrano, e l’Agnello Pasquale di Favara preparato con pasta di mandorle e ripieno di crema di pistacchi.

Semplice negli ingredienti, la pasta reale richiede comunque un abilità manuale. La preparazione dolciaria più o meno consistente è costituita da farina di mandorle, zucchero e acqua. Vediamo insieme le dosi:

  • gr.500 di farina di mandorle
  • gr.500 di zucchero
  • ml.125 di acqua
  • poche gocce di estratto di vaniglia

Mettiamo in un tegame l’acqua e lo zucchero, mescoliamo e portiamo ad ebollizione, togliamolo dal fuoco non appena lo zucchero fila. Prendendo il mestolo di legno con cui abbiamo mescolato il composto e sollevandolo, lasciamo scolare qualche goccia di zucchero sciolto, se la goccia colando si allungherà a filo, è il momento di togliere il tegame dal fuoco e di incorporarvi la farina di mandorle precedentemente preparata e lavorata a dovizia senza eccedere, per evitare il surriscaldamento dell’ olio della mandorla, e la vaniglia. Il punto di cottura è importante perché andando oltre lo zucchero potrebbe bruciarsi. Mescolate bene per fare amalgamare la farina allo zucchero e versate la pasta sul tavolo di marmo opportunamente bagnato. Appena sarà fredda lavoratela finché non diventa liscia e compatta. A questo punto potrete iniziare la lavorazione. Nella tradizione di Mistretta le composizioni richiamano i fregi architettonici del paese e gli elementi dominanti sono il grappolo d’uva e la rosa ma le varanti sono incalcolabili. Una volta realizzata la forma si pone su una base di pasta frolla e si mette a riscaldare in forno dai 5 a 10 minuti ad una temperatura di 180°. Mettetevi al’opera! Cosa aspettate!

 

 

DANIELA FEDI ALLA TORRE DEL GUSTO

 

La Torre del Gusto non smette mai di accoglie al suo interno personaggi importanti, professionisti, artisti, scrittori, imprenditori che con il loro lavoro, la loro passione ed il grande bagaglio di esperienze costituiscono la più bella espressione dell’ “italian style”.

In questa puntata abbiamo avuto l’ onore di avere come ospite la nota giornalista Daniela Fedi, milanese DOC,  critico di moda del “Il Giornale”, scrittice e responsabile moda del mensile STYLE.

Un incontro con una personaggio solare, dalla eccezionale capacità di analisi critica, attraverso i cui occhi abbiamo rivisto “l’altra Sicilia”, splendida, ricca di storia ma sconosciuta ai molti.

Una vita lavorativa intensa quella di Daniela Fedi tra Milano, Roma, New York e Parigi, a contatto continuo con celebrità  ed un  prestigio professionale che le valso un meritato rispetto nel mondo della moda ed una consolidato rapporto di  amicizie  da “DOLCE E GABBANA” a  Marella Ferrera.

Attraverso il nostro video un intervista originale dedicata ad una Sicilia  insolita,sconosciuta ai molti!

Una buona visione!

 

 

 

SPECIALE SAGRA DEL CACIOCAVALLO DI CASTEL DI LUCIO

Eccoci al nostro rituale appuntamento su Blog. Questa volta siamo a Castel di Lucio in Sicilia, un simpatico paesino posto sulla catena montuosa dei Nebrodi alla scoperta di un evento di grande attrazione  ed espressione di una tradizione illustre:LA SAGRA DEL CACIOCAVALLO DEI NEBRODI

Ricca di storia e tradizione, Castel di Lucio, anticamente detta  Castelluccio prende il nome dal medievale castelletto eretto nel ‘300 dai potenti Conti di Ventimiglia a cui si deve tradizionalmente la fondazione della cittadina. Inglobata per secoli all’interno della Contea  nel XVII° sec. venne eletta a ducato passando sotto il controllo di diverse famiglie feudali. Oggi uno scrigno di testimonianze artistiche ed architettoniche in particolare di provenienza sacra.

Un profondo legame lega poi  gli abitanti di Castel di Lucio alla pastorizia e nello special modo la bovinicoltura di cui gelosamente conservano gli antichi criteri di allevamento, maestri della produzione della tradizionale provola o cascavaddu.

La provola dei Nebrodi è un  caciocavallo prodotto con latte vaccino crudo e rientra nella categoria dei  formaggi a a pasta filata . Deve il suo nome ai monti sui quali viene prodotta, secondo un antico procedimento tramandato di padre in figlio. La provola ha una crosta liscia e lucida, di colore giallo paglierino  molto apprezzata,  è utilizzata anche come ingrediente per piatti tipici della gastronomia siciliana.

Per saperni di più sul procedimento di lavorazione guarda il video:

Giunta alla 26° edizione la sagra del Caciocavallo dei Nebrodi si ripete puntualmente il 17 di agosto e continua ad attrarre a se continui visitatori. L’iniziativa promossa dal Comune di Castel di Lucio con l’ausilio di un team di volontari prevede da programma una dimostrazione di lavorazione del latte eseguita sapientemente dai maestri casari locali e successivamente una degustazione in corso di lavorazione della quagliata, della tuma e della ricotta ed ovviamente l’ assaggio du cascavaddu sia fresco che stagionato con la variante della provola alla griglia. Il tutto tra l’ animazione di gruppi folck e l’ ass. Le Ceciliane

La bravura dei maestri casari si spinge spesso alla realizzazione di autentiche opere d’arte frutto di esperienza ed abilità innata. Questi piccoli capolavori di pasta filata detti “murriti” rappresentano un’altra attrazione della manifestazione e per tale occasione viene indetto un concorso giunto alla sua terza edizione appunto per  valorizzare il cacio figurato meglio realizzato.

Non c’è che dire! Una manifestazione di grande interesse! Non perdete l’occasione di visitare il paese ed assaggiare la provola dei Nebrodi. Alla prossima!

SPECIALE SAGRA DELL’ OLIO D’OLIVA DI TUSA

Cari Amici

Eccoci ad un nuovo appuntamento su Blog, la nostra rubrica di approfondimento, alla scoperta di uno  degli eventi più importanti e rappresentativi di Tusa: La sagra dell’olio extravergine d’oliva.

Una tradizione olearia illustre quella di Tusa e del circondario,  legata ad un territorio ad alta vocazione olivicola. Qui tra arbusti sempreverdi della macchia mediterranea alternati a mandorli e giardini  di agrumi,  migliaia di ulivi dominano la vallata del fiume Halaeso ed il litorale costiero alesino.

In questo territorio la produzione e la commercializzazione del’olio d’oliva è documentata fin dai tempi della Magna Grecia li dove  un tempo sorgeva la famosa e potente città di Halaesa Anconidea, nel cui  porto voluto dal senatore romano Claudio Pulcro confluivano in gran quantità dall’interno della Sicilia e da  tutto il circondario, olio, vino e cereali per essere imbarcati verso la “Grande Urbe”.

A testimonianza della grande produzione d’olio, gli ulivi millenari che ancora oggi sopravvivono alle insidie del tempo e degli uomini rappresentando  l’immenso patrimonio naturale di questo angolo di Sicilia. Nerbo dell’ economia delle grandi aziende e  delle piccole proprietà contadine del territorio, grazie all’ olio d’oliva si svilupparono ed ingrandirono attività collaterali come la costruzione di giare in terracotta nella vicina Santo Stefano di Camastra.

La giara stefanese aveva caratteristiche completamente diverse da altre giare prodotte in Sicilia ed in Italia, per la particolare composizione dell’ argilla in cui vi era la presenza di sostanze carbogene non ben bilanciate con il ferro, consentendo di tirarne al tornio in dimensioni maggiori rispetto alle altre sino a contenere quantitativi d’olio di 3-4.000 kg,  peculiarità che rese la giara prodotto di punta di tutta la produzione stefanese.

Sarà con il XIX° sec. che le prime grandi compagnie commerciali comincioro l’esportazione del l’olio d’oliva di Tusa e dintorni

Con  navi leggere e veloci , gli schonner, l’olio d’oliva insieme ad altre primizie solcava i Mar Tirreno  per giungere a Napoli e Genova e poi l’ Oceano Atlantico fino al porto di Anversa .

Attraverso un graduale miglioramento della tecnica di raccolta e di spremitura oggi l’olio d’oliva di Tusa  costituisce oggi un indiscutibile  eccellenza. Dal sapore  leggero ed  dal colore giallo con riflessi verdognoli derivanti dalla due varità predominanti , ogliarola messinese e santagatese, è un condimento ideale per tutti il cibo.

Giunta alla sua ventesima edizione La SAGRA DELL’OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA si svolge ogni anno puntualmente  il 10 di agosto. Di fatto nasce da un progetto maturato all’interno del circolo ARCI di TUSA, per far conoscere l’olio d’oliva prodotto nel territorio di Tusa e della valle dell’ Halaesa.

Durante la sagra vengono offerti prodotti tipici locali, le bruschette condite con olio Tusano ed arricchiti con aromi vari, ottenuti da ricette segrete e il più delle volte tramandate oralmente. La sagra offrirà anche i gustosi ceci in brodo, sfinge e ciambelle, le verdure fritte in pastella con l’olio extra vergine d’oliva, accompagnate tutto da buon vino e musica dal vivo

Non perdete quindi questo caratteristico appuntamento