Nebrodi e Cavalli
Cosa vi colpisce di più dei Nebrodi? Certamente la natura lussureggiante cosi diversa dalla tipica immagine naturalistica siciliana arida e secca. “Un isola nell’ Isola” come amavano definire questo territorio gli arabi che ancora oggi non smette di conservare sorprese. Alle fitte foreste, gli alberi maestosi e la temperatura più bassa del solito le differenze si moltiplicano quando il discorso cade sul binomio uomo-cavallo. Parlare della tradizione equestre dei Nebrodi e come fare un tuffo nel passato alla ricerca dello spirito più profondo delle genti di questi luoghi. Un legame profondo con la fede religiosa e con le consuetudine della faticosa vita contadina. Attraverso un lavoro di montaggio di riprese, la Torre del Gusto vuole provare a regalarvi un emozione. Vuole provare visivamente a comprendere le espressioni della più manifesta identità siciliana e lo vuole fare mettendo come protagonista principale il cavallo, che sia un cavallo indigeno siciliano od un sanfratellano, attraverso il lavorato e varipinto carretto siciliano e la rievocazione delle più tipiche rappresentazioni della cultura contadina o religiosa. Una buona visione!
L’allevamento del cavallo nell’area appenninica italica e sicula per la valorizzazione dei suoli marginali e di scadente produttivita’
di Benedetto Salamone
Con l’esodo rurale, avvenuta nel dopoguerra, l’uomo ha abbandonato molti terreni di collina e di montagna ed in primis quei suoli ubicati sulle pendici più soggette all’azione distruttiva dagli agenti climatici. Con l’evacuazione dell’uomo dalla collina e dalla montagna si è rotto quell’equilibrio precario che si era mantenuto per millenni e che aveva sempre mantenuto un certo equilibrio nella nostra ecologia.
In conseguenza di ciò i processi naturali hanno ripreso il sopravvento e si è assistito lentamente a quei fenomeni di erosione del terreno, di calanchivi tipici delle aree appenniniche e dei movimenti franosi, e che oggi con l’incidenza delle perturbazione climatiche sono divenuti incalzanti ; osserviamo fenomeni di asportazione del suolo fertile fino a lasciare delle volte scoperti il pietrisco sterile e la roccia madre. Nel 1961 i terreni abbandonati erano circa un milione di ettari, nel 1979 si è passati a 2 milioni di ettari, nel 2000 ad oltre 4 milioni se a questi si aggiungono i terreni mal coltivati per la scarsa produttività a causa della frammentazione e della dispersione della proprietà terriera, si è arrivati a 8 milioni e più di ettari che possiamo definire improduttivi.
Di fronte a questo male incalzante e che tende di anno in anno ad estendersi è inderogabile la necessità di gestire meglio il nostro territorio e le sue risorse agrarie evitando l’abbandono dei terreni di collina e della montagna che indirizzano anche ad un degrado delle aree pianeggianti, ad una equa e dignitosa rivalutazione dei prodotti che si ricavano e principalmente ad uno snellimento commerciale della materia agraria ottenuta ed a una offerta più remunerativa.
A tale scopo per gestire meglio il territorio ci si è rivolti a politici e tecnici per riuscire ad individuare le terre abbandonate o mal coltivate per dare luogo ad una riconversione agricola basata su concreti studi tecnici, e scientifici; i suggerimenti proposti, in tema di produzioni agricole, zootecniche, nel realizzo di adeguate infrastrutture, nelle sistemazioni idraulico agrarie e forestali ecc. potrebbero richiedere dei tempi talmente lunghi da negare la validità di un programma globale d’intervento nel suo insieme.
Questo studio vuole, si nei suoi limiti agronomici, partire da una analisi delle caratteristiche ambientali del territorio collinare – montano, per dare una risposta sulle reali capacità di utilizzo di questo tipo di territorio a favore dell’allevamento equino. L’analisi delle caratteristiche pedologiche, idrologiche, morfologiche e climatiche del nostro territorio italiano sono molto varie ma si possono sempre individuare i fattori che limitano ed influenzano l’uso agricolo dei suoli.
Il territorio nazionale è costituito dalla facies pliocenica argillosa caratterizzata da un composizione chimica pedologica variegata nelle varie regioni , da terreni sciolti e poco tenaci al nord ad un suolo “forte e duro “ nell’estremo sud per non dire della Sicilia. La tessitura non sempre è equilibrata, prevalendo in generale l’argilla, che sotto l’azione dell’acqua rigonfia per poi spappolarsi lungo i pendii, mentre in estate sotto l’azione del calore si riduce di volume a causa dell’evaporazione per divenire secca e per andare incontro alle screpolature; nella stagione delle piogge a causa del ruscellamento si determina l’ erosione che è la causa prima dello smottamento a cui seguirà in appresso il danno maggiore che è il franamento ed i calanchi. Il tasso di sostanza organica è generalmente limitato; ciò determina una riduzione della fertilità del suolo (montano – collinare) italiano in quanto la microbiologia ci insegna che il terreno deve essere dotato di attività biologica, cioè ricco di microfauna e di microflora, ed il quantitativo di microrganismi presenti nel suolo è direttamente proporzionale al contenuto in sostanza organica , che assicurano lo svolgimento dei processi che generalmente, da un punto di vista pedologico, favoriscono un buon sviluppo della vegetazione. Sovente si riscontrano metodi di lavorazioni meccaniche che sono in contrasto con quei principi agronomici che assicurano una certa stabilità del suolo, specialmente in quelle aree a rischio frane ; senza dubbio l’uso del trattore, l’aratura profonda, senza l’ausilio di una corretta rete idrica scolante, determinano la perdita di suolo fertile che si può stimare intorno a 2 mm di erosione specifica annuale.
L’insieme dei fattori riportati ha determinato il degradamento di molti prati pascoli e terre coltivate ricoperte da una cotica erbosa con specie infestanti e di poca produttività. I pascoli, concentrati sulle fasce pedologiche argillose e calcare argillose ed arenarie ( le marne) sono dotati di un pabulato magro ; così dicasi di quei suoli infestati di specie erbacee infestanti non gradite agli animali. Bisogna osservare che in questi ultimi tempi si è riavuto un ritorno alla terra , alle ex colture dei seminativi, con l’insediamento della zootecnia, all’allevamento di bovini ed equini, con l’impianto di prati polifiti e all’utilizzo dei boschi; quest’ultimi assicurano d’estate un ottimo ombreggiamento associato al rifornimento di quantità di alimento non indifferente.
Le condizioni pedoclimatiche limitano nello stesso tempo l’utilizzo del pascolo; temperature troppo basse obbligano gli allevatori a riportare in basso o in stalla gli animali anche a metà novembre. Quindi fra le cause che influiscono sul degrado delle zone interne collinari e della montagna in generale si possono così riassumere :
- Fattore climatico – non modificabile ;
- Fattore geopedologico modificabile – con grandissime spese ;
- Strutture fondiarie inadeguate ;
- Frammentarietà dell’impresa ;
- Ridottissimo flusso di capitale che ha ridotto la programmazione e la creazione di aziende stabili;
- Ridottissima produzione che ha inciso sulla trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agricoli ;
- La crisi economica del bovino da carne .
In questa situazione , non certo favorevole per gli agricoltori e operatori rurali delle zone interne, si è inserito l’allevamento del cavallo , destinato alla produzione di carne o a razze da sella per l’equitazione. Gli Interventi per incentivare le produzioni agricole dovranno avere due obiettivi :
- L’assetto del territorio con miglioramento della produttività ;
- Una maggiore produzione zootecnica del cavallo;
- Uso dell’irrigazione dove è possibile;
- Uso dei laghetti preesistenti e creazione di nuovi ;
- Far ricorso a foraggere convenzionali, graminacee e leguminose ma anche a piante arbustive ed arboree;
- Evitare il super sfruttamento del pascolo, specialmente nei terreni dissestati, pietrosi e con forte declività.
Un aspetto importate da esaminare riguarda la produttività del pascolo.Le rese in fieno che caratterizzano i nostri pascoli montani e collinari in generale risultano in UF ed in quantità troppo scarse, ma suscettibili di notevole incremento come lo dimostrano numerose ricerche condotte in questi ultimi anni, in tema di miglioramento delle risorse foraggere ; un argomento non tanto accettato da parte degli allevatori. Il fatto sta che l’argomentazione ha trovato adito nel piano della ricerca sperimentale ed non è andato oltre.
E’ illusorio ritenere che un intervento di miglioramento attuato una tantum possa risolvere definitivamente il problema. Si necessita di una serie di interventi che vanno dall’apporto dei fertilizzanti agli infittimenti artificiali o naturali, al numero degli animali che vengono immessi nel terreno, al tempo che essi possano pascolare in un dato appezzamento. Circa l’uso di varietà foraggere non selezionate, in Italia, esse hanno dato risultati deleteri, sia perché non adatte all’ambiente e quindi i rendimenti produttivi sono molto bassi, sia per la loro scarsa competitività con la flora spontanea.
Un mezzo che potrebbe aiutare ad attenuare questo effetto negativo è il ricorso ai cespugliati ed al bosco ; nei cespugliati scegliere quelle varietà più appetitose come il biancospino, la sanguinella, il sambuco; nel bosco il contributo foraggero è rilevante; nel periodo critico di settembre e quando ad ottobre non piove i cavalli si cibano principalmente con foglie di rovere,quercia,castagno, olmo, prugnole,nocciole, di ginestra spinosa il cui valore nutritivo non è inferiore alla sostanza secca di fieno normale ed il contenuto di proteine grezze possono soddisfare le loro esigenze nutritive.
La possibilità di migliorare il cotico erboso, è un problema molto dibattuto sia per l’epoca in cui deve avvenire la semina, sia per le operazioni agronomiche da effettuarsi prima della semina e sia per l’opportunità di mescolare le graminacee fra di loro.
E’ consigliabile aumentare il bestiame in quei pascoli che da tempo sono abbandonati e dove il cotico è fortemente inquinato, in modo che gli animali affamati mangino anche quelle specie erbacee che non sono ad essi gradite ; si sconsiglia d’arare in quanto lo strato fertile è di limitato spessore e questa operazione può mettere in serio pericolo la stabilità delle pendici e facilita il ruscellamento con conseguenti fenomeni di erosione.
Circa la scelta della razza che può essere allevata, la scelta risiede in quella che l’agricolture ritiene più opportuno sia come razza indigena da sella sia come razza da carne.
Ci si può indirizzare alle razze regionali da sella come il Siciliano, il Murgese, il piccolo Bardigiano, il biondo Avelignese e alle razze da carne : il Cavallo Agricolo Italiano da Tiro Pesante Rapido al Franches Montagnes originario del Giura Svizzero, razze che si adattano a vivere di quel pabulato dei boschi montani dell’area appennnica , cavalli frugali detti per antonomasia cavalli della steppa.
La tecnica d’allevamento si può basare sul semistallino o sul brado ; scelta che risiede nel programma tecnico dell’allevatore e nelle sue condizioni finanziare.
Si consiglia suddividere gli equidi per età specialmente nella loro fase adolescenziale creando dei paddock : gruppo dei puledrini svezzati, da non unire a quelli di un anno, quest’ultimi separati dai due anni , a parte i tre anni ; questo è un problema legato alla competizione alimentazione dove il più grande tede a nutrirsi maggiormente rubando alimenti al più piccolo e facendo in modo da scalzarlo; al quarto anno le femmine si possono già considerare puledrone e vengono immesse nel branco; attenzione : se le fattrici sono circa una ventina non tenerle a branco unico, separarle a gruppi di circa 8 animali con uno stallone per ogni gruppo; ciò evita un ridotto calpestio del suolo ed una minore perdita di superficie pascolativa; comprensivo che la superficie complessiva del fondo vada divisa. Le fattrici con il redo vanno poste in una area a parte, staccate dal gruppo dato l’esiguità corporea dei nascituri.
Circa i fabbisogni alimentari dobbiamo distinguere :
- il fabbisogno di mantenimento che viene applicato per lo stallone fuori stagione di monta e per le giumente nei primi mesi di gravidanza : essa è pari a 0.9 U.F. per q. di peso vivo; aggiungere 70 / 80 gr.di proteine digeribili per q. di peso vivo. Così per un cavallo di 5 q. il fabbisogno è pari a 4,5 U.F. e 400 gr. di proteine digeribili;
- il fabbisogno di produzione nella fase di gravidanza si considera dal 7° mese nella misura di 0,2 UF /q. ; di 0,5 UF/q dall’8 mese e di 1 UF dal 10 mese all’11 mese ; si ha così un totale di 100 UF nel periodo predetto con un contenuto in proteine digeribili di 100 – 120 gr per UF somministrata ;
- il fabbisogno nel periodo di lattazione è proporzionale al latte prodotto; la sua determinazione è più complicata di quella della vacca; per semplificare il calcolo per ogni kg di latte si considera : 40 g. di proteine digeribili e 0,25 UF ;
- il fabbisogno dello stallone nel periodo di monta richiede più proteine che energia; dovendo compiere 30 – 35 monte al mese il fabbisogno nutritivo è pari a 4 / 4,5 UF e 500 gr. di proteine digeribili giornaliere ;
- Sali minerali e vitamine : il NaCl è importante; il cavallo col sudore ne espelle parecchio ; si può usare il sale semplice;
- Ca e P sono i due minerali più studiati nel cavallo ; nella dieta vi è sempre maggiore ricchezza di P (fosforo) e povertà di Ca ;
- Per le vitamine : si ricordano la A – la D3 – la C quest’ultima agisce nel tropismo dei capillari.
- Alimenti : foraggi verdi ; foraggio essiccato : fieno di ina ; fieno di medica ; avena .
Solo con l’allevare e con la pratica giornaliera nell’accudire l’animale che si può apprendere la conoscenza del fai da te nella sua corretta metodologia.
Bibliografia :
- Il cavallo nella valorizzazione delle aree marginali – Antonio Checchi –Edizione Edagricole
- Il Cavallo Indigeno Siciliano – Benedetto Salamone ; Edizione Lampi di Stampa
- La Razza Reale di Ficuzza – Benedetto Salamone ; Edizione Lampi di Stampa
Le Facoltà Intellettuali del Cavallo
Il cavallo è fra gli animali quello che ha dato maggiore occasione di discutere circa l’intelligenza; su di esso si sono emesse numerose opinioni, dettate da una parte da notevole entusiasmo dall’altra da un certo discredito.
Senza dubbio questa divergenza di opinioni va ricercata in alcuni suoi atti di comportamento, anche se isolati, che possono giustificare ora un ottimismo degli uni, ora il pessimismo degli altri.
Chi osserva un cavallo che fa dello strepito a causa di aver preso paura della propria ombra, timore che lo ha sempre accompagnato dalla sua nascita, oppure di un pezzo di carta agitato dal vento nella pubblica via, oppure di un fuscello agitato del vento, oppure dal cinguettare di volatili appollaiati sui rami di un albero ecc. che causano un suo sobbalzo improvviso a rischio di precipitare in un burrone circostante, a rischio di disgrazie fatali, chi osserva questi fatti, non può certo giudicarlo un animale dotato di notevole intelligenza; ma dalla semplice osservazione di fatti isolati non è possibile dare un giudizio esatto , formarsi un concetto esatto; per esprimere un giudizio consono su di un animale, è necessario condurre ripetute osservazioni, su tutti gli aspetti.
L’arabo che fa vita comune col suo cavallo è poco incline di ritenerlo un animale stupido, senza intelligenza; ma è corretto dover giudicare il cavallo meno intelligente, di alcuni altri animali, dotato di facoltà intellettive mediocremente sviluppate ma nello stesso tempo molto suscettibile di perfezionamento sotto l’influenza della domesticità e dell’educazione.
Esaminiamo l’argomento nel giusto ordine : superiore al cavallo per intelligenza sono il cane e il gatto fra i mammiferi domestici; la scimmia, la volpe, il lupo e l’elefante fra quelli non domestici;
Nelle Historie des chiens cèlèbres il Richebourg mette in evidenza quanto sia superiore l’intelligenza del cane a quella del cavallo; così ci dicono il Romanes, l’Alix, e tanti altri. Osserviamo per esempio che ogni qualvolta un cavallo montato, preso da istantanea paura, si da alla fuga, sbalzando il cavaliere dalla sella, se questo è accompagnato da un cane, quest’ultimo non segue mai il cavallo, ma rimane di solito invece presso il suo padrone ; spesso si è osservato il cane abbaiare contro il cavallo, che sbuffando con le orecchie indietro, impressionato da qualche futile inezia non vuole proseguire la strada e rincula con pericolo di tutti. Il gatto dimostra possedere facoltà intellettuali superiori al cavallo; il l’Alix, il Duges ,il Romanes ecc. lo provano con evidenza basata sulla costatazione di fatti , dice il Colin : dopo il cane l’animale che ha più intelligenza è i gatto, quantunque questa facoltà si mostri meno in evidenza in causa dei costumi e delle abitudini di questo carnivero.
Fra i mammiferi non domestici risultano più intelligenti del cavallo : la scimmia, la quale a sua volta appare sotto questo rapporto superiore anche al cane; Il lupo per intelligenza è molto simile al cane, col quale ha comunanza dei caratteri zoologici; la volpe, dice il Brehm è superiore in fatto d’intelligenza a quasi tutti i mammiferi : una sua astuzia molto frequente è quella di fingersi morta sdraiandosi per terra, quando si vede braccata dal cacciatore e non potendo fuggire; anche l’elefante è giudicato più intelligente del cavallo, come lo dimostrano dei fatti autentici. Per l’asino è difficile potere affermare che sia tanto inferiore al cavallo in questo rapporto; il modo prudente e pieno di circospezione come esso si comporta nei sentieri più pericolosi, denota che in esso l’intelligenza non fa difetto. L’asino domestico è più intelligente che stupido, ma nella sua intelligenza ha minore bonomia del cavallo : esso è molto indolente, poco dotato di volontà , il lavoro non è di sua simpatia; con i suoi capricci, con le sue testardaggini, manifesta piuttosto furbizia e malizia ; si lascia facilmente ammaestrare, il che è prova di intelligenza, in quanto deve entrare nella volontà di un altro essere, cioè dell’uomo.
Le facoltà intellettuali di cui il cavallo dà indubbiamente prove sono le seguenti :l
- Attenzione – E’ questa una facoltà molto spiccata nel cavallo e viene facilmente in lui eccitata; quando esso si dimostra indifferente a quanto lo circonda dà indizio di malessere fisico; il prendere di nuovo interesse per parte sua vuol dire che esso e sulla via della guarigione.
- Riflessione – La riflessione è : la facoltà suprema che ha la mente di riposarsi in se stessa ; nel cavallo è molto rudimentale, come nel resto negli altri animali e consiste negli effetti di memoria del castigo ricevuto e di conseguente paura di riceverlo di nuovo.
- Confronto – La facoltà di paragonare due o più cose fra loro per conoscerne le somiglianze o le differenze esiste nel cavallo ed esso ne dà una prova molto frequente,, quando giunto ad un bivio, ad esempio, esita un momento fra le due strade, e sa poi distinguere la vera e si avvia in quella.
- Giudizio – Il cavallo gode della facoltà di farsi un concetto di una data cosa; se lo si costringe a saltare un ostacolo troppo alto sproporzionato alle sue forze, esso vi si rifiuta. Se attaccato ad un birocco viene lasciato libero, perché il conducente si appisola, esso da solo modifica le andature, schiva gli ostacoli piegando a destra o a sinistra; se gli ostacoli sono molti o impossibili da superarsi, per parte sua, esso si ferma dando prova di averli giudicati nella loro entità.
- Ragionamento e sagacia – Dice Alix : Il cavallo si dà a ragionamenti molto manifesti e spesso molto complicati. Egli racconta di un cavallo, che essendo in una piccola scuderia da solo, aveva trovato il modo di aprire la porta per uscire tirandone il catenaccio coi denti e traendo a se la porta stessa, la quale si apriva dal di fuori al di dentro e eseguendo questa operazione quando era assente il custode .Si sa con quanta persistenza e frequenza vi sono cavalli che riescono a liberarsi della capezza anche se vengono adoperati dei mezzi che impediscono loro di farlo; si sa di un cavallo che quando veniva indotto in una località a lui nota, portava il cavaliere con allegrezza , se era spinto in altra direzione a lui non conosciuta si opponeva facendo moltissimi strepiti.
- Memoria – Questa facoltà di conservare e risvegliare le nozioni acquisite intorno a fatti, oggetti e persone, che risultano dalle tracce lasciate nel cervello da tutti i fenomeni fisiologici, che vi hanno luogo,è nel cavallo la facoltà intellettuale più spiccata, ed è in lui tanto istintiva , quanto acquisita.
- Immaginazione – L’immaginazione creatrice è una facoltà esclusiva riservata all’uomo, ma l’immaginazione riproduttrice che si riscontra in tutti gli animali non solo superiori ma perfino nei molluschi –Romanes – esiste certamente. Come noi ci immaginiamo il gusto di un dato frutto al solo vederlo, ci ricordiamo un dato oggetto al vederne un altro che gli rassomiglia, come noi in sogno associamo, combiniamo nella nostra mente molte idee, molte immagini che ci impressionano durante la veglia, così anche il cavallo sogna corse, rischi, pericoli come risulta evidente dai suoi brividi e dai suoi tremori durante il sonno. E’ suscettibile di immaginarsi la lunghezza della strada che deve percorrere al solo vedere che gli si fa prendere non appena uscito di casa e lo manifesta col camminare svogliato, col rallentare senz’altro l’andatura; e viceversa la celerità, la buona volontà con cui cammina al ritorno è una prova evidente che esso si immagina che giunto alla scuderia potrà mangiare e riposarsi.
- Linguaggio – Il cavallo non possiede la facoltà del linguaggio come l’uomo, il quale esprime colla parola quell’intelligenza che viene negata, appunto perché in essi la parola non esiste.Comunque sia è certo che il cavallo non manca di mezzi per manifestare in parte i suoi sentimenti, i suoi desideri, le sue passioni ; per mezzo di gesti i cavalli si domandano reciprocamente particolari servigi, specialmente di farsi fregare le regioni del corpo alle quali non arrivano con la bocca o con i piedi, e si fanno comprendere mordendo dolcemente il compagno nella regione stessa in cui vogliono essere fregati. Mediante speciali atteggiamenti o nitriti di qualcuno fra essi, i cavalli che vivono in branchi allo stato selvaggio, vengono messi sull’avviso dell’avvicinarsi di un pericolo, e prendono subito la fuga. Il cavallo esprime la diffidenza, la paura, il terrore con una serie di atteggiamenti e di modificazioni nella espressione della fisionomia, che non è possibile ingannarsi sulla loro interpretazione : così dicasi della gioia della collera, del dolore fisico ecc. Non solo, ma emette anche dei nitriti speciali, diversi a seconda del sentimento che vuol manifestare. Gli ippologi riconoscono cinque sorta di nitriti, che si riportano dal Baraldi, così distinti :
- Il nitrito di allegrezza, in cui la voce si fa udire assai lungamente, si eleva e finisce con i suoni più acuti; il cavallo scalpita nello stesso tempo, ma leggermente ma non cerca di colpire;
- Il nitrito del desiderio, sia d’amore, sia d’affetto, in cui il cavallo non scalpita, si fa udire lungamente e nitrito finisce con suoni più gravi e più rapidi ;
- Il nitrito della collera, nell’atto del quale tira calci e colpisce pericolosamente, è assai breve ed acuto;Il nitrito del timore, accompagnato simultaneamente dall’atto di tirar calci; la voce è grave, rauca e sembra uscire interamente dal naso ;
- Il nitrito del dolore, non è proprio un nitrito, bensì un gemito, accompagnato da voce grave, cacciata fuori nelle alternative della respirazione.
L’attenzione, una certa riflessione, il confronto,il giudizio, i ragionamento, la sagacità,la memoria, l’immaginazione produttrice, la manifestazione parziale dei propri sentimenti sono facoltà intellettuali che indubbiamente esistono nel cavallo e sono a lui ausiliarie a quelle istintive nelle diverse circostanze della vita.
Ma l’attenzione presenta per il cavallo esigenze ben limitate, quindi gli atti che esso deve compiere con l’intervento delle facoltà intellettuali sono pochi e la maggior parte di quei pochi deve essere ripetuta tutti i giorni e più volte nella giornata, cosicchè esso finisce col tempo a compierli bene anche senza l’attenzione per forza dell’abitudine; il che fa dire a coloro i quali negano le facoltà intellettuali del cavallo, che esso agisce per forza di abitudine e non per doti d’intelligenza.
Ma se l’abitudine puo’ far compiere degli atti negli animali, anche difficili, e senza l’attenzione per parte loro, ciò non esclude però, che allorquando questi atti debbono essere appresi e compiuti le prime volte, si rende necessario l’impiego di molta attenzione . Noi ad esempio uscendo da casa indossiamo la giacca senza neppure badarvi, per l’abitudine che abbiamo da fare questa operazione ogni giorno; ma quanta attenzione avrà richiesto questa operazione nel compierla quando eravamo ragazzi facendola le prime volte ?
Senza dubbio anche fra i cavalli come negli uomini vi sono i più o meno pronti a ricevere le impressioni, i più o meno dotati di memoria, per conservarle; impressioni e memoria, la cui intensità è in ragione dello sviluppo della forza vitale, della sensibilità, della integrità e della conformazione regolare degli organi ; gli animali ammalati perché sofferenti, possono prestare poca attenzione agli oggetti che li circondano.
Nei cavalli linfatici, perché poco sensibili, in quelli troppo nervosi perché eccessivamente impressionabili, lo sviluppo della intelligenza al di là dei sentimenti istintivi è più limitato ; i cavalli invece delle razze nobili, di costituzione normale, costituzione mesomorfica, di temperamento sanguigno, sono i più suscettibili al perfezionamento delle facoltà intellettuali, in quanto che approfittano di più dei benefizi di tutti quegli agenti atti a rendere perfettibile l’intelligenza del cavallo, quali sono : la domesticità, l’educazione, le buone maniere, l’esperienza, le condizioni locali ecc.
La domesticità e l’educazione soprattutto hanno la massima influenza sullo sviluppo delle facoltà intellettive del cavallo, tanto quanto sulle sue condizioni fisiche; il Colin dice : “lo vediamo rimanere grossolano e pesante con l’abitante della campagna , selvaggio o capriccioso li dove gode di tutta la sua libertà ; piegato a mille esercizi, alla caccia, al maneggio li dove ha ricevuto una educazione speciale alla quale le sue diverse facoltà lo rendono così proprio”.
La differenza enorme che si rileva fra il cavallo arabo delle tribù beduine, ove si ha un’amore spiccato per quest’animale con uno dei nostri cavalli, ci fa capire dell’influenza massima che hanno la domesticità e l’educazione sullo sviluppo delle facoltà intellettuali.
Dicono gli arabi “ il cavaliere forma il suo cavallo come il marito la sua moglie “ – Alix ; l’educazione del cavallo deve essere molto gelosamente curata, affinchè possa essere giustificato quest’altro proverbio “ il paradiso sulla terra è dato, dal cavallo, dalla saggezza, e dal cuore della donna “
Benedetto Salamone di Casaleni
I FORMIDABILI ” DIAVOLI BIANCHI”
La vera storia della cavalleria borbonica
La cavalleria ha rappresentato per secoli uno dei più organizzati e micidiali strumenti di guerra, spesso determinante per il buon esito delle battaglie e non è un caso, da sempre, oggetto di grande attenzione per le Case Regnanti di tutta Europa, poiché da quest’ arma dipendeva la gloria ed il prestigio militare della Nazione.
Anche la Casa Reale di Borbone dedicò particolari cure alla cavalleria che rappresentò per efficienza ed organizzazione l’ orgoglio dell’ Armata Reale delle Due Sicilie. Essa fu uno deo frutti delle riforme illuministiche promosse da Carlo III ed attuati dal successore Ferdinando IV (III di Sicilia) da primo ministro Acton che fece venire a Napoli numerosi ufficiali stranieri perché come istruttori ed organizzatori riordinassero l’ esercito napoletano secondo i più recenti sistemo d’Oltralpe. Un francese, il brigatiere Oreille, fu incaricato della riorganizzazione della cavalleria.
Questo corpo dette ottima prova di se, facendo parte delle truppe di prima coalizione nel corso della I° Campagna napoleonica d’ Italia
Il 10 Maggio 1796, durante la battaglia di Lodi, al Ponte sull’ Adda, la cavalleria borbonica si trovò a fare parte della retroguardia austriaca comandata dal generale J.B. Beaulieu.
Dovendo favorire la ritirata degli austriaci, i cavalieri duo-siciliani, anche se circondati ed in numero inferiore al nemico, tornarono due volte alla carica. I reggimenti “Napoli” e “Principe” agli ordini del brigatiere Ruiz persero 271 uomini ma consentirono agli austriaci di ripiegare.
Il giorno 29 maggio i reggimenti “Re” e “Regina”, “Principe” e “Napoli” furono impiegati nelle battaglie nei pressi dell’ abitato di Valeggio (Veneto), offrendo anche in quel giorno prova di intraprendenza, di coraggio e di valore. Uno squadrone del “Re” giungeva addirittura a minacciare il quartier generale dei francesi e Napoleone stesso, al momento della firma d’armistizio fu ben contento di sottrarre agli austriaci questi quattro reggimenti di cavalleria, facendoli affluire in territorio neutrale(Veneto), affermando che da allora in poi le sue vittorie sull’ Austria erano diventate più facili poiché non aveva più contro di se quella “ buone e bella cavalleria” i cui soldati, vastiti di lunghi cappotti bianchi, si erano guadagnati l’ appellativo di “Diavoli bianchi”.
La struttura dell’ Arma, voluta dal Borbone aveva portato alla soppressione delle due tradizionali specialità dei dragoni e della cavalleria ordinaria.
Il corpo era diviso in otto reggimenti riuniti in quattro brigate a loro volta accorpate in due divisioni. Ogni reggimento era formato da quattro squadroni di campagna e mezzo squadrone di riserva. Inoltre in ogni squadrone vi erano ventiquattro cavalieri montati alla leggera su cavalli calabresi, con funzione di fiancheggiatori della riserva. Lo Stato Maggiore di ogni reggimento era composto da un colonnello, un primo e secondo maggiore, un quartier mastro e due aiutanti.
Facevano parte dell’organico anche un cappellano, due chirurghi, un maestro maniscalco, un maestro sellaio,un armiere ed un incaricato della polizia militare. Ogni reggimento contava trecento cavalieri. Il regimento “Re” e “Regina” erano i mogliori e componevano la Prima Brigata modello. I reggimenti Rossiglione e Terragona traevano origine dai due reggimenti spagnoli ed avevano reclute di quella nazionalità.
Durante il periodo in cui la corte riparò a Palermo, regnante a Napoli Gioacchino Murat, la cavalleria fu ordinata su tre reggimenti con il nome delle tre valli siciliane: “Val di Mazzara” “Val Demone”e “Val di Noto”.
Sotto il regno di Ferdinando II, un sistematico piano di riforme mutò l’intera organizzazione dell’ Arma. Nel 1829 venne costituito il Corpo dei lancieri Real Principe Ferdinando, nel 1833 i gloriosi reggimenti “Re” e “Regina” presero il nome di I° e II° Dragoni e nel 1848 vennero istituiti il Corpo dei Carabinieri e dei Cacciatori. Nove erano i reggimenti di cavalleria, due reg. Ussari, tre Reg. Dragoni, due Reg. Lancieri, un Reg. Carabinieri ed un Reg. Cacciatori.
La cavalleria borbonica si servì sempre di cavalli di elevata qualità di ceppo orientale-andaluso provenienti dai rinomati allevamenti di tutto il Regno. Il Re e la Casa Reale si rifornivano presso i prestigiosi allevamenti di Persano e Carditello (parte peninsulare) e Ficuzza (parte insulare). Uniforme della cavalleria dal 1789 al 1806 era di chiaro stampo settecentesco e molta fu l’ influenza dello stile prussiano ed austriaco. La cavalleria vestiva di bianco. Dal 1806 in poi tutto l’ esercito si vestì in blu, si introdusse la schakot, ovvero il copricapo cilindrico con visiera per quasi tutti i corpi. Gli ufficiali di cavalleria in grande uniforme indossavano una gianberga di panno blu celeste ed n calzone tagliato all’ ungara di panno bianc, cappello e stivali. La giamberga era di identico taglio per truppe e d ufficiali distinguendosi solo per la qualità del panno e per i galloni che l’ adornavano.
L’utilizzo del Cavallo Siciliano Indigeno per la caccia con il falcone
Vi propongo quest’ articolo che esemplifica la docilità del Cavallo Siciliano di cui molto c’è da dire ma che certamente per tanti versi è l’ estrinsecazione della millenaria cultura siciliana. Buona lettura!
Non è facile entrare nel mondo dei falchi e della falconeria ma una volta introdotti si rimane affascinati; è un’arte piena di difficoltà e d’imprevisti e non c’è dubbio che, praticandola a cavallo, gli ostacoli aumentano notevolmente anche se ciò provoca maggiori emozioni al falconiere, il quale porta nel suo bagaglio genetico quel carattere indistruttibile di sentimento, di nostalgia, d’amore per il passato medievale.
E’ una cultura che risale ad epoche antichissime, come numerose testimonianze di vari paesi vengono a dimostrare: addestrare falchi o altri uccelli di rapina, utilizzandoli per la cattura della preda.
Il mondo orientale ha detenuto nel passato questo primato d’addestramento: la raffinatezza del pensiero culturale, la perspicacia, la pazienza, l’astuzia sono caratteri genetici tipici dei popoli del Sol Levante; i cavalieri Mongoli ne sono una testimonianza, in quanto ne furono i primi artefici e gli Arabi hanno altrettante tradizioni antiche; i Cinesi nel 200 a.C. adottavano tecniche di ammaestramento e tutta l’area del Medio Oriente è stata la culla della falconeria.
Nell’alto Medioevo, con l’invasione dell’Europa, da parte di popoli scesi dal nord della Siberia, questa nuova tecnica della caccia farà la sua apparizione e dal 1500 al 1600 verrà eletta al grado di “istituzione”.
Per tutto il lungo periodo medievale e parte del rinascimento il falco veniva considerato un volatile di pace, un mezzo di riappacificazione fra due popoli in contrasto fra loro, merce di scambio fra cristiani e mussulmani nel periodo delle crociate. Protetto per mille e più anni nel corso della storia dell’uomo, in cui leggi severe venivano applicate a chi uccideva o rubava i piccoli dai nidi, con l’avvento della polvere pirica e la nascita delle riserve di caccia e la conseguente loro gestione, la falconeria avrà una fase decrescente lenta e conclusiva.
Come poter considerare un arte simile senza la presenza del cavallo, entità indispensabile per la vita e l’attività dell’allora cavaliere – falconiere, un animale sempre pronto a sopperire alle necessità dell’ esistenza quell’epoca.
I cavalli in generale sono animali intelligenti che imparano ad accettare un volatile che plana su di essi o un falcone che al volo, rapido e repentino si porta ad appollaiare sul pugno del cavaliere, ma vi sono dei cavalli che non accettano il rapace, che si intimoriscono, così dicasi pure di quei cavalli eccessivamente nevrili. La taglia media è di per se un fattore positivo in quanto il cavaliere può montare e smontare da sella con maggiore facilità.
Riferito al Cavallo Siciliano Indigeno, erede dell’antico equus siculo, per il suo passato ancestrale, per l’utilizzo che nei secoli se ne è fatto in questo genere di sport, accetta il rapace ed associa alla sua conformazione elegante, sobria e nell’insieme corretta, un ottimo sviluppo delle masse muscolari, un giusto equilibrio fra l’attitudine e la sua costituzione, un temperamento calmo e nello stesso tempo contenutamene nevrile, un portamento fiero di cavallo nobile e sicuro di sé, impavido a qualsiasi pericolo, con spalle ed anche che si muovono liberamente e con la destrezza e l’abilità di piegar bene i garretti.
Egli assicura tranquillità al cavaliere ed al falcone, in modo da non arrecare danno ad entrambi. Senza dubbio un cavallo equilibrato, di altezza media, 1.55 – 1.58, ricco di energia, di fondo, di velocità necessaria qualora lo si volesse utilizzare per sostenere le fatiche della caccia, ottimo per galoppare attraverso le campagne, di muoversi con destrezza su suoli impervi, di saltare o di superare con facilità gli ostacoli che incontra.
La storia della Sicilia ci dà una immagine chiara ed eclatante della falconeria, terra in cui si sviluppò notevolmente questo tipo di caccia: in questa isola amata dal grande Federico II, il falco sarà addestrato per quest’attività con il cavallo, il quale avrà un ruolo preponderante. L’Imperatore aveva una predilezione per i falchi, congiunta a quella dei cavalli ed importò dal Nord Africa, dalla regione un tempo chiamata Cirenaica molti cavalli ed altrettanti ne fece giungere dal Nord Europa
e li innestò sui cavalli siciliani. Esperto cultore equestre dell’addomesticamento, dell’addestramento, dell’arte e della cura medica veterinaria, li domava non prima dei quattro anni, li preparava per la caccia e per la cavalleria del suo esercito, li voleva di mantello morello o baio scuro e il suo cavallo preferito era un morello.
Il “Tractatus de arti venerandi cum avibus ” scritto dal Sovrano è un chiaro esempio di un trattato dottrinale sulla falconeria, ricco d’informazioni scientifiche, d’insegnamenti e di conoscenze.
Resta mitica la capacità di questi energici predatori dell’aria di divenire amici sinceri dell’uomo, fedeli esecutori della sua volontà, simbolo di forza e di potere. Si racconta che Federico amasse un falco fra tanti che ne possedeva e quando il falco prediletto abbatté un’aquila, sommo emblema del potere di un sovrano, ordinò di metterlo a morte per dare un esempio ai suoi sudditi.
Il significato simbolico dei falchi li renderà di incalcolabile valore .
Nel 1336 il Duca di Nevers e dei suoi amici gentiluomini furono fatti prigionieri da Bagaratte nella battaglia di Nicropoli (oggi Emmaus a 11 km. da Gerusalemme) senza alcuna alternativa di riscatto; solo quando furono offerti 12 falchi dal Duca di Bergogna essi furono rilasciati.
In Francia la falconeria fu tenuta sempre in grande considerazione da Carlo Magno e da Francesco I, che aveva ai suoi ordini cinquanta falconieri e trecento falchi.
In Italia fu celebre la falconeria dei Medici a Firenze. In Persia il re manteneva più di ottocento falchi impiegandoli per caccia grossa, selvaggina come cinghiali, antilopi, asini selvatici.
Molte leggende si narrano sui falchi: nel 1500 il Sovrano Carlo V metterà a disposizione degli Ospedalieri l’isola di Malta chiedendo come compenso simbolico annuale un falcone di caccia, di cui l’isola è ricca; l’originale “contratto” darà vita alla leggenda del “falco maltese”, dovuto allo smarrimento di un falco d’oro tempestato di gemme, inviato dagli Ospedalieri all’Imperatore per ricambiare il suo gesto.
All’inizio del XX secolo l’atteggiamento dell’uomo verso i falconi appare oramai completamente rovesciata ed il pellegrino ed i suoi parenti, considerati animali nocivi dai cacciatori di selvaggina e dai guardiacaccia, diverranno oggetto di una caccia follemente distruttiva. Dopo la fase discendente, in cui pochi la praticavano, l’Italia ha ripreso fiato, energia, riacquistando molti appassionati e creandosi molte associazioni che praticano questo particolare tipo di sport.
In questa Sicilia dal sole caldo, dai vivi e colorati profumi della natura, terra di falchi che planano e nidificano tra le montagne rocciose possenti e minacciose e di cavalli che, allo stato brado pascolano indisturbati negli ubertosi campi ricchi di essenze erbacee pregiate, la cultura federiciana dell’isola accoglie con diletto il ritorno di un’antica arte, su di una base prettamente zoologica e di pieno rispetto per le leggi della natura.
La cavalla nella foto si chiama ESPERANZA. Non sa superare ostacoli alti due metri o eseguire passi di alta scuola. Ma essa porta il suo signore e padrone, l’autore di questo articolo, a passeggio nella campagna, dandogli la gioia di distendersi. Tuttavia questa non è la ragione per cui la sua fotografia è riprodotta in questa pagina. Esperanza rappresenta e simboleggia centinai di miglia di cavalli sconosciuti che non hanno mai avuto l’onore di un articolo o di una fotografia, ma ai quali dobbiamo esprimere tutta la nostra immensa riconoscenza.
Che cos’ è una Razza?
Quest’ articolo riferisce in modo tecnico il concetto di RAZZA, un termine che usiamo frequentemente riferendolo al nostro amico e che delle volte non riusciamo a sviscerarne il significato puro. Un concetto che merita di essere letto con attenzione. Tanti cavalli, tante razze, sorte per necessità dell’uomo o per caso, venute fuori da una lunga selezione naturale. Esaminando con attenzione il presente argomento è giusto fare un’analisi del pensiero di antichi studiosi, e come essi interpretavano questo aspetto.
Il Magne nel suo testo “ Races chevalines francaises” Razze Cavalline francesi, non usa il vocabolo razza ed sostiene che le specie non sono sempre omogenee e che si chiamano razze i differenti gruppi che la rappresentano ed aggiunge …”la generazione ci dà i mezzi di creare delle razze, delle sotto razze e di stabilire “ varietà “ in quelle che esistono, perpetuando le modificazioni che le influenze così potenti e così svariate della domesticità esercitano sulle forme, sul temperamento, sulle qualità degli animali, ed aggiunge “…la generazione non riproduce solamente le modificazioni risultanti dal regime, essa ne crea e forma delle novelle razze senza il soccorso di agenti igienici”. Per il Magne la parola razza ha un significato molto ampio, e si riferisce a gruppi qualsiasi nei quali si suddivide la specie, senza limiti di spazio e di tempo, che si possono riconoscere per qualche carattere fisso e perfettamente trasmissibile
Colin, fisiologo francese del XIX secolo, studiando la razza nella sua formazione e della variabilità della specie ,egli così si esprime : “La teoria fisiologica della formazione delle razze animali è semplice : essa riposa su due fatti, la prima è la variabilità, entro certi limiti del tipo specifico la seconda la tendenza all’eredità o alla trasmissibilità delle variazioni prodotte. Essa si deduce perfettamente dall’osservazione di ciò che succede ad una data specie nelle condizioni ordinarie a quelle dell’uomo o del cavallo. Ciascuna produce delle variazioni individuali : un soggetto è svelto, slanciato, un altro pesante, raccolto, il primo ha le gambe lunghe e dritte, il secondo le ha corte e arcate, uno ha il petto stretto, l’altro lo ha largo e sporgente. Delle differenze senza numero si osservano nella forma della testa, della fronte, del naso, degli orecchi, queste sono le variazioni individuali. Queste variazioni, per eredità, tendono a conservarsi in una famiglia, che è in realtà una piccola razza. Ed infatti da un tale tutti gli individui nascono gracili, da un altro sono di forme erculee. La razza non è altro che un insieme di famiglie presentanti tutte li stessi caratteri essenziali. Di conseguenza, si può a rigore avere tante razze, quanti vi sono tipi individuali rappresentanti le variazione della specie”. Colin ci dice che l’uomo valendosi di variabilità individuali derivate da una causa qualunque, può con esse fare delle razze e scegliendo la varietà che interessa conservare i caratteri ottenuti, e destinandola a riproduzione raggiungere lo scopo ; così si sono comportati coloro che hanno creato delle razze cavalline.
Il Professore Fogliata aggiunge a tal scopo: “L’incrociamento della razza che si considera dopo Buffon e Colin così necessario per prevenire la degenerazione delle Razze, ma può l’incrociamento delle razze novelle?Senza alcun dubbio. L’incrociamento o l’alleanze di due varietà, di due razze, dal momento che dà un prodotto misto, “una varietà individuale “ dà a questa la facoltà di estendersi a un gran numero d’individui. L’incrociamento ha creato diverse razze inglesi, la razza corsa ecc.” Colin ci sta a dire che la razza è un prodotto della variabilità e della tendenza all’eredità o alla trasmissibilità delle variazioni prodotte, e di cui l’incrocio rappresenta una via per raggiungere lo scopo nonché essa è un prodotto del clima, dell’igiene, e del suolo, non ha necessariamente caratteri mutabili e fissi, i quali sono propri solamente della specie.
Il Sanson di opinione opposta considerava le razze come altrettanto specie e rendeva sinonimi i due vocaboli e la razza viene considerata quale “ il complesso degli animali i quali in virtù della legge di natura godono della facoltà di riprodursi indefinitamente perpetuando il loro tipo” ma tale definizione può anche valere per la specie “ non vi possono essere più razze della stessa specie, poiché ciascuna razza è soltanto una specie particolare e nulla di più “. Il ricercatore ci sta a dire che nel mondo naturale ci sono vi sono tante razze quanto sono le specie, non un in più non una in meno ; quindi una sola specie di cavalli si associa una sola razza di cavalli ; una deduzione molto logica ma inaccettabile che lo stesso autore abbandonò quale buono poligenista, stabilì negli equidi otto razze differenti, ognuna delle quali ebbero origini separata , riconoscibili nel cranio e nel rachide, da questi sono derivati i crani moderni. Per il Sanson oltre a queste razze non vi erano che varietà cioè gruppi d’individui della stessa razza che hanno o più caratteri secondari comuni.
Come si può costatare le opinioni di Magne e Colin e quelle di Sanson sono separate da un abisso; il Professore Fogliata mettendo da parte il concetto specie – razza del Sanson, anche se teoricamente accettabile, prende come punto di partenza la teoria del monogeismo, secondo la quale “ ….la specie è nozione comune a tutti gli esseri e che questi ultimi ogni volta che sono in possesso di una variabilità possono variare grandemente e trasmettere la variazione nei figli e di dare luogo a razze “;
E’ esistito un cavallo derivato dal preequide da cui sono derivati numerose razze, che si possono raffigurare ai rami di un unico albero, invece di tanti alberi quanti sono le specie del Sanson.
Cosa pensava Quadrefegas a riguardo? Osserviamo come definisce la razza il nostro ricercatore :“l’insieme di individui simili di una stessa specie che hanno ricevuto e trasmettono con la generazione sessuale i caratteri di una varietà primitiva”. Se da una razza si ha una varietà per modifica di alcuni caratteri e se questa variazione di cartteri diventa fissa e trasmissibile, non si ha più una varietà ma una razza e come dice il ricercatore : Broca “ ——— per differenziare una, due razze basta un sol carattere, sia pur leggero quanto si vuole, posto però che esso sia ereditario e sufficientemente fisso “.
Ma come afferma il Fogliata “quello che interessa in questo studio sono le razze storiche quelle che si sono ottenute dalle variazioni del clima e della domesticità.” Se un allevatore dice che il suo cavallo è di tale razza, vuol dire che esso ha dei caratteri che si riconoscono di quella razza e che è p u r o, cioè che quei caratteri sono netti e ben rilevabili. Se un allevatore dice che il suo cavallo razza bene vuol dire che produce dei figli che ne possiedono le sue caratteristiche.
Questa trasmissione di caratteri è la prima fase in cui quello stallone può essere il ceppo di una famiglia prima e di una razza poi quando i figli di quello stallone perpetuano i suoi caratteri; in questo caso il termine razza non va riferito a quel significato che ci insegnò Sanson e riferito alle sue otto razze e ristretto ad un limitato concetto zoologico, ma a qualcosa di più ampio epratico, a qualcosa che produce e riproduce e ne viene fuori una progenie.
Un osservazione va fatta quando si adopera il termine r a z z a per significare un branco di eques che si riproducono senza caratteristiche comuni si da renderli riconoscibili, qui si adopera il vocabolo m a n d r a e non quello di razza ; ma attenzione nel nostro paese il termine mandra può essere inteso come luogo dove i cavalli vengono allevati o rinchiusi. Ancora oggi nel nostro linguaggio manca un termine che ci indichi quel gruppo omogeneo di animali che si riproduce trasmettendo gli stessi caratteri, in un determinato luogo, ma con caratteristiche comuni ad altra razza grande, che bisogna chiamarla razza privata.
I francesi usano il termine haras per indicare le razze private ma il termine si è esteso per indicare un deposito di stalloni.Gli inglesi usano un loro linguaggio chiaro: stock o rase per indicare la razza; stud per indicare una collezione si stalloni e fattrici da riproduzione, il termine può essere esteso al significato di razza privata o razzetta.
Volendo concludere su questo argomento vasto , divergente, il Fogliata , che ha molto approfondita la questione, intende per razza”ogni insieme di cavalli che si distingue per una qualche caratteristica ereditaria o per un insieme caratteristico ereditario senza limitazione geografica”.
Ancora oggi dopo tanti anni questa definizione rimane immutabile ed attuale.
Per razza privata o razzetta o stud termine ancora oggi in uso in altre nazioni, (vedi l’Inghilterra) ma non certamente in Italia , si intende una collezione di stalloni e fattrici che riproducendosi possono dare una progenie similare. Per mandra “un gruppo di cavalli non somiglianti, che non hanno alcuna caratteristica in comune.
E per Varietà cosa rispondere?
Corvein definisce la Varietà : “ una collezione d’individui della stessa origine che si distinguono dai loro congeneri per uno o più caratteri comuni che essi non trasmettono ai loro discendenti “.
Il termine varietà starebbe tra il significato di razzetta e quello di mandre,quindi un gruppo di cavalli dei due sessi, riuniti in un luogo o sparsi, forniti di particolarità che essi non trasmettono alla discendenza : tali per esempio sono i cavalli m e t i c c i mentre non lo sono i cavalli b i m e t i c c i, in quest’ultimi fu già operata una selezione per una o più generazioni, per cui se i meticci sono una varietà, i bimeticci sono una razza. Gli studiosi affermano di comune pensiero che la specie morfologicamente comprende tutte le razze e le varietà, ogni razza può comprendere razze secondarie e terziare, le varietà comprendono degli individui.
Cosa dire oggi su questo pensiero; l’uomo moderno cerca di raggiungere la conoscenza di tale materia, tanto complessa semplificando quanto più si può e dichiara :”Si è convenuto di chiamare razza ogni gruppo di animale in grado di trasmettere alcune caratteristiche sue proprie; ogni razza tende a fissare e a rendere eterne queste caratteristiche”.
La natura è la prima a difendere questo principio, facendo si che i più forti , i soggetti più puri sopravvivano rispetto ai deboli, la selezione naturale tende a governare il mondo biologico, l’eredità e i ritmi biologici finiranno per garantirne il giusto equilibrio .
Benedetto Salamone
Bibliografia.
- La Razza Reale di Ficuzza – Benedetto Salamone
- Races chevalines francise – Magne
- Zootecnia Speciale – dispense di Giacinto Fogliata
- Colin – Fisiologo francese del XIX secolo
- Sanson – dispense di ricerca sulle Razze nel mondo
- Quadregas – dispense di ricerche sulla fisiologia degli animali domestici
Un benvenuto a tutti gli appassionati!
Se c’è un animale di cui è difficile parlare, esprimere una opinione e dare un giudizio consapevole, questo è “ il cavallo” . Quest’ animale è stato particolarmente amato da Dio fin dalla creazione; se ne parla nella Bibbia “ il primo mammifero che fu creato dall’Onnipotente fu il Cavallo” ; così ne parlano le altre religioni fra cui l’Islam : Maometto il Profeta, sceglie sette o otto cavalle arabe che daranno vita alla progenie illustre del puro sangue arabo.
Sul cavallo sono stati scritti numerosissimi libri, lo stesso sul cane; ma il cane forse supera quelli del cavallo; cane e cavallo sono due animali che si associano fra loro molto bene, e chi ama il cavallo di solito ama pure il cane. Il cavallo è stato nel passato il simbolo della velocità : più veloce del vento, più impetuoso dell’acqua che scorre nei torrenti; esso ha sempre espresso la potenza, ed oggi per tanto la potenza delle auto si esprime in “cavalli”.
Ancora oggi dopo tanti secoli si ricordano nomi illustri di cavalli : Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno che fu domato e montato solamente da lui; Incitatus il prescelto da Caligola, il pazzo imperatore, che lo elesse senatore; Asturcone il cavallo di Giulio Cesare ; Bavieca che appartenne ad El Cid ; Marengo montato da Napoleone. Tutti cavalli che parteciparono a numerose battaglie montati dai loro condottieri. Perché non ricordare il ronzino, il primo fra tutti i ronzinanti che portava sul suo dorso il distratto Don Chisciotte della Mancia, ed era lui il nostro ronzinone a decidere ad ogni bivio che strada scegliere.
Più grande e possente è il cavallo, più simboleggia la forza che possiede il suo cavaliere: si pensi a tutta l’epica cavalleresca che ha attraversato per un millennio l’Europa, dal Medio Evo a Napoleone, il quale era basso di statura tranne quando montava Marengo, più alto di tutti i cavalli . Dal ciclo Carolingio epico cavalleresco sino a re Arturo, il cavallo è la parte fondamentale del Cavaliere : senza l’uno non esisterebbe l’altro; di più senza cavalli non c’era Cavalleria, senza Cavalleria regni e stati erano soggetti a razzie. Non a caso William Schakespeare fa dire al suo Riccardo Cuor di Leone : il mio regno per un cavallo. Eleganza, Armonia, Forza, Coraggio, Dolcezza, Intelligenza : il cavallo è tutto questo.
Oggi questo nobile animale ha perduto il suo significato di utilizzo; diviene mezzo ricreativo, da treccking, da tempo libero, utilizzato per le corse e le scommesse.
Come scriveva il buon Salinger nel testo “Giovane Holden “ lamentando la moltiplicazioni delle automobili : Preferirei un dannato cavallo ad un auto, un cavallo per lo meno è umano. Insomma senza cavalli non esisterebbero storie, miti e leggende.
Origini e caratteristiche
L’equus Caballus, denominato dai mesopotamici l’Asino delle Montagne che lo videro giungere dai monti Zagros, dai Sioux chiamato il Cane Misterioso che ne vennero in possesso due secoli e mezzo fa, è l’animale che molto ha fatto scrivere e fantasticare rispetto agli altri animali. Ancora oggi il suo interesse desta ovunque simpatia, ammirazione. Un uomo a cavallo rappresenta ancora oggi la più bella immagine del successo e della fortuna; una donna a cavallo rappresenta nel modo più completo la grazia e la bellezza; il cavallo da solo è la visione stessa della libertà. Ma il cavallo che esprime molto bene ardimento e fierezza; il cavallo che ha nelle sue forme eleganza e ardimento; il cavallo che ha fatto esultare scrittori e poeti per tre millenni, cantandone il piede tempestoso o le narici che gettono fuoco : il cavallo è l’animale tra i più timidi della natura, scevro per natura da qualsiasi aggressione e violenza. Comunque esso è stato definito dall’ippologo Buffon, ed anche in un trattato di ippiatria del 1200 in tal modo : “ Le qualità più naturali del cavallo ci richiamano alla più nobile delle qualità umane : la tolleranza “.
Nel lontano periodo del 1970, circa 46 anni fa, un cavallo fu venduto per tre miliardi mezzo in lire : esattamente il prezzo pagato nel novembre dello stesso anno per un quadro di Velàzquez, questo cavallo si chiamava Nijnsky ; dieci anni prima un cavallo chiamato Ribot fu ceduto agli americani , per un miliardo di solo affitto. Cavalli campioni, vittoriosi, sulle piste più celebri del mondo hanno fatto la gioia e la fortuna dei loro proprietari e sono rimasti nel cuore di milioni di spettatori. Come tutti i primati che esistono per ragioni storiche del momento, essi non hanno una giustificazione assoluta. Ogni cavallo, ogni razza, è sovrana del proprio ambiente. Il maestoso Percheron, il leggero pony Camarque, l’elegante Haflinger, il candito Lipizzano,il gentile mesomorfo da Sella Siciliano, sono senza dubbio molto belli, e morfologicamente e zootecnicamente più apprezzabili nella loro morfonologia e costituzione. Il Puro Sangue Inglese, con tutti i suoi meriti e pregi affonda penosamente sui terreni acquitrinosi e melmosi rispetto al monumentale Shire Horse ; ed il Puro Sangue Arabo, proverbiale per la sua resistenza, verrebbe quest’ultima compromessa sulle nostre strade rotabili.