UNA VALLE DA SCOPRIRE – CASTEL DI TUSA TRA MARE E BELLEZZA

“Una Valle da scoprire” è la nostra pagina dedicata alle bellezze del’ “L’Altra Sicilia”. Una prospettiva diversa che attraverso le nostre telecamere mostriamo al mondo esterno nella sua semplice suggestiva bellezza.Procederemo per tappe e per episodi iniziando il nostro viaggio da Castel di Tusa, la nostra porta d’ingresso dentro la Valle dell’ Halaesa. Castel di Tusa frazione del comune di Tusa che si affaccia sul mare e per questo è anche detta Marina di Tusa è un borgo raccolto, pittoresco, scandito dal ritmo lento delle barche dei marinai. Un luogo che mostra l’infinita bellezza del mare di Sicilia, senza per forza concedersi al turismo di massa: trascorrere le vacanze qui è ideale per chi ama la tranquillità e il relax. E anche l’arte, come vedremo in seguito.

Castel di Tusa si trova in provincia di Messina, sulla costa settentrionale della Sicilia. Dista 139 km dal capoluogo di provincia e 90 km da Palermo. 

Arrivare è semplice: in auto si prende l’autostrada A20 Messina Palermo, e si esce a Tusa. Si può arrivare anche in treno: la stazione ferroviaria è stata ristrutturata e inaugurata il 12 dicembre 2021

A Castel di Tusa il mare è bello ovunque: le spiagge sono Bandiera Blu per l’ottima qualità delle acque. La costiera è formata soprattutto da ciottoli, che rendono il mare ancora più trasparente. 

La spiaggia più famosa è la Spiaggia delle Lampare, che è posizionata nella parte est del paese, dove si trova l’Atelier sul mare. E poi c’è la Spiaggia Marina, in posizione più centrale. Entrambe queste spiagge sono libere.

 

 

 

 

Maria Santissima della Catena, Patrona di Castel di Tusa

Attraverso un  documentario inedito la Torre del Gusto vi porta alla scoperta delle radici storiche di una devozione religiosa importante per la comunità di Castel di Tusa. Il CULTO DELLA MADONNADELLA CATENA.

Il culto, depurato dagli elementi miracolistici, trae origine dalla devozione alla Madonna come protettrice degli schiavi e dei prigionieri. Nasce alla fine del Trecento ma ha davvero sviluppo dopo la prima metà del Cinquecento, quando le incursioni barbaresche ridussero in schiavitù molti cittadini dell’Italia Meridionale, e la Congregazione dei padri mercedari si adoperò per il loro riscatto. La denominazione di Madonna della Catena si apparenta quindi a quella di Madonna della Mercede, Madonna del Soccorso e degli Schiavi.

Il culto si legaper tradizione ad in evento miracoloso verificatosi  nel 1392 a Palermo, quando regnava in Sicilia Martino I il Giovane. Tre uomini furono ingiustamente condannati e il 18 agosto furono condotti a Piazza Marina, dove avrebbero dovuto essere impiccati. Proprio mentre stavano preparando le forche, si scatenò un gran temporale che costrinse i carnefici a rifugiarsi nella Chiesa della Madonna del Porto e il popolo a fuggire. In attesa che si potesse riprendere l’esecuzione, i tre condannati furono legati con doppie catene all’altare della Vergine, ma il temporale continuò per l’intera giornata, e le guardie dovettero passare la notte nella chiesetta per sorvegliarli. I tre si portarono lacrimando ai piedi della Madonna invocandola col titolo di Vergine delle Grazie e cominciarono a pregarla insistentemente, e a un tratto, mentre i soldati cadevano in un profondo sonno, le catene che trattenevano i tre si spezzarono e la voce della Madonna li rassicurò “Andate pure in libertà e non temete cosa alcuna: il divino Infante che tengo tra le braccia ha già accolto le vostre preghiere e vi ha concesso la vita!”. Le catene caddero senza far rumore e la porta si spalancò, i tre innocenti uscirono dal tempio e le guardie si svegliarono solo all’alba. Subito i soldati riuscirono a riprendere i fuggitivi ma furono fermati dal popolo che ricorse al re Martino I. Quando questi andò nella chiesetta, coi propri occhi constatò il miracolo: le catene si erano infrante.

Subito l’eco del miracolo si diffuse ovunque, e frotte di pellegrini giunsero alla chiesa che ormai era chiamata “della Catena”. I miracoli si moltiplicarono e la Madonna della Catena divenne patrona di molti comuni dell’isola e venerata in tantissimi altri, e il suo culto arrivò in tutto il Sud Italia. Ancora oggi la chiesa è meta di pellegrinaggi e conserva il simulacro di Nostra Signora della Catena. Nel 1500 alla chiesa venne attaccata una delle catene che chiudevano il porto e prese ufficialmente il nome con cui già l’aveva battezzata il popolo un secolo prima.

Patrona  di Aci Catena, Castiglione di Sicilia, Castel di Tusa, Fiumefreddo di Sicilia, Librizzi, Mongiuffi Melia, Riesi, San Piero Patti, Scillato ,Randazzo, e festeggiata in tanti altri paesi della Sicilia, il Culto Mariano conserva in ogni comunità dei particolari risvolti.

A Castel di Tusa si celebra nel giorno dell’Ascensione, nel mese di maggio e attraverso un percorso storico la Torre del Gusto spiega le ragioni di questa particolarità che rende singolare questa festa . Infatti le incursioni piratesche turche sono all’origine di questa devozione ed esattamente i fatti del 03 Giugno del 1619 quando il Castello di San Giorgio venne attaccato da una flottiglia turca che  dopo aver posto sotto assedio la fortezza, una volta espugnata, non risparmiò la comunità dalla schiavitù. Solamente l’intervento tempestivo del Conte Carlo Ventimiglia e del Vicere Giron Duca d’Ossura consentirono la liberazione della popolazione dal giogo turco che legò la sua fede alla Madonna dellla Catena  che aveva spezzato le catene dalla sua  schiavitù. La Festa conserva inalterata la sua natura mistica e di fede tramite la tradizionale processione del Simulacro della Madonna, per le vie della frazione conservando i collegamenti a tradizioni folkloristiche più antiche come l’”a ‘ntinna a mari” (l’antenna sul mare) il cuil gioco consiste nel cercare di prendere una bandierina posta alle estremità di una trave insaponata, fissata su una barca poco distante dalla spiaggia. La festa si conclude con uno spettacolo musicale e giochi pirotecnici sul mare.

 

 

Nicosia tra arte e natura

Avete mai sentito parlare di Nicosia, in Sicilia?

Se siete Siciliani, sicuramente sì, ma fuori dall’isola (delle meraviglie) diventa già più difficile e per questo ho pensato di condividere con voi la mia scoperta… Nicosia è un paese della provincia di Enna che conta 15 mila abitanti e anche se ha lo stesso nome della capitale di Cipro, non va confuso. Si tratta di un borgo italiano, o meglio ancora, siciliano.

Nicosia ai tempi dei Borboni era una città di grande importanza! La quinta città per grandezza e importanza in Sicilia e solo partendo da questo fatto si può capire come mai siano così numerose e abbondanti le cose da vedere.

Qui furono costruite la bellezza di 100 chiese e oggi ne restano qualcosa come 50, in un paesino di 15 mila abitanti, oggi, ci sono 50 chiese. Non vi sembra incredibile? A me sì.
Non solo, Nicosia vide passare anche Carlo V che tenne parlamento nella piazza e su di un trono conservato oggi nella basilica di Santa Maria Maggiore.

l nome “Nicosia“, di origine greco-bizantina, può significare “Città di S. Nicolò“. Molto probabilmente è stata edificata proprio al tempo della dominazione bizantina in Sicilia. Autentica città d’arte, Nicosia racchiude, fra le pieghe del suo tessuto urbanistico, un vasto patrimonio d’arte e di cultura che si esprime non solo nelle chiese e nei palazzi ma anche nell’architettura “minore” ed in quella “umile” dei quartieri popolari. Grande è intanto la suggestione che deriva dalla particolare struttura urbanistica della città, scenograficamente disposta sui colli rocciosi del Castello, del Salvatore, di Monteoliveto e dei Cappuccini: quattro “capricciose alture” cui le case si abbarbicano quasi a grappolo e che, nel corso dei secoli, ne hanno determinato una struttura come a scala verso il cielo. Vari sono i percorsi che si possono intraprendere da qualsiasi punto. Ma i due principali sono quello attraverso la Nicosia medievale, continuamente intersecato dall’altro attraverso la Nicosia barocca e sette-ottocentesca, quasi in una continua circolarità.

La cornice naturale è quella dei Monti Nebrodi, che si caratterizzano per la varietà geomorfica e vegetazionale del paesaggio. Recentemente si sono istituite tre Riserve Naturali Orientate e cioè quella del Monte Sambughetti – Campanito, del Bosco di Sperlinga ed Alto Salso e del Monte Altesina. Un particolare percorso è quello che, attraversando le contrade nicosiane, incontra le masserie e le ville nobiliari, nate dall’esigenza dei nobili nicosiani di stabilire una propria dimora in campagna, per potervi villeggiare. La zona più interessante, in questo senso, è la cosiddetta “Collina dei Baroni”, ovvero la collina di S. Giovanni dove si concentrano alcune ville sette-ottocentesche, tra cui “La Motta Salinella”, “La Motta S. Silvestro”, “La Via”. Nei dintorni di S. Giacomo, raggiungibile dalla S.S.120, si scorgono stupende ville in stile liberty, come la villa “Li Destri” (contrada Pietralunga), “La Speciale di Mallia”, “La Pidone”. Molto più diffuse le massarie, che sono raggruppate in veri e propri borghi, all’interno dei quali si svolgeva tutta la vita dei contadini e che tutt’oggi sono una testimonianza tangibile dell’antica civiltà contadina. Oltre agli insediamenti rupestri (Mercadante, Musa, S. Agrippina, Perciata), ci sono alcune massarie scavate nella roccia, presenti soprattutto in contrada Mercadante.

Tusa tra  il mare e la montagna – Il Bosco di Tardara

Eccoci  in una nuova appassionante avventurosa escursione questa volta alla scoperta del Bosco della Tardara. Siamo sempre nel territorio di Tusa, in Provincia di Messina e questa volta ad accompagnarci  è l’ esperto geologo Antonino Oieni vicepresidente dell’Associazione Naturalistica “I NEBRODI” e Guida Ambientale Escursionistica – AIGAE.

Partiti  da Castel di Tusa e percorrendo la  strada provinciale che porta a Tusa  ci orientiamo in prossimità di Cozzo Difesa per avvicinarci alle propaggini del Bosco. Giunti in contrada Favara si presenta ad i nostri occhi un panorama mozzafiato tra pascoli e macchia mediterranea e con sullo sfondo le immense rupi in cui si adagiamo i borghi di San Mauro Castelverde e Pollina.

All’ ingresso del bosco una rupe quarzarenitica sembra  indicarci la strada da percorre, maestosa e sospesa nel vuoto  a guardia dell’ area naturalistica.

Il nome Tardara deriva dal arabo “dardar” che vuol dire olmo,frassio, da cui deriva il siciliano “dardanu” frassino ornello. La presenza di alberi Fraxinus Ornus in questa  macchia boschiva era una provvidenziale risorsa per la popolazione dell’ area per la produzione della manna. Oggi sopravvivono pochissimi esemplari ed il bosco della Tardara è divenuto in prevalenza una sughereta.

Entrati nel area boschiva dopo un breve tratto ci colleghiamo con il tracciato dell’ ippovia Halaesa e con l’ausilio del Dr. Agr. Giuseppe Genovese iniziamo il nostro percorso attraverso un tracciato a terreno battuto facilmente percorribile con ogni mezzo. Il progetto “Ippovia Halaesa” di cui il dr. Genovese è stato l’ideatore è molto più che un itinerario per appassionati cavalieri. E’ un anello escursionistico negli itinerari di Ippovia Sicilia, ben attrezzato e  finalizzato alla divulgazione di informazioni inerenti  il mondo animale e floreare che popola il boschi. Inoltre dispone di un area didattica dedicata ai giovani appassionati nella natura  e aree tematiche di interesse storico come quella inerente l’ antica arte di fare il carbone o della decortica del sughero. Ovviamente non poteva mancare l’ area dedicata al asino ed al cavallo. Un asineria sociale per l’appunto ed un maneggio dove poter passare al tondino il proprio cavallo mentre pannelli informativi illustrano ai visitatori le tradizionali razze asinine e cavalline siciliane.

Dopo aver percorso il crinale circondati da maestosi alberi di sughera giungiamo nel punto più alto  dove in estasi allunghiamo lo sguardo  su un paesaggio suggestivo  tra la terra ed i mare ed i cui il colore blu intenso del mare si arriva quasi ad abbracciare il verde del bosco.

Qualcosa di unico e da visitare assolutamente.

La costa Turchina e la costa Alesina

Un itinerario suggestivo quello di questa puntata di Zaino in spalla. Insieme alla brava Letizia Passarello andiamo alla scoperta della costa tirrenica siciliana tra Cefalù e Santo Stefano di Camastra per un tratto di litorale affacciato sul Mar Tirreno. Durante la stagione estiva le strade costiere della famigerata Costa Turchina (dal colore delle acque) si affollano di viaggiatori, attratti qui dal bellezze naturali marine e da un altrettanto ricca zona interna. Tutta la fascia costiera è un susseguirsi di località balneari, spiagge e paesini quasi esclusivamente dediti al turismo.

Di buone ragioni per visitare il nord della Sicilia ce ne sono tante. E una di queste è passare le proprie ferie in una località della costa tirrenica o delle vicine zone interne.
Cefalù con la bella spiaggia a mezzaluna su cui si affaccia è la meta più frequentata di tutta la costa.
Da villaggio di pescatori si è trasformata in località di villeggiatura alla moda, seconda solo a Taormina quanto a notorietà. La sua posizione ai piedi della Rocca, i suoi vicoli medievali e i monumenti la rendono un luogo splendido dove trascorrere una vacanza . Su tutto spicca la Cattedrale, una delle espressioni più alte dell’arte arabo-normanna.

La Rocca, che fa da sfondo alle viuzze del centro storico, era la sede della cittadella islamica, fino al 1064, quando i normanni conquistarono Cefalù e la spostarono sulla baia. Una bella scalinata chiamata salita saracena conduce sulla cima della parete rocciosa, dove si trova il Tempio di Diana del IV secolo a.C.

Procedendo verso est, accompagnati dalla sagoma delle isole Eolie tra costoni rocciosi a strapiombo sul mare e piccole golette si incontra Finale di Pollina. Basta seguire  un tratto di litorale spettacolare, lungo la SS113 che costeggia il mare dall’alto per scoprire la bellezze di questo spaccato di Sicilia che si completa nella Baia Turchina ossia un tratto di una spiaggia di sabbia e ghiaia fine piuttosto lunga ed amata per il suo bellissimo mare limpido e la posizione suggestiva. La spiaggia in alta stagione è molto frequentata, in particolar modo dai giovani locali, che spesso vi organizzano serate a base di musica.

Ma le suggestioni aumentano nel momento in cui oltrepassiamo il fiume Pollina ed entriamo nel litorale alesino il cui mare cristallino riflette un fondale ciottoloso ed in parte roccioso di unica bellezze intervallato da torre medievali casolari in pietra. Qui una sosta obbligata è a  di Castel di Tusa, il borgo marinaro che anche quest’ anno ha ottenuto la Bandiera Blu della Fee (Foundation for Environmental Education), l’autorevole riconoscimento internazionale assegnato annualmente  in 48 paesi. L’ambito simbolo premia l’eccellente qualità delle acque del mare, la gestione dei rifiuti, a regolamentazione del traffico veicolare,  la  depurazione delle acque reflue ed  i servizi in spiaggia. Castel di Tusa è l’unica località della provincia di Messina ad aver ottenuto il premio che testimonia la perfetta qualità della sua spiaggia e non solo, ma presenta un paesaggio da cartolina. Un intervista al Vicesindaco di Tusa, La Dr.ssa Nicoletta Patti spiega le ragioni di questo conclamato successo scaturito da sinergie, un adeguata capacità di ricezione turistica e la disponibilità negli ultimi anni di servizi di accoglienza e senso di identità territoriale che rendono il borgo un esempio virtuoso per un comprensorio. Un tratto di costa naturale ed incontaminata conclude il nostro percorso fino alla Città delle Ceramiche, la già nota Santo Stefano di cui avremo modo di parlare in seguito.

 

 

L’ARGIMUSCO, il mistero delle pietre

Con lo zaino in spalla oggi vi portiamo in uno degli angoli meno conosciuti ma più suggestivi dei Nebrodi e precisamente sull’altopiano dell’Argimusco suddiviso tra i comuni di Montalbano Elicona (uno fra i Borghi più belli d’Italia), Tripi (paesino che sorge sul sito dell’antichissima Abacaenum) e Roccella Valdemone, tutte località in provincia di Messina. Il luogo si trova poco a nord dell’Etna, all’incirca al confine tra i monti Nebrodi e i Peloritani. Qui si erge un affascinante complesso di megaliti intorno ai quali aleggia ancora un’aura molto densa di mistero.

Un gruppo di grandi rocce di arenaria quarzosa svettano sugli oltre mille metri di altitudine dell’altopiano modellati in forma curiosa e suggestiva. La tradizione popolare riconduce questi megaliti all’opera di popolazioni preistoriche: si tratterebbe quindi di antichi menhir e quasi irriconoscibili dolmen. Ma i geomorfologi e gli archeologi propendono piuttosto per una loro origine assolutamente naturale, dovuta in particolare all’erosione eolica, anche perchè nei loro pressi non sono stati trovati resti significativi di presenza umana come ceramiche, utensili, ossa, ecc. Resta comunque il fatto che tali pietre mostrano segni che, a detta di qualcuno, testimonierebbero almeno una attenzione dell’uomo nei loro confronti riconducibile ad attività di osservazione del cielo e a qualche pratica rituale forse legata ai cicli delle stagioni e ai principali fenomeni astronomici dell’anno. Qualunque sia la verità, certo è che il luogo è diventato meta di appassionati di archeoastronomia o di semplici curiosi con la passione per il Mistero. Le curiose forme dei megaliti che ora vi illustreremo e le atmosfere naturali mozzafiato che vi si respirano, certo contribuiscono a rendere l’Argimusco un luogo di assoluto appeal.

Le testimonianze storiche su questo luogo sono alquanto scarne, ma esso risulta noto ai cronisti medievali almeno dal XIII secolo d.C. La prima attestazione storica compare nell’Historia Sicula di Bartolomeo di Neocastro, che ricorda, nel 1282, il transito di Pietro III d’Aragona nei pressi della località Argimustus. Dalla descrizione apprendiamo quanto, già a quel tempo, il luogo fosse apprezzato per i panorami a perdita d’occhio, consentendo a nord un ampio sguardo su Milazzo, la costa tirrenica, i vicini rilievi e il borgo di Tindari, le isole Eolie, e sul versante opposto il profilo del vulcano Etna. Altro documento storico che fa riferimento al luogo è un’epistola di Federico III indirizzata a Giacomo II, nella quale il sovrano risponde ad una proposta di tregua nei confronti di Roberto d’Angiò, duca di Calabria; la lettera risulta inviata proprio dall’Argimusco, nella cui zona Federico III evidentemente risiedeva. Successivamente i documenti tacciono almeno fino alle carte geografiche del XVI sec. come quella del “Siciliae Regnum” del Mercatore che segnala, poco a sud di Montalbano, la presenza di una “Lagrimusco fons”, un toponimo assonante con l’altipiano dell’Argimusco, che del resto ancora oggi comprende la sorgente del Lagrimusco, proprio a poche centinaia di metri dai megaliti. Le carte dei secoli successivi continuano, talora a fasi alterne, a segnalare la contrada con il suo nome, ponendola al centro di un importante crocevia di strade che collegavano i vari versanti della Sicilia.

Unico esempio di sito megalitico in Sicilia, l’Argimusco evoca quindi, come dicevamo, epoche remote nelle quali luoghi alti e ben orientati si prestavano all’osservazione del cielo, a quel tempo motivo di interesse pratico ma anche fonte di ispirazione mistico-rituale. Osserviamo quindi i megaliti secondo un itinerario tracciato sull’altopiano, lasciandoci trasportare dalle suggestioni che forme e collocazione riescono a trasmettere. Indicheremo solo i principali (ad alcuni di essi si riferiscono le immagini), quelli cioè che per forme, dimensioni e segni misteriosi hanno maggiormente sollecitato la fantasia popolare o un interesse scientifico che è ancora ben lontano dall’essere stato portato a termine. Al luogo si accede a piedi tramite un piccolo cancello che da su un sentiero in terra battuta.

 

MISTRETTA, LA REGINA DEI NEBRODI

 

Alla scoperta dei Nebrodi tra arte e gastronomia, con  lo “Zaino in spalla”  si arriva a Mistretta, splendida cittadina d’ arte e cultura posta sul un colle elevato che domina l’antica marca di Serravalle. Percorredo le vie del paese,  attraverso le riprese di Alessandro Savarese, la Torre del Gusto costruisce un filo logico per cogliere i tratti più caratteristici di una città che nel corso dei secoli per economia , arte e cultura ha primeggiato su un intero comprensorio. La ricerca  attraverso l’ ausilio di esperti e testimoni appasionati dell’ essenza  più profonda di un paese attraverso le tradizioni sacre e profane. La  preziosa testimonianza degli ultimi eredi dell’ illustre tradizione scultorea e decorativa ed uno sguardo particolare all’ arte dolciaria con la presentazione artistica della delicatissima “pasta reale” unica nel processo di lavorazione e presentazione. Buona visione!