IL GUARDIANO DELLA TORRE

DENOMINAZIONE COMUNALE ED IL LIMONE IN SECCAGNO DI PETTINEO

di Placido Salamone

Da tempo il Comitato “La Torre dell’Arte e del Gusto” sta attenzionando alle amministrazioni locali della Valle d’ Halaesa la necessità di identificare, censire e certificare il prodotto territoriale che meglio impersona le tradizioni delle comunità

Quante volte abbiamo sentito pronunciare la parola “identità”. Un concetto se vogliamo astratto ma che si trova continuamente al centro del discorso sociale e politico. Qualunque sia la definizione corretta di “identità” con cui decidiamo di lavorare, possiamo qui accordarci per una minima ipotesi, al “senso di comune appartenenza”. Appartenenza ad una comune storia locale e ovviamente alle tradizioni di un posto intesa non nel senso negativo appartenenza/esclusione ma nella sua espressione più elevata di crescita identitaria di un territorio con tutti i risvolti economici che ciò comporta.

Per questa ragione diventa un dovere di amministrazioni locali lungimiranti operare alla crescita delle comunità tutelando l’identità territoriale ed adoperare tutti gli strumenti giuridici a disposizione affinchè questa identità si traduca in un volano per la crescita economica del medesimo territorio.

Ovviamente nel nostro caso interessa la rivalutazione del settore agroalimentare dove l’identità si traduce nella funzione di legare un prodotto o le sue fasi realizzative ad un particolare territorio comunale e per questo in molti comuni si parla di De. Co. (DENOMINAZIONE COMUNALE).

A differenza delle denominazioni protette a livello europeo, le de.co. vengono disciplinate a livello comunale e sono pertanto alla portata di iniziative di valorizzazione locale di prodotti e ricette tipici del territorio.

L’iniziativa per la protezione del prodotto o processo tradizionale che si intende certificare De.Co. può quindi nascere anche da un gruppo di cittadini o di aziende produttrici, che si limitino a segnalare l’idoneità alla certificazione e l’importanza del prodotto o processo per la comunità.

Questi marchi di garanzia sono nati in seguito alla Legge n. 142 dell’8 giugno 1990, che consente ai Comuni la facoltà di disciplinare, nell’ambito dei principi sul decentramento amministrativo, in materia di valorizzazione delle attività agroalimentari tradizionali.

Questa attestazione De.Co., pertanto, dimostra l’origine locale del prodotto, ne fissa la sua composizione e ne garantisce gli ingredienti ai produttori del territorio e ai consumatori.
Col passare degli anni, le De.Co. sono diventate anche uno strumento di marketing territoriale, comunicando e promuovendo il patrimonio culturale e ambientale presente su una determinata zona oltre i propri confini locali e regionali.

Salvatore Liberti, produttore agrumicolo di Pettineo

Da tempo il Comitato “La Torre dell’Arte e del Gusto” sta attenzionando alle amministrazioni locali della Valle d’ Halaesa la necessità di identificare, censire e certificare il prodotto territoriale che meglio impersona la tradizione della comunità partendo dalla base culturale ossia la storicità della stessa, appunto per evitare improvvisazioni al solo scopo commerciale e soprattutto che manifesti l’espressione di un patrimonio collettivo e non un vantaggio per una singola azienda.

Il programma rappresenta un’alternativa percorribile ed appositamente ritagliata alla natura socio-economica del territorio. Considerando analiticamente i ripetuti fallimenti delle esperienze consociative e cooperative del territorio determinate altro modo anche dall’ atavico senso di sfiducia verso partecipazioni di gruppo, le De.Co. non entrano il collisione con il proverbiale carattere individualista delle aziende locali ma mirano affinchè il “prodotto territoriale” agroalimentare e/o enogastronomico acquisti un’identità sul mercato.

Esistono infatti tre gruppi di De.Co. Il primo gruppo può riguardare la tutela di un prodotto tipico (è il caso di un prodotto agricolo coltivato in quel territorio, adattatosi nel tempo e conservato, come coltura, dagli abitanti di un paese,è il caso del limone seccagno di Pettineo), di un prodotto dell’artigianato alimentare (è il caso di un prodotto dell’artigianato alimentare locale, che rappresenta un valore identitario delle famiglie di un paese come la Pasta Reale di Mistretta) o di un prodotto dell’artigianato (si tratta di un sapere che ha sviluppato un artigianato locale,).

Il secondo gruppo è rappresentato dalle De.Co. a tutela una ricetta (che raffigura il livello meno commerciale e più culturale. Solitamente è legato ad una tradizione, che a sua volta ha prodotto una sagra, codificando la storia e l’esistenza di un piatto, ad esempio la De.Co. sulla ricetta “pasta intaianata di Tusa”), di una festa (si tratta di momenti legati alla tradizione di un piatto o di un prodotto, che rimangono un momento di aggregazione popolare di una data Comunità, con una certa storicità; di un sapere (sono denominazioni riferite ad una pratica in uso in un determinato Comune come può essere una tecnica di pesca, di coltivazione, di artigianato.) o di un terreno .

Il terzo gruppo comprende il filone delle De.Co. multiple, come ad esempio la De.Co. sulla tradizione pasticceria che tutelano tradizioni che riguardano sia elementi del primo che del secondo gruppo.

Premesso che la De. Co. non è sconosciuta alle amministrazioni locali, di recente un passo avanti significativo è stato intrapreso dal Comune di Pettineo. Se percorriamo la Valle dell’Halaesa dal mare verso la montagna fino ad un altitudine di circa 300  m.s.m. ci accorgiamo come in questa parte del territorio , il paesaggio è caratterizzato da piacevoli terrazzamenti  faticosamente modellati dall’ uomo in aree orografiche ostiche quanto inaccessibili ed ivi  grazie all’ azione eroica di sapienti contadino si sono trasformate nel tempo in paesaggi agrumicoli  importanti per l’economia e l’identità culturale delle popolazione locali a maggior ragione quando l’ area si presta particolarmente vocata e le conoscenze tradizionali che stanno alla base della loro costruzione e del loro mantenimento non sono andate perdute

Oggi il paesaggio agrumicolo tradizionale di  Pettineo si è mantenuto, ma in buona parte è andato  incontro a un graduale abbandono per la marginalità della sua economia. E da qui nasce l’esigenza di rivalutare il suo prodotto principe  il “limone in seccagno di Pettineo 

Di fatto Il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha inserito il limone in seccagno di Pettineo nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della regione Sicilia (PAT), questo per le sue peculiarità che lo contraddistingue e lo differenzia dal prodotto comune siciliano.

E’ la particolare posizione geoclimatica a favorire la crescita in seccagno del limone , un espressione agronomica per spiegare una coltivazione senza notevole apporto di acqua realizzabile solo i poche aree nell’ Isola.

Oltre l’economicità nella coltivazione, tutto ciò conferisce al prodotto della peculiari qualità organolettiche che lo hanno contraddistinto fin dall’inizio del Novecento. Ricercato dai commercianti per la “lunga conservazione”, determinata dall’alto apporto di acido citrico che garantisce parametri analitici ottimali per venditori e trasformatori del settore alimentare.

L’ iter burocratico di attivazione è abbastanza snello ma ovviamente richiede passaggi stabiliti. Approvazione in giunta e successivamente in consiglio e relativa delibera comunale. Ai sensi del Ex D.lgs. 267/2000, il Comune viene individuato e definito come “l’Ente Locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo, il progresso civile, sociale ed economico”.

A tale sviluppo “partecipa con ogni possibile iniziativa, ivi compresa la promozione della funzione sociale dell’iniziativa economica, pubblica e privata, anche attraverso lo sviluppo di forme di associazionismo economico e di cooperazione”. Sempre secondo la delibera “gli Enti Locali devono assumere un ruolo decisivo, al fine di favorire le condizioni di future sostenibilità dello sviluppo locale, principalmente attraverso la valorizzazione dei patrimoni ambientali, territoriali e culturali propri a ciascun luogo”.

Su queste premesse, attraverso la delibera in questione, il Consiglio comunale adotta quindi il regolamento per “la valorizzazione delle attività agroalimentari tradizionali locali e l’istituzione della De.Co. – Denominazione Comunale”

Seguono i passaggi successivi che sono la creazione di una commissione e l’istituzione del registro DE.CO.

Da quel momento i produttori/trasformatori iscritti e conformi potranno esibire il marchio De. Co. di riconoscimento e costituire interlocutori validi nei tavoli economici accanto a trasformatori ed esportatori affidando alla commissione il ruolo di intermediazione tra le parti.

Attraverso un nostro approfondimento vi aggiorneremo su i futuri sviluppi di questo programma anche attraverso uno speciale dedicata alla De.Co Limone in seccagno di Pettineo.

L’ oro verde della Salamone Synergy Group

Un reportage della Torre del Gusto per raccontarvi l’impegno e lo sforzo produttivo delle aziende della Salamone Group nello specifico settore della produzione olearia. L’olio extravergine d’oliva, principe della tavola mediterranea costitusce un elemento importante nel panorama produttivo del gruppo. Un  impegno svolto con dedizione e nel solco della tradizione per produrre ” l’oro verde” tipico di quest’ area dell’ Sicilia, unico come i posti in cui viene raccolto.

La prima parte del servizio è dedicata alla Salamone Synergy Group, un esempio pratico di business combination caratterizzata da una commistione di interazioni e comunicazioni di aziende all’interno di laboratorio di idee e di strategie mirato a realizzare in sistema organizzato di sostegno, sviluppo  e di difesa verso minacce esterne.

Appunto un laboratorio sinergico di qualità scaturito dall’ idea di Placido Salamone già titolare dell’ Azienda Agricola Casaleni al fine di offrire al pubblico un offerta meno frammentata e più vantaggiosa della più pregiata produzione di nicchia del nostro territorio .

Buono , biologico ed ecosostenibile costituiscono imperativi categorici del gruppo. Una startegia di marketing che punta sul valore di un territorio incontaminato e su una rete agricola di produzione organizzata.

Ogliarola messinese, santagatese e crastu sono le varietà d’olive coltivate dal Gruppo i cui parametri analitici rivelano un alta qualità che si riflette della produzione del olio extravergine lievemente fruttato e dal sapore dolce o poco piccante come blend come vario nel sapore e nel profumo nella raccolta monovarietale, spaziando dal piccante e madiamente fruttato del crastu alla dolce santagatese fino al lievente piccante e vellutato olio di ogliarola messinese ideale quest’ultima  come oliva da mensa.

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Grani Antichi e Grani OGM

Per chi di voi conosce la dieta mediterranea sa bene come il pane e la pasta ne rappresentano elementi fondamentali e ad oggi questi costituiscono l’emblema della cucina italiana. A memoria d’uomo in Italia si è coltivato e mangiato prodotti a base di grano, senza troppi problemi.

Eppure qualche domanda dobbiamo farcela,  più che altro per sapere  cosa il mercato ci offre e cosa è giusto acquistare per la nostra salute.

Sembra che il progenitore dell’attuale grano sia stato il triticum monococcum, un grano dalla spiga piccola e con uno scarsissimo contenuto di glutine, parente del farro. Da questo si è passati al triticum dicoccum con spighe più grandi e quindi più redditizio per poi arrivare alle due varietà di grano tenero e duro, il triticum durum, che danno origine alle produzioni di farine, pane e altri derivati, il primo, e di pasta, il secondo.

Storicamente in passato i contadini ogni anno seminavano le loro sementi, ricavate dal raccolto precedente, ma all’inizio degli anni cinquanta, cominciarono a rifornirsi di semi prodotti industrialmente.

Era l’ epoca del grande boom economico e di massima crescita per l’industria italiana ed eurepea. Anche la ricerca ricevette in quegli anni grande impuso ma la preoccupazione principale verteva sul miglioramento produttivo e sul rendimento e questa fu la strada intrapresa fino agli anni ’80 infatti  nel 1974 un gruppo di ricercatori del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) indusse una mutazione genetica nel grano duro denominato “Cappelli”, esponendolo ai raggi gamma di un reattore nucleare per ottenere una mutazione genetica e, in seguito, incrociandolo con una varietà americana. I raggi gamma (γ) sono una forma di radiazione elettromagnetica più penetrante sia della radiazione alfa sia della radiazione beta, ma meno ionizzante. Dopo la mutazione, il grano era diventato “nano”, mostrando differenze, in positivo, in caratteri come la produttività e la precocità nella crescita. Questo nuovo tipo di grano mutato geneticamente, non OGM, ma irradiato, fu battezzato “Creso” e, con esso oggi si prepara circa il 90% della pasta venduta in Italia, ogni tipo di pane,  dolci, pizze, alcuni salumi, capsule per farmac…

Purtroppo quello che non era stato previsto era l’aumento anche del glutine, uno dei costituenti fondamentali del grano con funzioni di riserva per la crescita. Tuttavia un aumento di glutine equivaleva a renderlo un componente tossico per l’ organismo umano.

Il Glutine è una sostanza colloidale, formata da due proteine semplici la Gliadina e la Gluteina che conferiscono al seme un alto grado di collosità e favorisce l’aggregazione sua e l’elasticità dell’impasto. La gliadina è una proteina vegetale ricca di acido glutamminico, che risulta particolarmente irritante per le cellule nervose. La Gluteina è una proteina solubile in alcali, ma, quando il pH dell’intestino varia verso l’acido, non è più solubile e quindi non metabolizzabile e diviene una tossina.

Il grani antichi,  oltre a contenere uno scarso quantitativo di glutine, sono dotato di un perfetto equilibrio dei suoi componenti che impedisce alla tossicità del glutine di esplicare un’azione lesiva a livello dei tessuti, come avviene quasi sempre nei prodotti della natura, prima delle trasformazioni indotte dalla moderna tecnologia. Fino agli anni ‘60 in Italia, soprattutto in Puglia, il grano duro coltivato abitualmente era della varietà Cappelli, di ottima qualità, ma era ad alto fusto e facilmente si piegava verso terra all’azione del vento e della pioggia con una bassa produttività.

Il grano che arriva sulle nostre tavole non è soltanto il Creso. Nei prodotti industriali vengono utilizzati anche grani meno costosi, proveniente dai granai dell’Unione Sovietica, del Canada o degli Stati Uniti. Dal 1992 l’Italia importa circa il 60% della farina dall’America settentrionale e dall’Ucraina. Solo apparentemente le caratteristiche organolettiche di queste farine sono uguali a quelle di produzione italiana perchè il grano deve viaggiare per lunghi periodi, stivato nelle navi o su treni merci. Quindi, oltre ad aver subito durante la coltivazione trattamenti a base di antiparassitari, diserbanti e pesticidi, deve essere ripetutamente trattato durante il viaggio, per evitare la distruzione delle stesse granaglie ad opera di topi e infestazioni varie. Si può facilmente immaginare quali siano le caratteristiche biochimiche del prodotto che arriva sugli scaffali del supermercato e successivamente a contatto con la mucosa intestinale.

Olio di palma, una verità scomoda

di Placido Salamone

In maniera sempre più marcata e sempre meno celatamente come in passato sembra delinearsi nell’ambito della scienza degli alimenti una singolar tenzone tra due gruppi d’interesse che sembrano finanziare intere equipe di ricercatori al solo scopo di veicolare messaggi in maniera quanto più conforme ai propri scopi. Data la vastità dell’argomento non è possibile soffermarsi anche brevemente su tutto ciò che è oggetto di questa contesa, ma è preferibile a titolo esemplificativo concentrarsi su un aspetto specifico che ormai incontriamo nel nostro vivere quotidiano ossia il sempre più vasto utilizzo dell’olio di palma.

C’è da domandarsi esattamente se quest’olio vegetale ha effetti nocivi per la salute e se è addirittura cancerogeno? Quali sono state le ragioni del suo crescente utilizzo dal momento che l’olio di palma, insieme all’olio di soia, è diventato il grasso più usato al mondo, e non solo in alimentazione?. Certamente non è un grasso d’uso casalingo, almeno in Europa, ma lo è in assoluto in ambito industriale e commerciale (industria alimentare, ristoranti, friggitorie, mense). C’è quindi bisogno di fare chiarezza e possiamo cominciare specificando che esistono tre tipi di olio di palma con differenze significative. Per l’esattezza: l’olio di palma grezzo, l’olio palmisto e l’olio di palma raffinato.

L’olio di palma grezzo è estratto dai frutti della pianta e si presenta in natura solido per l’alta percentuale di grassi saturi, ricco di antiossidanti e di colore rossastro, l’olio palmisto estratto dai semi del frutto e di colore bianco e olio raffinato o bifrazionato, fluido e giallo tramite un processo di estrazione industriale, privo di antiossidanti, largamente utilizzato dall’industria alimentare e nella ristorazione. Le ragioni principali dell’utilizzo dell’olio di palma vengono giustificate dall’industria soprattutto perché ha una composizione chimica che ne fa un grasso poco rischioso, capace di resistere alle difficili condizioni ambientali della cottura industriale e della produzione a caldo, dell’ossidazione dovuta a immagazzinamento, calore prolungato (sole, luce battente), e a conservazione all’aria in scatole non a perfetta tenuta – come dadi per brodo, biscotti ecc. – per lunghi mesi a contatto con luce e temperatura ambiente.

This picture taken on December 6, 2011 shows the processing of palm oil fruits at a factory in Medan. Indonesia is the world’s largest exporter of crude palm oil, saw its foreign sales jump 30 percent over the first ten months of the year. Indonesia’s economy grew 6.5 percent in the third quarter from a year earlier, buoyed by domestic consumption and private investment. AFP PHOTO / ATAR (Photo credit should read ATAR/AFP/Getty Images)

Diversamente i ristoratori lo preferiscono poiché raggiunge più lentamente il punto di fumo e quindi il più idoneo alla cottura dei cibi e per tutti gli operatori è un prodotto a basso costo. Un’autentica campagna denigratoria è stata invece rivolta nel mondo della ristorazione verso l’utilizzo di oli genuini e salutistici come ad esempio l’olio d’oliva giudicato erroneamente predisposto ad una rapida ossidazione. Una scusa pretestuosa dal momento che esistono diversi rimedi naturali per combattere l’ossidazione come l’aromatizzazione o l’impiego di buone prassi di conservazione, così come processi di lavorazione meno invasivi e al contempo convenienti. C’è poi da sottolineare come l’olio di palma conta ben 884 kcal per 100 ml così come l’olio d’oliva, ma con una percentuale di grassi saturi di gran lunga superiore, ossia quei grassi ufficialmente riconosciuti come fattore di rischi per l’apparato cardiovascolare. La stessa industria limita l’utilizzo dell’olio di palma per la presenza di una sostanza tossica, l’acido erucico (alla faccia della catalogazione negli oli non nocivi). Sebbene l’industria replichi dicendo che non tutti i grassi saturi sono uguali ed esistano i saturi pessimi, quelli mediocri e quelli addirittura buoni, cioè protettivi, rimane indiscutibile che il prodotto in commercio più diffuso in assoluto è l’olio di palma raffinato che presenta dei parametri analitici nella maggior parte dei casi pessimi e costituisce un inutile surplus di grassi nocivi che è preferibile evitare.

Sappiamo darci una motivazione per la bassa produzione annuale in olivicoltura nel nostro territorio?

di  Luciano Aliberti

L’elemento cardine sta l’elevata produzione nell’anno precedente, e che in olivicoltura ad un anno di carica come quello precedente si alterna un anno di scarica come quello attuale.

L’alternanza di produzione nell’olivo, cioè la tendenza a produrre un raccolto abbondante in un anno e scarso nell’anno successivo, è un fenomeno che si presenta soprattutto negli oliveti abbandonati ma che può insediarsi e persistere anche in oliveti coltivati. L’alternanza di produzione può manifestarsi a diversi livelli di scala. Si passa da pochi alberi in un oliveto ad un intero comprensorio olivicolo, con effetti anche considerevoli sui dati produttivi di intere regioni. I fattori che innescano e perpetuano l’alternanza di produzione nell’olivo sono di due tipi: fattori esogeni ed endogeni. Tra i fattori esogeni troviamo le condizioni climatiche e gli interventi agronomici effettuati dall’uomo. Condizioni climatiche avverse, come ad esempio gelate tardive, eccessiva piovosità o condizioni di siccità durante il periodo di fioritura, possono danneggiare i fiori e ridurre notevolmente la mobilità del polline, comportando quindi una drastica riduzione della produzione dell’anno. D’altro canto, alcune pratiche colturali, quali l’irrigazione, la concimazione e la potatura, se condotte in maniera non appropriata, possono creare le condizioni favorevoli per l’innesco e il perpetuarsi dell’alternanza. I fattori endogeni che determinano l’alternanza di produzione nell’olivo sono invece riconducibili ai fenomeni di competizione idrico-nutrizionale e ai meccanismi ormonali implicati nell’induzione delle gemme a fiore durante le fasi di fioritura e primo sviluppo del frutto. In questo periodo, infatti, nell’olivo sono contemporaneamente in atto tre importanti processi: la fioritura/allegagione, lo sviluppo dei nuovi germogli e l’induzione delle gemme a fiore. La fioritura e i frutticini appena formati esercitano un forte richiamo per l’acqua e gli elementi nutritivi che, quindi, saranno disponibili in minor misura per gli altri processi.  Questo comporta che in condizioni di abbondante fioritura e allegagione l’accrescimento vegetativo potrebbe risultare stentato, con conseguenze negative sulla produzione dell’anno successivo. Infatti, poichè il nuovo germoglio in accrescimento rappresenta la porzione di ramo che fruttificherà l’anno seguente, il suo ridotto allungamento implicherà una minore quantità di siti potenziali per la fruttificazione. L’altro fattore endogeno implicato nell’alternanza di produzione è legato ai meccanismi ormonali. È stato visto che i frutti in fase di sviluppo sembrano ridurre la fioritura attraverso un messaggio inibitorio rilasciato dal seme durante il periodo di induzione delle gemme a fiore. Quindi, la presenza di una abbondante fruttificazione sulla chioma comporterà una minore differenziazione delle gemme a frutto e, quindi, una minore produzione di olive nell’anno successivo. Come accennato precedentemente, le tecniche colturali utilizzate possono incidere marcatamente sul fenomeno dell’alternanza. A tal proposito, è fondamentale che tutti gli interventi colturali vengano misurati e applicati in maniera tale da contenere il fenomeno. Infatti, operazioni colturali quali l’irrigazione, la concimazione e la potatura possono attenuare o accentuare l’alternanza in base alle modalità di esecuzione. Ad esempio, una corretta gestione dell’irrigazione durante il periodo di fioritura e primo sviluppo del frutto favorisce l’accrescimento della drupa e contemporaneamente supporta il corretto sviluppo del germoglio, anche in
condizioni di bassa umidità nel suolo e/o elevata carica produttiva. Allo stesso modo, un adeguato apporto di elementi nutritivi è importante per non alterare l’equilibrio vegeto-produttivo dell’albero ed assicurare produzioni costanti nel tempo. A tal proposito è bene ricordare che dopo un’annata di carica le concimazioni azotate andrebbero limitate in quanto potrebbero indurre un eccessivo sviluppo vegetativo a scapito della produzione e, quindi, un ampliamento dell’alternanza. Infine, per quanto riguarda la potatura è stato visto che il fattore più importante risulta essere l’intensità dell’intervento. Prima di iniziare con la potatura è bene tener conto dei risultati produttivi dell’anno precedente. Dopo un’annata di bassa produzione è consigliabile effettuare una potatura più energica, magari effettuando anche i tagli “lasciati in sospeso” l’anno precedente, in modo da stimolare l’attività vegetativa che altrimenti verrebbe limitata dalla presenza di un elevato carico di frutti sulla chioma. Al contrario, dopo un’annata di carica è bene ridurre l’intensità della potatura effettuando solo i tagli “indispensabili”, in quanto una potatura severa potrebbe stimolare ulteriormente l’attività vegetativa a scapito della produzione dell’anno.

Studi effettuati in alcuni Paesi mediterranei hanno mostrato una stretta correlazione tra la produzione annuale di polline e la resa in olive attraverso il campionamento nell’aria di granuli di polline di olivo in aree olivetate. La grande produzione di polline dell’olivo è una conseguenza dell’elevato numero di fiori presenti, soprattutto nelle annate di carica (elevata produzione di olive). L’olivo presenta una grande percentuale di fiori ermafroditi ma fisiologicamente maschili a causa della sterilità morfologica, nota come “aborto del pistillo”, dovuta a vari fattori (genetici, nutrizionali, ambientali, etc.). I fiori fisiologicamente maschili differiscono da quelli ermafroditi esclusivamente per la parziale o totale necrosi del pistillo mentre non sembrano esserci differenze per la produzione dei granuli pollinici, da parte delle antere, tra le due tipologie fiorali. Nonostante le migliaia di infiorescenze presenti sul singolo albero ed i milioni di granuli pollinici prodotti, l’allegagione nell’olivo è generalmente pari all’1-5%. La vitalità dei granuli pollinici può essere controllata mediante varie tecniche quali i coloranti citoplasmatici, le reazioni enzimatiche e la germinazione su substrati idonei. Studi per valutare la vitalità del polline di cultivar di olivo sono alquanto limitati, ed ancor più scarse sono le informazioni relative alla qualità del polline misurata con le diverse tecniche in annate di carica e scarica.

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Benvenuti sulla nostra pagina d’inchiesta. Come l’ occhio puntato di un guardiano ci inoltreremo negli anfratti più reconditi del mondo delle produzioni agricole ed dell’ agroalimentare, illustrando con dovizia di dettagli tutto quello che generalmente si cela in questo mondo, per il trionfo del vero.