COSA SAPETE DELL’OLIVA GIARRAFFA?

Si narra nelle cronache medievali come alla corte delle famiglie feudali di Sicilia, dentro palazzi e castelli, agli ospiti in transito fosse offerto una strana focaccia chiamata vastedda o del  pane nero di tumilia,  abbrustolito e condito con olio e olive nere giarraffa, riscaldato in grandi bracieri di rame e di terracotta, utilizzati per riscaldare gli ambienti e rendere più appetitosi alcuni cibi, dalle uova, alle cipolle, alle olive stesse. Per questa ragione da secoli gli uliveti di alberi di giarraffa sono stati considerati un bene strettamente padronale e le olive ad uso e consumo della magione patrizia.

Questo è dovuto all’ alto pregio di quest’olio, fruttato leggero, da sentori di mandorla, di carciofo e di foglie di pomodoro, e quindi indicato per condire in maniera eccellente le insalate. Tra l’altro per una sensazione di dolce, che si accompagna ad un leggero, piccante e amaro e per l’uso, crudo, per il pesce, ed anche per rendere più appetitose le focacce.

Nessuno può dire chi introdusse per primo questa cultivar. Certamente sappiamo che i Greci portarono questa varietà nell’ Isola e ne favorirono la coltivazione, al punto da punire con sanzioni pesanti coloro che li estirpavano senza giusta causa.

La pianta, in ogni modo, grazie alla sua capacità di rigenerarsi dalla “ceppaia”, sembrava portata alla diffusione ed all’immortalità, anche quando le ricorrenti crisi l’hanno, specie in certi periodi della storia delle dominazioni, trascurata.

I Romani, in ogni modo, a prescindere dalle origini delle piante e dei frutti, amarono l’olio di questa pianta al pari del grano, appunto per le caratteristiche organolettiche e autori come Catone e Columella, scrissero volumi sulla coltivazione degli oliveti e su come realizzare l’olio migliore avendo come riferimento essenzialmente questa pianta. I monaci benedettini e i Cistercensi portarono poi importanti innovazioni e favorirono la diffusione dei frantoi ed i Normanni e gli Svevi svilupparono in Sicilia la coltivazione degli ulivi.

In verità dobbiamo aspettare il XIX° secolo per avere dei dati scientifici su questa cultivar. Sarà infatti Sac. Gaetano Salamone del Manuale Teorico Pratico di Agricoltura nel 1870 a fare chiarezza riguardo a queste sottovarietà. Il prelato classifica le olive di varietà giarraffa come ovali ovvero bislunghe notando come a sua volta esse possano a sua volta distinguersi di tre tipologie, ovali ossia “lungarine” con l’acume dritto, ovali con l’ acume tortuoso (a becco d’uccello)  e ovali senza acume.

L’oliva “giarraffa”, continua il prelato, è mediamente più, grossa rispetto all’oliva “comune” dando per certo che per comune intendesse l’oliva santagatese, in gergo “rizza”. Essa si presta come oliva da olio, da mensa e in salamoia e rientra nella categoria dell’oliva ovale con acume “pizzu” dritto. A sua volta identifica una varietà più piccola che cataloga come “giarraffedda”. Dalla forma ovale e dall’ acume rotondo, oggi identifichiamo questa oliva come ogliarola messinese. Ottima oliva da olio che a giusta invaiatura produce un extravergine dolce e delicato. Esiste poi una terza sottovarietà, di grosse dimensioni, ovale ma dall’ acume tortuoso e dalla forma di becco di uccello che comunemente era nota come oliva “cefalutana o puddinisa”, poiché  diffusa prevalentemente in queste aree. Ottime olive nere da tavola, tardive rispetto alla giarraffa tradizionale ma dal sapore dolcissimo.

Al di là della corretta classificazione, salta in evidenza le grandi potenzialità di questa oliva diffusissima in vasto areale che va dal fiume Himera al fiume Haleso. La dolcezza rimane il punto di forza, pertanto si ottiene un ottima pasta da patè senza utilizzo eccessivo di correttori di acidità ne di amarosticità. La produzione selezionata di questa varietà di olive nere può trovare impiego nella ristorazione di cui si fa largo impiego in molte ricette tipiche meridionali e soprattutto come oliva per pizza.

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