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La tradizione monastica della coltivazione di piante officinali

di Placido Salamone

Fin dalla loro creazione i monasteri sono stati non soltanto luoghi di preghiera e meditazione, ma anche di operosità e accoglienza. Oltre a radunare uomini dediti all’ascesi e alla contemplazione divina, infatti, spesso offrivano un rifugio temporaneo ai tanti pellegrini e ai viaggiatori di passaggio.

Per questo motivo al loro interno si organizzarono centri di assistenza medica, ospizi e ricoveri che inizialmente furono riservati ai pazienti interni al convento, ma che con il tempo si aprirono a utenti esterni rappresentati da poveri, bisognosi e malati.

Poco per volta ospitalità monastica e attività ospedaliera vengono quasi a coincidere: non a caso i termini “ospizio” e “ospedale” provengono dalla stessa radice latina hospes, “ospite”.

All’interno di queste strutture diventa così necessaria la presenza di figure specializzate in grado di preparare medicamenti naturali destinati a curare disturbi più o meno gravi. Queste persone ricevono gran parte della loro formazione dai confratelli che li hanno preceduti, ma si dedicano anche, più o meno autonomamente, allo studio di testi classici sulle piante officinali e sulla medicina, che spesso sono i monaci stessi a tradurre dal greco o dall’arabo.

Le opere più apprezzate e conosciute sono quelle di Ippocrate e soprattutto di Galeno. Il primo, considerato il fondatore della medicina scientifica in Grecia, è sicuramente il medico più famoso della sua epoca. Disponiamo di pochissimi dati certi su di lui, ma gli viene attribuito un corpus di circa settanta testi composti fra gli ultimi decenni del V secolo a.C. e la prima parte del IV.

È greco anche Galeno di Pergamo (129-201 d.C. circa), molto stimato per la sua razionalità e il legame con la logica aristotelica, che con la sua visione ha dominato la scena della filosofia e della scienza occidentali per tredici secoli, fino al Rinascimento. Dal suo nome deriva la galenica, cioè l’arte del farmacista di preparare i farmaci nel suo laboratorio. Nei secoli X e XI è particolarmente noto il suo trattato De simplicium medicamentorum temperamentis ac facultatibus; sono molto conosciuti e apprezzati anche quello di Dioscoride Pedanio [1], De Materia Medica, l’anonimo Medicina Plinii e il De viribus herbarum di Oddone di Meung, La capacità degli studiosi e dei religiosi di servirsi di fonti storiche e di culture antiche di vari tipi e origini porterà anche all’istituzione della famosissima Scuola Salernitana, fondata nel IX secolo, che riceve dai monaci un contributo decisivo anche grazie all’opera di Alfano (1015/1020 – 1085), frate di Montecassino, medico e importante esponente della prima e più importante istituzione medica europea nel Medioevo, considerata da molti l’antesignana delle moderne università.

IL GIARDINO DEI SEMPLICI

Già nel VI secolo la Regola di san Benedetto prevede la presenza in ogni monastero di un infirmarius, un monaco «pieno di amore di Dio, attento e premuroso» destinato alla cura dei malati. È lui che distribuisce bevande, elettuari, medicine e gli altri rimedi che la scienza del tempo mette a disposizione, gestisce l’infermeria mantenendo acceso il fuoco e curando l’illuminazione notturna e provvede con pazienza alle richieste dei confratelli indisposti.

Un altro compito di grandissima importanza che gli è affidato è la coltivazione delle erbe medicinali (simplicia medicamenta) in un orto botanico, che viene chiamato hortus sanitatis o “giardino dei semplici”. In alcuni casi, invece, questa incombenza spetta a un frate giardiniere che lo supporta in questa attività.

Uno di questi giardini viene descritto nei dettagli in un’antica pergamena di origine medievale: vi sono presenti sedici diverse specie vegetali (fra cui rosa, cumino, giglio, salvia e rosmarino) che spesso sono scelte e coltivate non solo per la loro utilità, ma anche per il loro valore simbolico.

Pur avendo un’origine puramente utilitaristica, infatti, questo luogo assume anche una valenza religiosa. Considerato un emblema del paradiso e quindi privo di peccato, è contrapposto al bosco, popolato dalle fiere selvatiche e immagine del male. Un altro elemento essenziale al suo interno, naturalmente, è l’acqua.

Lo spazio riservato alla coltivazione delle piante medicinali fa parte del più ampio hortus conclusus (cioè “recintato”), il tipico giardino medievale annesso ai conventi, ai castelli e talvolta anche ai palazzi dei nobili. La Regola benedettina stabilisce la presenza in ogni abbazia di un’area specifica suddivisa in frutteto, giardino con piante ornamentali e due orti: uno destinato alla coltivazione delle piante commestibili per la mensa dei frati, e l’altro riservato alle erbe officinali.

I monaci, gli eremiti e gli anacoreti seguono una dieta prevalentemente vegetariana e quindi sono naturalmente portati a interessarsi di vegetali, di cui sperimentano direttamente le proprietà terapiche. Non si limitano però a coltivarli, ma raccolgono anche quelli che crescono spontaneamente intorno al monastero e poco per volta acquisiscono una vasta conoscenza dell’ambiente naturale e delle risorse che offre.

Ovviamente i prodotti della terra vengono usati in cucina, ma in parte riforniscono anche la farmacia interna al monastero, dove sono preparati i rimedi naturali destinati ai malati. Qui inizialmente sono radunati alcuni mortai, qualche alambicco e una quantità limitata di piante medicinali, ma con il passare del tempo sorgono quelle che vengono chiamate “spezierie”, laboratori sempre più specializzati e dotati di molti strumenti di lavoro.

I religiosi e gli addetti alla preparazione di medicamenti acquisiscono sempre più conoscenze e capacità e man mano che i preparati riscuotono successo, la loro fama si diffonde anche all’esterno, tra gli abitanti dei paesi che sorgono nelle vicinanze del monastero. Questi cominciano a consultarli per ottenere diagnosi e cure contro vari tipi di malattie, anche se nutrono un po’ di timore nei confronti dei frati, che ritengono quasi simili a maghi o stregoni.

I servizi “medici” vengono forniti gratuitamente ai bisognosi e forse anche per questo motivo ben presto l’attività inizia a essere ostacolata. Le critiche non arrivano tanto da chi non si fida della competenza scientifica dei monaci, ma da chi, svolgendo la medesima professione negli ambienti urbani, non sopporta una concorrenza che viene ritenuta sleale.

Oltretutto i conventi non solo ricevono lasciti e donazioni che ne aumentano in maniera spropositata i patrimoni, ma sono anche esentati dal pagamento di imposte e tributi.

Sono soprattutto gli speziali, antenati degli odierni farmacisti associati in corporazioni, che chiedono insistentemente di impedire ai consacrati l’esercizio della professione medica al di fuori dei conventi. Non si accontentano nemmeno delle disposizioni ecclesiastiche, che stabiliscono che il servizio prestato all’esterno debba essere gratuito e svolto amore Dei erga omnes [2]. Gli affari dei laici risultano intralciati proprio dalla gratuità di questa attività.

Uno dei motivi che spinge la Chiesa a limitare comunque le uscite dei monaci per curare i pazienti è anche il fatto che quelli che intraprendono gli studi di medicina spesso sono portati a trasferirsi in città. Anche per questa ragione si susseguono varie ordinanze contro l’esercizio di questa arte da parte dei consacrati: il Concilio di Reims (1131), di Roma (1139 e 1215), di Tours (1163), i decreti pontifici del 1227 e 1268, le decretali di Alessandro III (1180) e di Onorio III (1219) operano in tal senso.

Inizialmente è anche presente un’opposizione interna: i Francescani e i Cistercensi si dichiarano contro i Benedettini e le loro attività in campo medico. Questi ultimi, però, ormai hanno creato centri così potenti da riuscire a evitare le scomuniche sinodali.

In realtà, fin dal 1292 gli stessi Francescani avevano autorizzato alcuni confratelli a seguire corsi di medicina a Parigi.

LE SPEZIERIE

Nell’alto Medioevo sono soltanto i Benedettini a ospitare nei loro monasteri una spezieria aperta al pubblico, ma ben presto sono seguiti da Domenicani, Francescani, Certosini, Cappuccini, Camaldolesi, Carmelitani e Gesuiti. A un certo punto, addirittura, proprio grazie alle ampie conoscenze medico-fitoterapiche acquisite dai monaci viene ritenuto opportuno affidare agli ordini religiosi anche la gestione degli ospedali e degli ospizi esterni alla struttura religiosa.

Il concetto di pharmacia nasce quindi proprio all’interno dei conventi; il termine indica il luogo preposto alla vendita esclusiva di prodotti medicamentosi, che diventerà il modello anche per le farmacie “laiche”. I documenti relativi ai monasteri attivi tra il XVII e il XVIII secolo attestano praticamente ovunque la presenza di spezierie e orti dei semplici.

Con il passare degli anni, però, la figura del monaco speziale subisce una trasformazione: mentre in una prima fase ha il compito di preparare i rimedi ordinati dal medico, successivamente opera piuttosto come responsabile della sorveglianza e dell’amministrazione della farmacia monastica. La realizzazione dei medicinali viene infatti affidata a figure esterne stipendiate dalla comunità, che spesso però hanno l’obbligo di risiedere all’Interno.

Per esempio, la spezieria del monastero di San Pietro a Modena è affidata nel 1610 a un professionista secolare che viene pagato 50 ducati l’anno, ma che è obbligato a rispettare una speciale clausola inserita nel contratto: mentre svolge la sua attività dev’essere assistito da un frate delegato dall’abate. Inoltre tutti i prodotti devono essere venduti a un prezzo minore di quello praticato all’esterno e distribuiti gratuitamente ai frati e ai poveri.

Un’altra situazione particolare è quella della Francia del Cinquecento: in questo Paese i religiosi, giuridicamente, non possono gestire la spezieria e fornire prodotti a un’utenza esterna senza essere iscritti alla relativa corporazione di mestiere, che ha il compito di seguirli e tenerli sotto controllo. In pratica poi continuano a rifiutare tali restrizioni e infatti molti si lamentano della loro concorrenza sleale. Questa situazione è ancora tale poco prima della Rivoluzione del 1789, che mette all’asta tutte le farmacie conventuali.

Esistono molte farmacie monastiche che continuano a svolgere la loro attività ancora oggi. Oltre a quelle citate di seguito insieme ad alcuni prodotti realizzati al loro interno, sono rinomate quella di Trisulti, la Certosa di Pavia e di Firenze, Montecassino e molte altre.

Alle spalle del convento dei padri cappuccini del Santissimo Redentore di Venezia, fondato nella Giudecca nel 1576, è ancora presente l’antico orto affacciato sulla laguna in cui venivano (e vengono) coltivati ulivi e viti, alberi da frutto, ortaggi ed erbe aromatiche. La spezieria, rimasta pressoché intatta, è rimasta attiva fino al 1956.

All’interno delle mura della città vecchia di Dubrovnik (Croazia), dentro l’antico monastero francescano, è ancora possibile visitare la vecchia farmacia fondata nel 1317, inizialmente riservata ai frati e successivamente diventata pubblica. Nei suoi locali sono conservati libri molto preziosi di farmacologia e medicina, centinaia di ricette mediche e strumenti risalenti al XV secolo. È ancora in funzione e continua a proporre alcune preparazioni realizzate secondo le antiche ricette.

L’antica spezieria di Santa Maria Novella a Firenze è ritenuta la farmacia storica più antica di tutta Europa. Già nel 1381, infatti, i Domenicani vendevano l’”acqua di rose”, un rimedio che veniva usato come disinfettante soprattutto nei periodi di epidemie. I frati coltivavano le piante medicamentose in un orto attiguo, distillavano erbe e fiori, preparavano essenze, elisir, pomate, balsami e rifornivano la vicina Farmacia di San Marco, fondata e gestita dallo stesso Ordine, i cui prodotti erano esportati addirittura nelle Indie e in Cina. Accanto alla struttura sorge una cappella, che era situata in quella posizione per permettere agli infermi di seguire la santa messa rimanendo sdraiati nel letto. Oggi svolge essenzialmente la funzione di profumeria ed erboristeria e conserva al suo interno una notevole collezione di materiale scientifico (termometri, mortai, bilance, misurini).

Nel 1705 nasce a Cagliari la prima farmacia dei padri cappuccini presso la chiesa di Sant’Antonio di Padova sul colle del Buoncammino, che naturalmente disponeva di uno spazio riservato alla coltura di erbe officinali. Il suo scopo era provvedere anzitutto alle necessità interne dell’infermeria conventuale; pare infatti che in seguito all’utilizzo di alcune medicine guaste somministrate da farmacisti laici, molti frati fossero morti o rimasti invalidi. Oltre a questo, però, provvedeva anche ai bisogni della popolazione. La sua direzione venne affidata a padre Geremia da Amalfi, che fece fabbricare il vasellame con il proprio nome e l’effigie di san Francesco con le stimmate. In seguito alla soppressione degli ordini religiosi, anche i Cappuccini dovettero lasciare il convento e si rifugiarono in via Giardini, dove continuarono l’attività farmaceutica. Nel 1907 tornarono alla chiesa del Buoncammino, dove venne costruito un nuovo convento. La farmacia, riattivata solo nel 1957, si occupò della distribuzione dei farmaci gratuiti ai poveri fino alla sua chiusura, nel 1989.

Anche nei monasteri femminili esiste la figura della “speziala” o “aromataria”, i cui doveri sono addirittura specificati in alcuni manuali per confessori. A Padova, per esempio, nel 1769 sono presenti venti conventi femminili dotati di altrettante spezierie.

Le conoscenze delle religiose in ambito medico-scientifico sono testimoniate dalla presenza, nelle biblioteche interne, di libri e manoscritti che trattano di questi argomenti.

È ben documentata, ad esempio, l’attività in campo farmaceutico delle religiose bolognesi: quelle del Corpus Domini erano famose per il loro cerotto e l'”elettuario di Calybes”, quelle di San Pietro Martire per l’unguento alle rose”, quelle di San Gervasio per il “vino di ciliege” e quelle di San Lorenzo per l’”estratto di cappone”.

Fra il Sei e il Settecento, inoltre, le monache producono anche medicamenti seguendo le prescrizioni di ricette mediche, in diretta concorrenza con le botteghe degli speziali.

In alcuni monasteri si svolgono addirittura corsi sulle scienze farmaceutiche: già nel 1309 nella sede dei Domenicani di Montpellier una sessantina di frati insegna fitoterapia ai confratelli provenienti da altri conventi.

A Vallombrosa, accanto alla famosa spezieria presente dal 1689 nasce una scuola di botanica frequentata da illustri naturalisti, tra cui l’abate Virgilio Falugi (1626-1707), una delle grandi figure della storia botanica italiana, autore delle Prosopopoeiae botanicae.

La perdita delle dotazioni delle farmacie conventuali italiane è dovuta in gran parte alla soppressione napoleonica degli ordini religiosi del 1810, disposizione confermata dallo Stato unitario (1866). A volte, per sottrarsi all’incameramento, i frati affidano le loro risorse migliori a famiglie compiacenti, sperando di poter continuare in qualche modo la loro attività.

GLI ERBARI MONASTICI

«Se le particolari esigenze del luogo o la povertà costringono i fratelli a raccogliere personalmente i frutti della terra, non si rattristino. Allora sono veri monaci, quando vivono del lavoro delle loro mani» (48,7-8). Così scrive san Benedetto da Norcia nel 534 nella sua Regola, invitando a rispettare il famoso principio dell'”Ora et labora”. In questo modo, indirettamente, dà anche un forte impulso all’attività dei religiosi addetti alla coltivazione delle piante officinali destinate alla spezieria del monastero.

Oltre che della produzione di rimedi naturali, spesso i monaci si occupano personalmente anche della classificazione delle varie piante, creando erbari riccamente illustrati di cui sono rimaste alcune copie conservate in diverse biblioteche. Si tratta di una particolare categoria di libri che contiene campioni di erbe schiacciate ed essiccate, soprattutto medicinali, con brevi descrizioni delle loro caratteristiche e delle loro virtù. A partire dal Quattrocento questi testi cominciano a essere dotati di disegni anche molto dettagliati.

Erbario è anche il nome assegnato al locale in cui vengono conservate e manipolate erbe e foglie, radici e bacche dalle proprietà curative raccolte nei campi o coltivate nell’hortus botanicus del convento. Una volta essiccate, sono custodite nell’armarium pigmentariorum, un armadio dalla struttura robusta e vietato ai “profani”, chiuso in modo tale da non lasciar filtrare troppa aria e soprattutto luce, per mantenere inalterate le proprietà terapeutiche delle varie specie.

Accanto alle attività agricole e alla preparazione di medicamenti, quindi, molti religiosi si impegnano con assiduità ad approfondire le conoscenze in campo botanico producendo una serie di opere molto interessanti dal punto di vista storico e scientifico.

Evangelista Quattrami, frate agostiniano, trascorre gran parte della sua vita in giro per l’Italia a raccogliere piante medicinali. Studia botanica e teologia a Roma, dove diventa discepolo del Collegio dei medici della città, ma continua per molti anni a coltivare erbe e a distillarle. Nel 1586 scrive un testo sulla peste, con l’intento di preservare i confratelli dal contagio, e nel 1597 un trattato sulla teriaca, una sorta di antidoto universale molto in voga sino al XVIII secolo.

Anche molti Francescani si dedicano agli studi e alla scrittura: Gregorio da Padova, naturalista e speziale, redige nel 1663 una farmacopea manoscritta ricchissima di quelli che definisce «sperimenti segreti» e Donato da Roccadevrando, speziale del convento di Forniello, si occupa di alchimia e scrive testi sull’arte distillatoria.

I membri di questo Ordine, poi, si specializzano in modo particolare nella creazione di erbari. Uno dei più importanti è quello di fra Fortunato da Rovigo, nato nel 1638, che arriva nel convento di Padova come aiuto infermiere ed è allievo di Gregorio da Padova, dal quale apprende il segreto della preparazione di una miracolosa panacea, detta “polvere dell’Algarotto”. Studia botanica, inizia una corrispondenza epistolare con studiosi italiani e stranieri e ne conosce personalmente un gran numero.

Trasferitosi a Verona, comincia la redazione di un erbario, che completa recandosi più volte sul Monte Baldo, famoso in quell’epoca per la ricchezza della sua flora. Inoltre coltiva personalmente le specie più interessanti in un orto vicino al convento. La sua raccolta si arricchisce di preziosi esemplari grazie a molti confratelli missionari che gli inviano o gli portano piante e semi da ogni parte del mondo.

In seguito riassumerà i risultati delle sue ricerche in un primo testo in sei volumi, Tavola di Montebaldo fiorito (1690), purtroppo andato perduto, di cui rimangono solo le prime 54 carte.

Il primo tomo era forse la bozza di un’opera più vasta che Fortunato compone subito dopo e che doveva comprendere sette volumi in-folio. Riesce a completarne soltanto sei, mentre il settimo viene ultimato dal suo allievo, fra Petronio da Verona, che ne aggiunge un ottavo utilizzando il copioso materiale già raccolto dal maestro, ne redige un nono di indici e note e abbellisce il primo e l’ultimo di acquerelli e disegni a penna. L’opera, dal titolo Theatrum Plantarum, è rimasta manoscritta ed è conservata nel Museo di Storia naturale di Verona.

Come si legge nelle ultime pagine, prima di redigere il suo erbario Fortunato aveva consultato le opere di ben 348 naturalisti, riportando sotto ogni esemplare il nome di chi l’aveva descritto per primo.

L’autore è estremamente preciso e dimostra una grande competenza: le piante presenti sono addirittura 2.352 e ognuna viene esaminata e studiata in modo da evidenziarne tutte le parti utili a identificarla.

Un altro erbario molto interessante è quello del francescano minore Carlo Francesco Berta, nato nel 1722 e ordinato sacerdote con il nome di fra Zaccaria, botanico e naturalista di gran fama, tanto da essere chiamato a insegnare alla cattedra di botanica di Ferrara. Da buon speziale, cura l’orto del convento ed esercita la sua attività fino all’età di ottantotto anni.

Lascerà alla biblioteca del Collegio Alberoni di Piacenza tutti i testi che aveva riunito durante la sua vita, tra cui un volume composto dallo stesso frate con 148 tavole a colori raffiguranti specie autoctone ma soprattutto esotiche e un famoso erbario con tavole del Morandi, pittore e naturalista milanese e iconografo dell’orto botanico di Torino.

È francescano anche padre Giuseppe di Massa Ducale, farmacista speziale dell’Arcifarmacia dell’Aracoeli a Roma, che nel 1738 crea un erbario contenente oltre quattrocento piante officinali. Nella sua introduzione leggiamo:

Herbis, non verbis fiunt medicamina vitae.

Herbis, non verbis curantur corporis artus.

Herbis, non verbis fiunt unguenta saluti.

Herbis, non verbis redeunt in corpora vires. [3]

Oltre che dedicarsi alla redazione di erbari, i religiosi scrivono anche testi sull’esercizio pratico dell’arte medica e farmaceutica. A Venezia, nella famosa farmacia conventuale dei Cappuccini della Giudecca, sul finire del Cinquecento fra Francesco del Bosco da Valdobbiadene, detto il Castagnaro (1564-1640), entrato in convento del tutto illetterato, si appassiona talmente all’attività che svolge da scrivere La pratica dell’infermiero. Diviso in sei trattati, il libro contiene la descrizione sommaria delle malattie con i relativi rimedi, come radici purganti, fiori, frutti, alberi, lacrime, grassi, acqua, vini, sciroppi, elettuari, pillole, succhi, bagni artificiali, estratti, essenze, sali e molto altro. Il testo ottiene un buon successo e viene ristampato più volte.

Molto interessante risulta un’altra opera, composta anch’essa da un francescano, che illustra molto dettagliatamente le attività dell’addetto alla preparazione di medicamenti. Nel 1679 fra Francesco Sirena pubblica a Pavia L’arte dello speziale, in cui evidenzia quanto sia importante la formazione per chi si dedica all’arte farmaceutica. Insiste poi sul fatto che lo speziale debba mettersi al servizio del medico, che per sua natura non ha competenze né pratiche né manuali per preparare i rimedi e deve quindi rivolgersi a chi è più esperto di lui.

Il suo testo, quindi, è tutto centrato sul “fare” più che sulla teoria e per questo utilizza uno stile poco elevato ma facilmente comprensibile, ricorrendo quando necessario anche a termini dialettali. Ripete gli stessi avvertimenti più volte e chiarisce che tutto quello che scrive è stato ampiamente sperimentato ed è quindi degno di fiducia: seguendo le raccomandazioni proposte sarà possibile realizzare composti efficaci, ma sempre uguali per colore, odore e sapore. I prodotti secondo l’autore devono risultare belli e buoni: questo è il compito dello speziale e quello che tutti si aspettano da lui.

L’opera comprende ben 1.216 ricette suddivise in sedici capitoli; nel testo vengono riportati nel dettaglio i vari processi di preparazione e gli strumenti di lavoro da utilizzare. Alambicchi, vasi, distillazione, succhi di erbe, sciroppi, decotti, infusi, polveri medicamentose, oli, unguenti e cerotti medicati sono solo alcuni degli argomenti trattati.

Tra le curiosità troviamo la descrizione dei “troscici [4] di vipera”, realizzati con la carne di questo serpente, da cui si ricava un decotto che viene poi mescolato con del pane grattugiato. Per la preparazione occorre trovare un esemplare femmina, catturarlo possibilmente nel mese di maggio in luoghi montuosi, ucciderlo, e poi togliergli la pelle e le interiora lavando tutto con il vino bianco.

Un altro preparato piuttosto particolare è l’”olio volpino”, realizzato cuocendo una volpe intera senza le interiora in acqua e olio, con aggiunta di timo e aneto. Il tutto viene poi colato per ricavarne un olio, di cui però il Serena non indica né le proprietà, né l’uso consigliato.

La ricchezza delle voci trattate, la minuziosità delle descrizioni di procedure e metodologie e le innumerevoli fonti citate dall’autore fanno pensare che L’arte dello speziale sia stato un manuale indispensabile per molti farmacisti dell’epoca.


Estratto dall’introduzione al libro “La farmacia di Dio: Antichi rimedi per la salute, il buon umore, la bellezza e la longevità dalla tradizione monastica e francescana”, Anna Maria Foli, Edizioni Terra Santa 2021

DA CASTEL DI LUCIO A CASA SANREMO

Grazie al pizzaiolo Marco Nicolosi ed alla sua “pizza catelluccese” i sapori della Valle dell’ Halaesa approdano a Casa Sanremo

di Letizia Passarello

Marco Nicolosi, 40 anni, sposato, padre di due bambine di 7 e 3 anni, proprietario del ristorante Onda Blu di Castel Di Tusa, è stato scelto dal noto maestro pizzaiolo Enzo Pidimonte per far parte del team dei 40 esperti pizzaioli che porteranno le loro specialità a “Casa Sanremo”. Raggiunto da noi al telefono non ha potuto nascondere la sua emozione per questa nuova avventura che si accinge a vivere. L’obiettivo primario di Marco Nicolosi è quello di far conoscere e valorizzare il territorio da cui proviene, in particolare Castel di Lucio, in provincia di Messina, suo paese di origine e il borgo marinaro di Castel di Tusa che lo ha “adottato”, negli anni. Un connubio di mare e montagna che si rispecchia nella sua cucina rispettosa di una tradizione.

Marco Nicolosi

Lo farà attraverso la proposta gastronomica della pizza alla Castelluccese. Si tratta di una pizza condita con pomodoro, mozzarella, caciocavallo castelluccese di media stagionatura e salsiccia di suino nero dei Nebrodi, il tutto su una base friabile realizzata con grani antichi e lievitata secondo antichi metodi tradizionali. Interessante soprattutto l’introduzione della la salsiccia siciliana realazzata con carne a punta di coltello, condita con sale e pepe e aromatizzandola con del finocchietto selvatico di montagna. Per realizzare la carne a punta di coltello vengono miscelate le parti più nobili del suino, come i filetti e la lonza, dopo aver eliminato qualunque traccia di cartilagine. Una volta fatta passare nella caratteristica piastra ad 8 buchi i dadini, oltre a sale, pepe e finocchietto, possono essere saltati assieme ad altri ingredienti come provola, semi di finocchio, pomodoro, prezzemolo e mozzarella.

salsiccia siciliana

Ancora più interessante l’impiego del Caciocavallo di Castel di Lucio alias Provola dei Nebrodi è un caciocavallo a pasta filata prodotto con latte vaccino crudo e caglio d’agnello o di capretto. Un prodotto a marchio DOP (Denominazione d’Origine Protetta) della tradizione nebroidea.

La provola dei Nebrodi

Il maestro pizzaiolo Marco Nicolosi, si è rivelato da subito una persona di grande umiltà, cosa che lo rende un gigante. “Ho inviato il curriculum senza troppe speranze – ha, infatti, affermato – ma sono stato scelto grazie alla guida Restaurant Guru, anche per le ottime recensioni che vanta il ristorante Onda Blu”. Nicolosi, già a 13 anni aveva le idee chiare, diventare un pizzaiolo professionista e per questo non si è fermato davanti a nessuna difficoltà. Ha iniziato in sala come cameriere nei ristoranti di Castel di Tusa, per poi passare in cucina come aiuto cuoco ed infine coronare il suo sogno di diventare pizzaiolo. Da quattro anni è proprietario insieme alla moglie di “Onda Blu” caratteristico locale nel cuore del borgo marinaro di Castel di Tusa , apprezzato per la qualità della cucina e per l’accoglienza dei proprietari. 

Federica Driusso,una Miss a passeggio sui Nebrodi tra panorami mozzafiato e delizie gastronomiche.

Da Missi Venice Beach del 2016 e Miss Sorriso Veneto per Miss Italia nel 2018, a modella , presentatrice ed influecer con tanti progetti in cantiere

di Letizia Passarello

Federica Driusso, giovane e promettente coordinatrice del concorso miss Venice Beach, reduce da una tre giorni passata tra Cefalù e i Nebrodi occidentali, racconta del suo viaggio, non senza un tocco di nostalgia e con addosso la voglia di tornare, già al più presto. Modella, presentatrice, speaker ed influencer di successo, la Driusso poco più che ventenne, ha già le idee chiare sul suo futuro. Nella intervista che ci ha rillasciato ne parla con molta enfasi. “Nei progetti futuri  – afferma -continuare e specializzarmi con un master post laurea, che avverrà a brevissimo in quanto mi manca solo l’esame di Cinese e la tesi sull’intermediazione interculturale per raggiungere il traguardo della laurea triennale. Adoro viaggiare: negli ultimi due anni sono stata a Berlino per degli shootings e poi a Londra per la fiera dell’intrattenimento IAPA.

Nel corso della mia carriera, anche se giovanissima, ho presentato eventi televisivi. Mi appassonano la moda le sfilate ma soprattutto la conduzione televisiva. Mi piacerebbe anche lavorare in una azienda che si occupa di commercio con l’Estero”. Federica Driusso studia Lingue e Culture per il Commercio internazionale, specializzandosi in inglese e cinese. Dal 2019 è diventata la Talent Scout, cioè ricerca nuovi talenti, modelle cantanti o fotografi  per il concorso miss Venice Beach. Ancora nel 2019 è stata chiamata dalla nota azienda di gioielli Amen, che era sponsor dell’evento, ad indossare per loro l’ultima collezione di preziosi. Tutt’ora c’è la sua gigantografia sul negozio di Amen alla stazione centrale di Milano. “La mia esperienza inizia nel 2016 – continua Federica Driusso – quando ho vinto Miss Venice beach, concorso che adesso coordino, insieme ad Elisa Bagordo, da qui il mio trampolino di lancio verso  la carriera da modella: ho fatto sfliate con molti stilisti ad esempio Antonio Martino, indossando un vestito di Simona Molinari. Sempre nel 2019 ho indossato i vestiti degli stilisti nel programma “Detto Fatto”, condotto da Bianca Guaccero su Rai 2. A 20 anni avevo già un importante percorso alle spalle, anche da conduttrice radiofonica con una esperienza da co conduttrice per un programma sportivo su Caffè Sport, dove leggevo i risultati sportivi. Poi ho lavorato per Verde a Nord Est, facendo le interviste e per Venezia Channel in cui mi sono occupata di ripartenza post covid. Per radio Wellness, dove hanno introdotto una pagina per i giovani e avevo una mia rubrica denominata Fole, ogni venerdi parlavo delle novità per i giovani sui social”.Nel 2018 l’esperienza di miss Italia, dove raggiunge le finali con  il titolo di miss Sorriso Veneto. Sempre nel 2016 ha partecipato a Miss Diadora, andando in finale nell’Arena di Verona, classificandosi quarta su 250 partecipanti. Dal 2020 in poi ha cominciato a presentare eventi dal vivo, inizialmente con Il cantaElba e successivamente all’inizio della mostra del Cinema di Venezia con una presentazione di un libro che ha preceduto una sua sfilata sul red carpet. Da non dimenticare il premio Different nel 2021, e varie fiere con Vini, come testimonial per la Fioravanti Onesti vini per far conoscere il prosecco doc. ” Facevo vedere sui social questi eventi e ho rilevato che la gente si interessava molto – conclude la splendida modella –  e ben presto ho raggiunto sul web i 10.000 followers, sono diventata quindi influencer a tutti gli effetti. A Cefalù, la Driusso, è stata ospitata negli appartamenti Albatros e il primo giorno dopo un  corroborante bagno in mare, tappa obbligatoria le degustazioni delle eccellenze culinarie siciliane, iniziando con gli arancini di Sfrigola, “abbiamo assaggiato l’arancino con salsiccia e vino rosso, uno caprese, con pomodoro e mozzarella messi sopra e boscaiola con prosciutto e funghi: sono arancini realizzati al momento ai tantissimi gusti croccantissimi, ho anche assaggiato i cannoli siciliani con fondo al pistacchio”. Il secondo giorno, l’organizzatore della “vacanza – lavoro”, Calogero Galati, ha fatto da guida in un giro attraverso i vicoli della medievale Cefalù e verso  San Mauro Castelverde, dove la modella veneta, ha potuto fare una esperienza di volo d’angelo sulla Zipline.

Nel pomeriggio la visita si è conclusa alla Fiumara d’Arte, iniziando dalla Piramide, in territorio di Motta d’Affermo. Le opere raggiunte sono state tre nel noto museo all’aperto, oltre alla Piramide, “l’Energia mediterranea” e la “Materia poteva non esserci”.  La sera, l’ospite, è stata invitata  sulla torre del Castello di San Giorgio a Castel di Tusa, di proprietà della famiglia Salamone, per un aperitivo a base dei deliziosi prodotti della Casaleni natural bio, in un’atmosfera da fiaba.  La Casaleni Natural Bio di proprietà dell’imprenditore Placido Salamone, da diversi anni si occupa di recuperare anche antiche ricette tipiche del territorio siciliano, proponendole ad un pubblico di estimatori dell’enogastronomia. Tra le leccornie i patè di carciofi, di cardi selvatici, di asparagi selvatici, il sugo pronto alla Masticogna, che è una pianta spontanea dei Nebrodi dal sapore dolce che si può utilizzare sia per condire la paste che per accompagnare secondi di carne.  Una tre giorni ad Ottobre, quindi, per Federica Driusso, per un momento promozionale in Sicilia, ospite di Galatravel Viaggi di Calogero Galati in collaborazione con la Casaleni Natural bio. Dalla visita ne scaturirà una collaborazione per un lancio di prodotti gastronomici nei mercati del nord Italia. 

LE SAGRE STORICHE DELLA VALLE DELL’HALAESA

Di Letizia Passarello

Esplorare il mondo delle sagre rappresenta un’ottima chiave di lettura per conoscere nel profondo il territorio e costituisce indubbiamente un viaggio affascinante che conserva in certi casi i tratti della sacralità. Del resto la stessa parola “sagra” deriva dal latino “sacrum”, sacro. Nell’antica Roma esistevano diverse celebrazioni dedicate alle divinità, con processioni seguite da banchetti ai quali prendeva parte tutta la cittadinanza. Da quel significato originario si è sviluppato nel tempo il concetto odierno di sagra. Con l’avvento del Cristianesimo alcune festività sono state riconvertite, dedicate ai santi. Altre invece hanno assunto connotazioni ispirate dalla vita contadina: ad esempio la celebrazione del raccolto, o della bella stagione. Da queste usanze sono nate le sagre legate ai tanti prodotti tipici delle regioni italiane, oggi numerose e amate anche dai più raffinati gourmet e dove spesso i protagonisti sono prodotti caratteristici del territorio.

Queste manifestazioni rappresentano anche un’occasione per ammirare le bellezze architettoniche e paesaggistiche del territorio. Possono portare i turisti a scoprire località di grande interesse, ricche di scorci tipici dove il tempo sembra essersi fermato.

In questa puntata vogliamo portarvi alla scoperta dI alcune sagre tra le più rappresentative della Valle dell’Halaesa. Appuntamenti importanti di comunità ricche di storia e tradizioni che catalizzano ogni anno centinaia di visitatori.

06 agosto – Sagra del Pesce di Castel di Tusa

La tradizione orale della Sagra del Pesce risale agli inizi del secolo scorso e narra di una tempesta di mare che costrinse alcuni pescatori in difficoltà ad esse soccorsi e rifocillati dagli abitanti di Castel Di Tusa, tramite l’offerta di sarde arrostite. Da allora, ogni anno, nella prima decade di Agosto, viene rinnovato questo evento, offrendo il pesce accompagnato da un buon bicchiere di vino ai numerosi turisti e villeggianti presenti.

 Castel di Tusa, legata all’ antichissimo porto, per secoli luogo di transito di merci, sviluppa una tradizione marinara nel XVIII° sec, quando cioè inizia a costituirsi una comunità stanziale legata all’ economia della pesca e sempre a partire da questo periodo la tradizione peschereccia è citata in molti testi e particolarmente legata alla pesca e salatura delle sarde inizialmente compiuta da compagnie di Cefalù e Termini e successivamente da una marineria ed imprenditoria locale, che renderà rinomata la sarda di Tusa fino alla metà del XX con l’ esportazione nei  mercati nazionali ed esteri.

Oggi Castel di Tusa, dominata dal trecentesco Castello di San Giorgio e dalla sua Rocca Grande è un borgo marinaro vocato al turismo balneare, Bandiera Blu da diversi anni grazie alla pulizia delle sue acque ed alla bellezza incontaminata della sua insenatura e sede del rinomato  Albergo Museo Atelier sul Mare.

10 agosto – Sagra dell’olio extravergine d’oliva di Tusa

Giunta alla sua ventiquattresima edizione La SAGRA DELL’OLIO d’oliva si è svolta ogni anno puntualmente il 10 di agosto. Di fatto nasce da un progetto maturato all’interno del circolo ARCI di TUSA, per far conoscere l’olio d’oliva extravergine locale e della Valle Alesina.

Un trionfo si sapori e di odori in un incontro di antiche ritualità che si uniscono ad un rinnovato senso della tradizione.

Bruschette condite con olio tusano ed arricchite con aromi vari, ottenuti da ricette segrete e il più delle volte tramandate oralmente

La sagra offre anche i gustosi ceci in brodo, sfinge e ciambelle, le verdure fritte in pastella con l’olio extra vergine d’oliva, accompagnate tutto da buon vino e musica dal vivo

Una tradizione olearia illustre quella di Tusa e di tutto il circondario, legata ad un territorio ad alta vocazione olivicola considerati migliaia di ulivi che coprono il litorale tirrenico e la dolce vallata dell’Halaeso. Qui la produzione e la commercializzazione dell’olio d’oliva è documentata fino dai tempi della Magna Grecia li dove un tempo sorgeva la famosa e potente città di Halaesa Anconidea. Nell’ antico porto di Halaesa edificato per volontà del senatore Claudio Pulcro confluivano giornalmente in gran quantità olio, vino e grano provenienti dal cuore della Sicilia e da tutto il circondario.

Anche successivamente la produzione dell’olio d’oliva continuò a costituire l’attività preminente e gli ulivi millenari che fino ad oggi sopravvivono alle insidie del tempo e degli uomini ne sono la testimonianza, rappresentando l’immenso patrimonio naturale di questo angolo di Sicilia.

Per secoli la produzione del l’olio d’oliva ha costituito il nerbo dell’economia delle grandi aziende e delle piccole proprietà contadine del territorio, grazie ad esso si svilupparono ed ingrandirono attività collaterali come la costruzione di giare in terracotte nella vicina Santo Stefano di Camastra. La giara stefanese aveva caratteristiche completamente diverse da altre giare prodotte in Sicilia ed in Italia.

Infatti grazie alla particolare composizione dell’argilla in cui vi è la presenza di sostanze carbogene non ben bilanciate con il ferro, potevano essere tirate al tornio in dimensioni maggiori rispetto alle altre sino a contenere quantitativi d’olio di 3-4.000 kg, peculiarità che rese la giara prodotto di punta di tutta la produzione stefanese.

Sarà con il XIX° Sec. che le prime grandi Compagnie commerciali come quella dei Fratelli Salamone di Mistretta cominciarono l’esportazione del l’olio d’oliva di Tusa e del territorio circostante. Con navi leggere e veloci, gli schooner, l’olio d’oliva insieme ad altre primizie solcò i Mar Tirreno per giungere nei porti italiani di Napoli e Genova e poi l’Oceano Atlantico fino al porto di Anversa .

Attraverso un graduale miglioramento della tecnica di raccolta e di spremitura oggi l’olio d’oliva di Tusa costituisce oggi un indiscutibile elemento di punta della produzione locale d’eccellenza. Dal sapore leggero ed colore giallo con riflessi verdognoli derivanti dalla due varietà predominanti, l’ogliarola messinese e la santagatese è un condimento ideale per tutti i tipi di cibo.

8-9 Agosto – Seccagno Day ( Festa del Limone in Seccagno di Pettineo)

La Festa del limone in seccagno costituisce un altro appuntamento storico da non perdere. Pettineo è un piccolo gioiello che racchiude storia, tradizione, cultura contadina, gastronomia. Situato alle falde del monte S. Cuono sui Nebrodi occidentali, si presenta come un caratteristico centro collinare delimitato dai fiumi Tusa e Santo Stefano. Autorevoli scrittori come il Fazello sostengono che Pettineo tra le sue origini dell’antichissima “Pythia”, una delle più ricche e famosa città della Sicilia. Fu feudo di Manfredi Maletta, nel secolo XII, poi passò sotto Federico II a Francesco Ventimiglia Conte di Geraci.

Una posizione geografica ottimale tra il mare azzurrissimo, limpido ricco di riflessi di Castel di Tusa ed i pascoli di montagna della vicina Castel di Lucio. Ed è qui infatti che da secoli si coltivano agrumi eccellentissimi . Parliamo cioè del limone in Seccagno

Il Limone in seccagno è un prodotto che ha delle doti peculiari rispetto ai comuni limoni. Ha una particolare fragranza e serbevolezza con caratteristiche organolettiche superiori a quelle di altra provenienza. Tale specialità nasce e cresce grazie alla natura del terreno e al particolare microclima. Viene chiamato “in seccagno” per via dello scarso apporto irriguo delle cure colturali che vengono eseguiti nel limoneto. Qui vengono inoltre utilizzati in maniera limitata i concimi minerali azotati. Questo tipo di limone è anche molto adatto ai lunghi tempi di trasporto, quindi ideale per essere commercializzato anche oltre i confini nazionalei

Da questo agrume nasce la famosa Granita tipica al limone la cui occasione migliore per assaporare è nella prima decade di agosto in occasione della “Festa del Limone in seccagno”, e a cui vengono  abbinati anche concorsi e corsi di cucina. Un atmosfera di festa in tutto il borgho medievale tra mostre e spettacoli folk .Un tradizione sostenuta dal Comune di Pettineo che ogni anno fa parlare il piccolo comune che conta centinaia di visitatori.

Del resto da anni Pettineo si muove per dare al suo prodotto principe un degno riconoscimento, cominciando anni fa con l’inserimento nell’elendo del Pat – Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Sicilia e continuando quest’ anno con il riconoscimento della DE.CO( Denominazione Comunale. Un’alternativa percorribile ed appositamente ritagliata alla natura socio-economica del territorio poichè le De.Co. non entrano il collisione con il proverbiale carattere individualista delle aziende locali ma mirano affinchè il “prodotto territoriale” agroalimentare e/o enogastronomico acquisti un’identità sul mercato.

17 Agosto –  Sagra del Caciocavallo di Castel di Lucio

Castel di Lucio in Sicilia è un simpatico paesino posto sulla catena montuosa dei Nebrodi ricco di storia e tradizione. Anticamente dettO Castelluccio prende il nome dal medievale castelletto eretto nel ‘300 dai potenti Conti di Ventimiglia a cui si deve tradizionalmente la fondazione della cittadina. Inglobata per secoli all’interno della Contea nel XVII° sec. venne eletta a ducato passando sotto il controllo di diverse famiglie feudali. Oggi uno scrigno di testimonianze artistiche ed architettoniche in particolare di provenienza sacra.

Un profondo legame lega poi gli abitanti di Castel di Lucio alla pastorizia e nello special modo la bovinicoltura di cui gelosamente conservano gli antichi criteri di allevamento, maestri della produzione della tradizionale provola o cascavaddu.

La provola dei Nebrodi , da qualche anno riconosciuta a marchio DOP, è un caciocavallo prodotto con latte vaccino crudo e rientra nella categoria dei  formaggi a pasta filata . Deve il suo nome ai monti sui quali viene prodotta, secondo un antico procedimento tramandato di padre in figlio. La provola ha una crosta liscia e lucida, di colore giallo paglierino molto apprezzata, è utilizzata anche come ingrediente per piatti tipici della gastronomia siciliana.

Giunta alla 30° edizione la sagra del Caciocavallo dei Nebrodi si ripete puntualmente il 17 di agosto e continua ad attrarre a se continui visitatori. L’iniziativa promossa dal Comune di Castel di Lucio con l’ausilio di un team di volontari prevede da programma una dimostrazione di lavorazione del latte eseguita sapientemente dai maestri casari locali e successivamente una degustazione in corso di lavorazione della quagliata, della tuma e della ricotta ed ovviamente l’assaggio du cascavaddu sia fresco che stagionato con la variante della provola alla griglia. Il tutto tra l’animazione di gruppi folck e musica dal vivo

La bravura dei maestri casari si spinge spesso alla realizzazione di autentiche opere d’arte frutto di esperienza ed abilità innata. Questi piccoli capolavori di pasta filata detti “murriti” rappresentano un’altra attrazione della manifestazione e per tale occasione viene indetto un concorso giunto alla sua terza edizione appunto per  valorizzare il cacio figurato meglio realizzato.

Non c’è che dire! Una manifestazione di grande interesse! Non perdete l’occasione di visitare il paese ed assaggiare la provola dei Nebrodi.

Nations Award Taormina 2022 – sostenibilità con “Thinkingreen”

di Letizia Passarello

Il Nations Award giunte quest’anno alla 16esima edizione. L’ importante Premio cinematrografico delle Nazioni si è svoltosi nella seconda decade di luglio  nella splendida cornice di Taormina, in provincia di Messina  grazie a EvenTao ed al suo patron Michel Curatolo e anche quest’ anno torna a premiare i grandi volti del cinema, tra i quali in passato Woody Allen, Gerard Depardieu, Abel Ferrara, Jean Sorel, Nicola Piovani, Ferzan Ozpetek, Ronaldinho e molti altri.

Il Nations Award, sotto l’alto patrocinio del Parlamento Europeo e della Regione Siciliana, oltre ad essere una kermesse nata per premiare il cinema italiano ed internazionale, da sempre è caratterizzata da un tema importante e particolarmente attuale: la salvaguardia e la tutela dell’ambiente. Anche quest’anno infatti ha dato ampio spazio a tutte le tematiche ambientali che negli ultimi anni hanno richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica: dall’emergenza climatica all’inquinamento e allo smaltimento dei rifiuti, passando per il turismo sostenibile, il clima, l’alimentazione.

L’ Hotel NH Collection di Taormina, epicentro delle conferenze del Nation Award 2022

L’edizione 2022 del Nations Award mette in primo piano la sostenibilità con l’evento “Thinkingreen” supportato dal Parco Fluviale dell’Alcantara e dagli assessorati regionali alla Salute e al Turismo, Sport e Spettacolo.  Una tre giorni di convegni, di concerto con gli ordini professionali di Architetti, Ingegneri e Avvocati e con l’Università degli studi di Messina, ospitata nelle sale dell’NH Collection di Taormina. Sul tema, si alterneranno e confronteranno esperti del settore, giornalisti e personaggi dello spettacolo.

Un momento del gala serale al Teatro Antico di Taormina condotto dal noto critico d’ arte Andrea  Morandi e la celeberrima attrice Barbara Tabita

Ospiti d’onore l’architetto di fama internazionale Benedetta Tagliabue, Giovanni Puglisi, Presidente emerito della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco e lo chef internazionale Celestino Drago. Al termine dell’evento, grazie al prezioso contributo degli ordini professionali, verrà firmata la Carta di Taormina, un documento con cui si chiede ufficialmente alle istituzioni pubbliche un impegno ancor più deciso a contrastare i cambiamenti climatici.

Spazio anche all’arte e alla cultura con la quarta edizione del premio “Sebastiano Tusa” che quest’anno e’ stato assegnato al mecenate Antonio Presti, il cui nome da decenni è legato al culto della bellezza e della libera espressione artistica. Il riconoscimento, dedicato all’archeologo ed ex assessore regionale morto tragicamente nel 2019, è supportato dal Parco Archeologico Taormina Naxos e dalla stessa Fondazione “Sebastiano Tusa”.

La Fondazione “Sebastiano Tusa” premia il mecenate Antonio Presti

Tra i premiati il noto regista Peter Mcdonald

In primo piano anche la solidarietà. Partner dell’evento è stato infatti l’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), presente all’evento con il comitato regionale che organizzerà una raccolta fondi per incentivare la ricerca contro questa grave patologia. Giorno 17 luglio  gli eventi conclusivi del Nations Award  con la serata di gala al teatro greco in presenza dell’attrice Barbara Tabita e il giornalista e critico Andrea Morandi. Il Nations Award è stato realizzato con il supporto degli assessorati regionali alla Salute, ai Beni Culturali e dell’Identità Siciliana e al Turismo, Sport e Spettacolo, dell’Assemblea Regionale Siciliana, Parco Fluviale dell’Alcantara, Parco Archeologico Taormina Naxos, Università degli Studi di Messina, Città Metropolitana e Comune di Taormina.

Il conduttore televisivo Ezio Greggio premiato al Nations Award 2022

L’evento, di cui è stato  ambassador l’attore e presentatore Ezio Greggio,  ha premiato i grandi volti del cinema internazionale.

Sul red carpet, oltre ai già annunciati Violante Placido e Peter Macdonald, hanno sfilato le attrici Tea Falco, Barbara Tabita e Donatella Finocchiaro e l’attore Salvatore Lo Cascio, celebre per il ruolo del piccolo Totò in Nuovo Cinema Paradiso. Assoluta protagonista anche alla musica con il compositore Paolo Buonvino e il cantautore Mario Incudine. Madrina dell’evento, l’attrice e modella Maya Talem

Violante Placido

Un impegno profuso dagli organizzatori con una certa sensibilità anche al mondo agricolo grazie anche al coivolgimento di aziende agricole particolarmente sensibili a questa tematica. ” Un onore ed un dovere morale sostenere tali iniziative benefiche” dichiara l’imprenditore Placido Salamone, ospite e sponsor dell’ evento, “il nostro lavoro no si limita a produrre ma a  lasciare alle nuove generazioni  un mondo sonstenibile. Un impegno che deve essere svolto di concerto con la politica ed il mondo economico.”

l’imprenditore Placido Salamone, titolare della Casaleni Natural Bio e Giusy Giacone, direttore marketing A2 Comunication Srl

 

LIVING LAB – Sinergia tra l’Università di Palermo e le aziende dei Nebrodi

 

“Living Lab”, un termine inglese per identificare un laboratorio di vita, nato per far rifiorire il settore agro alimentare, in territori depressi.
E’ un obiettivo ambizioso quello che si prefigge l’Università di Palermo insieme ad alcuni comuni dell’hinterland nebroideo: fare incontrare istituzioni ed imprese d’eccellenza, in modo da far ripartire il territorio su solide basi, puntando l’indice al fattore conoscenza.
Il progetto è finanziato con fondi europei.
Del gruppo di lavoro, attivo fin dallo scorso Novembre, fanno parte quindici docenti universitari. Il responsabile scientifico è il professore Nicola Francesca, mentre i rapporti tra l’università e le aziende sono gestiti dal Dr. Arch. Manuela Raimondi Lazarevic’.

Architetto Manuela Raimondi Lazarevic

L’Università agisce in partenariato con società specializzate nell’aiuto ad imprese come la Euris e l’Italia Camp, che oltre a suggerire tecniche innovative di crescita aziendale, forniscono anche un supporto per la formazione delle start up e per la formazione del personale aziendale e l’Opan (Organizzazione prodotto allevatori Nebrodi) , realtà radicata ormai da anni sul territorio, di cui è presidente Giuseppe Frusteri.
il ruolo dei comuni
Al progetto hanno aderito circa dieci Comuni, capofila Sant’Agata Militello, ma la sede operativa è stata individuata a Galati Mamertino.
Sono previste una serie di giornate tematiche, dedicate alla gastronomia locale, citiamo ad esempio i salumi di suino nero, le birre, i dolci con mandorle e nocciole ed il miele, quest’ultimo protagonista di uno dei primi eventi alla fine di Maggio

Galati Mamertino è molto nota per alcune aziende produttrici di miele che hanno ottenuto il presidio Slow food, come Emanumiele e Cirrito, ma anche la Casaleni natural Bio dell’imprenditore Placido Salamone, con sede a Castel di Tusa, che ha fatto conoscere uno dei suoi cavalli di battaglia: l’idromele, una bevanda prodotta con metodi antichissimi, proprio dalla fermentazione del miele.

Azienda apistica Emanumiele

” La nostra è una tematica innovativa di ricerca a servizio delle imprese – ha spiegato Nicola Francesca – e siamo contenti che è stata recepita ed appaltata in maniera significativa da Comuni situati in un’area bellissima, ma depressa come viene considerata la zona interna dei monti Nebrodi.

Prof. Nicola Francesca

La sinergia che si è creata con gli enti e le imprese locali, sono sicuro che porterà a risultati considerevoli”.
Ai corsi di trasformazione tecnica delle imprese, in programma per i prossimi mesi, possono partecipare oltre agli imprenditori, anche alunni delle scuole superiori e inoccupati.
Ad Ottobre, è già prevista una giornata dedicata alla birra, e qui si cureranno alcuni aspetti per migliorare il prodotto, ad esempio si insegnerà ad aziende e corsisti, tramite accurate ricerche, come migliorarne il profumo.

Placido Salamone

Un progetto che guarda concretamente al futuro – afferma Placido Salamone -. Da imprenditore ritengo fondamentale che certe risorse vengano investite nella ricerca e nella sperimentazione. Un lavoro specializzato che le aziende non possono condurre da sole ma necessariamente con il supporto delle università. La produzione dell’idromele rientra certamente tra le tematiche da approfondire per le enormi potenzialità che esprime questo prodotto, al punto da includerlo nel programma archeologia da gustare che sto conducendo alacremente con enti pubblici ed investitori privati”.

 Il Living Lab è un  vero e proprio servizio alle aziende atto ad innalzare il know how.
I docenti universitari oltre a seguire le varie fasi progettuali, seguiranno anche i corsisti nelle fasi della formazione, così da rendere imprese con alto potenziale, ma nate in un territorio poco valorizzato, dei veri laboratori di vita.

YSEEAM – Un progetto per promuovere il senso di iniziativa e di imprenditorialità

Dal 4 al 12 giugno 2022 a Tusa un CORSO DI FORMAZIONE sull’ imprenditoria sociale

di Letizia Passarello

Un nutrito gruppo di giovani provenienti da tutto il mondo si è dato appuntamento a Castel di Tusa per un corso di formazione sull’Imprenditorialità Sociale.
A coordinare il progetto, finanziato dal Programma Erasmus più KA2, Gregorio Sambataro e Huyen Trang Dang , titolari dell’associazione New Horizons, con sede proprio nell’antico borgo marinaro.

Gregorio Sambataro e Huyen Trang Dang

L’evento si inserisce all’interno del progetto “YSEEAM– Youth Social Entrepreneurship Education for All with Moodle”.

Muhammad Rabiu Alhassan (Ghana)

L’obiettivo è quello di formare nuovi imprenditori giovanili nei paesi africani, caraibici, del Sud Est asiatico ed anche del Nord Europa, arricchendoli con le conoscenza di base di impresa sociale, nonché il know-how digitale e tecnico per l’utilizzo della piattaforma MOODLE.
Il corso che si è svolto dal 4 al 12 Giugno prevedeva un momento formativo in aula e la visita di aziende locali operanti in svariati settori merceologici.
Nello specifico i partecipanti hanno visitato due aziende dedite alla produzione e commercializzazione di prodotti agricoli,

in visita al laboratorio Casaleni Natural Bio

la“Casaleni Natural Bio”. Il processo produttivo di una tipica azienda artigianale italiana ha tributato un grande interesse tra i partecipanti che hanno potuto costatare nello specifico il processo di preparazione della semola di grano duro prodotta dall’ Azienda Casaleni. Successivamente nel punto vendita a Santo Stefano di Camastra il processo di commercializzazione e le strategie di marketing aziendale. Poi in visita all’ Azienda Agricola dei F.lli Miceli” di Tusa per scoprire il magico mondo delle lumache ed il loro impiego della gastronomia e nella cosmesi naturale ed infine presso l’associazione  sportiva “Libra” di Castel di Tusa per apprendere gestione e menagment di una tipica struttura sportiva
Nella giornata dell’ 8 giugno ha avuto luogo la visita presso il Comune di Tusa e i 23 partecipanti provenienti da diverse Nazioni dell’ Europa, Africa ed Asia, sono stati accolti nella sala consiliare dal Vice Sindaco, Angelo Tudisca.

Al Castello di San Giorgio di Castel di Tusa

Giorno 10 Giugno, i giovani sono stati ospiti dell’imprenditore Placido Salamone nel suo castello di San Giorgio, per un momento di convivialità e per ascoltare quali fossero le loro impressioni sulle attività svolte. Ne è uscito fuori un bagaglio di esperienze altamente positivo. Questi ragazzi sono rientrati nei Paesi di origine con conoscenze approfondite sulle modalità con cui vengono gestite le aziende nel meridione d’Italia e pronti per fondarne di proprie o ricoprire ruoli di prestigio in aziende partner.
Il Corso di Formazione – ha affermato Gregorio Sambataro – ha rappresentato la ripresa delle mobilità previste dal progetto dopo la pausa forzata a causa della pandemia; seguiranno diversi seminari e workshop nei sette paesi partner durante i quali i partecipanti italiani coinvolgeranno gli altri giovani tusani e la comunità locale.
Da segnalare infine: le attività di Job Shadowing di 15 giorni in tutte le organizzazioni partner del progetto – due sono i posti per i partecipanti italiani che avranno la possibilità di visitare il Sud Africa – e la Conferenza Finale in Vietnam, presso la città di Ho Chi MinH in Vietnam nel 2023.

GUSTO DI “VINO” – I giusti abbinamenti suggeriti dall’esperto.

di Letizia Passarello

Con l’arrivo della bella stagione sono sempre più ambite le cene in terrazza dove si la prediligono i prodotti freschissimi, acquistati a km 0, che tanto “ammaliano” gli ospiti. Si riscopre l’arte del ricevere, ma anche il piacere di stupire i propri commensali sia con particolari leccornie, sapientemente preparate, che con abbinamenti di eccellenza tra vini e i piatti succulenti. Per dare qualche consiglio sui principali abbinamenti abbiamo richiesto la consulenza di un esperto nel settore : Francesco Nucara con una carriera ventennale come bartender e  anche sommelier, avendo completato gli studi a pieni voti presso l’AIS (Associazione Italiana Sommelier).

Il sommelier Francesco Nucara

L’Associazione è seguita in tutto il mondo da chi predilige gli accoppiamenti più ricercati tra vino e cibo, non disdegnando anche gli insoliti. Qui ci siamo limitati alla produzione siciliana e qualche accostamento ci ha anche sorpreso.
“I criteri sono due – afferma Francesco Nucara – il primo per contrapposizione, l’altro per affinità”. Nel caso dei dolci, ad esempio, in particolare con i cannoli e la cassata è perfetto un vino dolce. Questi dolci si sposano benissimo con un passito, una Malvasia secca oppure un moscato, ma non è disdegnabile anche l’abbinamento con le bollicine: uno spumante è un accoppiamento superbo.  Il cioccolato con una percentuale di cacao superiore al 72-75 per cento o in modo stupendo all’80 per cento, richiede un buon distillato come il rum o un marsala vergine, cioè secco invecchiato almeno dieci anni. La denominazione di vergine viene data dall’aggiunta di solo alcol senza la mistella.
Altra irrinunciabile leccornia sono i salumi, di cui il territorio dei Nebrodi può andare giustamente fiero, ma qui il mondo è vario. Si guarda alla persistenza gustativa, alla speziatura e alla sapidità. Il lardo di suino nero, poichè ha molta succulenza richiama le bollicine di un brut o al massimo un demi sec o di un rosso strutturato, in quanto il tannino del vino, ha funzione di sgrassante del salume. Lo stesso si può dire di un salame classico. Il prosciutto crudo di suino nero, con grande persistenza gustativa, richiede un vino di altrettanta grande persistenza gusto -olfattiva. Sarebbe perfetto, ad esempio un Nero d’Avola o un Nero d’Avola e Frappato.

Andiamo al mondo dei formaggi che distinguiamo per stagionatura e qualità della pasta ( dura, semidura e molle). Tra quelli a pasta dura emerge il Canestrato, ma anche il Pecorino stagionato, in questo caso il tradizionale rosso, può lasciare il posto ad uno Chardonnay secco che può accompagnare anche i formaggi a pasta semidura, mentre un formaggio a pasta molle richiede un bianco di produzione di nicchia. Il Gorgonzola può essere abbinato tranquillamente al Marsala secco. Se il formaggio si serve come dessert, cioè con l’aggiunta di miele o con confetture ad esempio di more o pere butirre, o anche di agrumi, l’abbinamento perfetto diventa il Moscato o la Malvasia, perchè prevale il dolce in affinità. Ma per i fortunati che riescono a trovarlo, consigliamo come accompagnamento l’Idromele, chè è una bevanda alcolica realizzata attraverso la fermentazione del miele.
Con uno stufato è d’obbligo il rosso strutturato, in quanto, come già detto, la tannicità rende meno grassa la carne. Il sicilianissimo Farsumagru lo possiamo, invece, accoppiare con un Syrah non giovane, basta una invecchiatura di 3-4 anni. Altro sicilianissimo piatto è la pasta con sarde e finocchietto selvatico che quando è senza l’aggiunta di pomodoro nella sua ricetta originale, si sposa benissimo con un Grillo, bianco reale di un vitigno coltivato soprattutto nella provincia di Trapani.

La marchesa Costanza Afan de Rivera Florio Costaguti e il sommelier Francesco Nucara alla presentazione del cooktail “Donna Costanza”

Dulcis in fundo il sommelier Francesco Nucara è felice di mettere al corrente i nostri lettori della ricetta del coktail Florio che ha creato durante un evento nel trecentesco castello di San Giorgio a Castel di Tusa, per donna Costanza Afan de Rivera Costaguti Florio. Eccola: una parte di marsala Florio, una parte di bitter e chinotto fino al raggiungimento del bordo del bicchiere.

I dolci siciliani: il trionfo delle tavole pasquali

di Letizia Passarello

Ed eccoci a Pasqua.  In ogni casa siciliana, un tempo, dopo le doverose e sentite funzioni religiose della Settimana Santa, ci si ritrovava anche con i vicini per dedicarsi a quello che era un vero e proprio rituale, in cui venivano coinvolti tutti i membri della famiglia: cucinare gli immancabili  biscotti pasquali.

Come tutti i dolci, anche in questo campo, la Sicilia vanta una grande tradizione. Ogni provincia ha una sua specialità, ma una cosa è certa: i dolci pasquali siciliani, tra cuddure, campanari, cassate e cannoli, rendono la festività sicuramente degne di questo nome.

Ne citiamo alcuni che vengono realizzati in tutta l’Isola, per poi soffermarci su qualche ricetta tipica dei nostri monti Nebrodi.

Le Cuddure pasquali siciliane, meglio conosciute come cuddure cu l’ova, sono le regine dei biscotti di Pasqua.

Cuddure di Pasqua

Si tratta di simil biscotti dalle forme variegate ma rappresentanti, in sostanza, i simboli della Pasqua. La loro particolarità è che appartengono alla categoria dei dolci pasquali siciliani con l’uovo (così come i pupi cu l’ova) che vengono, infatti, ricavati con i lembi del loro impasto. Altri dolci molto simili ai precedenti sono i Campanari, si tratta anche in questo caso di biscotti friabili che vengono ritagliati a forma di cestino o campanaro, decorati con uova e una volta cotti ricoperti di glassa e codette di zucchero.

Un po’ meno conosciuti sono i biscotti quaresimali. Questi biscotti la cui ricetta e forma è simila a quella dei cantucci  toscani da cui si differenziano per avere avuto origine nei monateri di Palermo per opera delle monache di clausura.

biscotti quaresimali di Sicilia

Meno celebre della sorella maggiore ma più leggera e friabile ed un otimo dolce pasquale è la Cassata siciliana al forno. Rientra di diritto tra i dolci di Pasqua a Palermo, dove è particolarmente apprezzata. L’immancabile  ripieno di crema di ricotta è avvolta tra due strati di frolla, il tutto cotto al forno, evitando la guarnizione del giro di marzapane, che per quanto ottimo, può risultare per alcuni troppo dolce.

Cassata siciliana al forno

Una menzione a parte spetta all’ agnello pasquale in pasta di mandorle. Anche questo è un must, preparato sopratutto per la gioia dei più piccini in tutte le località siciliane.

pecorelle in pasta di mandorle

I dolci con la pasta di mandorle sono un classico della pasticceria siciliana. E di tale composto sono costituiti i tipici agnelli, che vengono generalmente regalati ai bambini insieme alle uova di Pasqua. Se vogliamo essere proprio pignoli, sono le pecorelle pasquali ad essere fatte con le mandorle, mentre gli agnelli, invece, recano un cuore di pasta di pistacchio di Bronte. La pasta di mandorle, viene usata tutto l’anno in Sicilia e in uno stato più puro, cioè con l’impasto privo di farina (pasta reale, il nome la dice lunga), si realizzano i capolavori mistrettesi, che vengono esposti in forme di frutti e fiori, decorati con colori vegetali o al naturale, pronti per essere mangiati. La denominazione di pasta reale viene ripresa, anche, per i dolci tipici di Tortorici, che si differenziano da quelli mistrettesi e di tutti i Nebrodi, per il loro impasto a base di nocciole, anzichè di mandorle e per la forma “soffiata”, molto leggera ed estremamente croccante.

pasta reale di Tortorici

pasta reale di Mistretta

Per finire è d’obbligo citare i pumpini di San Fratello, il cui nome deriva da pompa magna e sono dolci che si cucinano a Pasqua, ma anche in occasioni speciali, così come suggerisce il nome derivante dal gallo italico. La ricetta è molto simile a quella delle varate, ma prevede l’aggiunta di anice.

pompini di San Fratello

Ed ecco una classica ricetta delle Cuddure

In una ciotola capiente mischiare 500 gr di farina doppio zero con 200 gr di zucchero semolato e una bustina di lievito per dolci. Una volta che le polveri saranno ben mescolate fra di loro, aggiungete 5 uova, una alla volta, 150 gr di burro a temperatura ambiente e la scorza di limone grattugiata. Impastate il tutto e quando avrete ottenuto un composto morbido ma omogeneo, mettetelo su una teglia da forno foderata.A questo punto dovete modellare la cuddura.

Potete sbizzarrirvi e scegliere fra le forme più diverse fra loro, da classico coniglio pasquale a un cuore di pasta, dalla colomba a un cestino, oppure potete dargli una forma tonda, più semplice. Mettete un uovo crudo (che si cuocerà in forno) al centro e sigillatelo con una croce di pasta. Cuocete a 180°C per circa una mezzora. Se desiderate glassare il vostro dolce montate a neve un albume e incorporate 350 gr di zucchero a velo con il succo di limone a piacere, mescolando delicatamente. Sfornate la Cuddura e glassatela, infine decoratela con le codette colorate.

Galatravel -. Le cascate più alte di Sicilia a Mistretta

Continua il nostro viaggio alla scoperta delle meraviglie della Sicilia, In questo appuntamento Galatravel ci conduce alla scoperta della Valle delle Cascate di Mistretta in provincia di Messina

La Sicilia viene associata, nell’immaginario collettivo, ad un quadro di perenne siccità. In effetti sull’Isola spesso e volentieri l’ acqua scarseggia , ma la nostra terra è solcata da fiumi e torrenti che creano meraviglie nascoste, come questo gioiello sito nella provincia di Messina. Il paese più vicino è Mistretta (sito a poco più di 4 km.) e da qui, l’Associazione Valle delle Cascate vi condurrà verso una vallata, in parte inesplorata ed impervia, dove 10 sorelle scavalcano la roccia con salti d’acqua magnifici. In inverno non è facile avvicinarsi alle cascate, perchè la vallata viene inondata dalle abbondanti piogge, ma già in primavera lo spettacolo è assicurato. Bisogna essere accompagnati da Daniela Dainotti  e dai membri dell’ Associazione che dovrete necessariamente contattare, per scegliere il sentiero da attraversare per raggiungere le cascate, lontane tra loro. La più alta delle cascate, che si trova in contrada Pietrebianche, raggiunge oltre 33 metri mentre, nel raggio di meno di 500 metri dalla più grande, se ne trovano altre sei, ciascuna con una propria caratteristica conformazione, le cui altezze oscillano dai 5 ai 25 metri.  La maggior parte delle cascate si trova lungo due torrenti, che scorrono poco distanti l’uno dall’altro quasi paralleli, provenienti dalle vicine contrade Pietrebianche, Ciddia, Riscifu e Acquasanta.

Più a valle, dopo la confluenza dei due corsi d’acqua, altre due caratteristiche cascate di circa 7 metri ciascuna, una nella stessa contrada Ciddia e l’altra in contrada Cuttufa, sbucando da balze rocciose, formano alla base delle ampie vasche che un tempo lontano, quando raggiungere la marina era un lusso che pochi si potevano permettere, i ragazzi utilizzavano per i bagni estivi.  Stante che il territorio che ospita le cascate è distanze da strade transitabili e considerato che esse sono comunque nascoste alla vista da profondi canyon che le contengono, la loro esistenza era nota solo ai pochi pastori proprietari dei terreni circostanti che sempre le hanno osservate come dirupi dove, dopo le piogge e nevicate invernali e primaverili, l’acqua scroscia costantemente notte e giorno, balzando con clamore.

Non mancate questa scoperta: bastano scarponi da trekking, stivali di gomma ed un pò di fiato…………… perchè il fiato, poi, vi mancherà. Sono stupende!

per contatti: https://www.facebook.com/vallecascate/

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