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Salva le api: coltiva queste piante nettarifere e fai la differenza

Salvare le api è più che un gesto di amore verso la natura; è un’azione vitale per il nostro ecosistema. Scopri come le tue scelte in giardino possono fare la differenza.

Le api sono tra gli impollinatori più importanti del nostro pianeta, ma sono gravemente minacciate da fattori come la deforestazione, l’urbanizzazione e l’uso eccessivo di pesticidi. Coltivare piante che le attraggano e le nutrano non è solo un atto di conservazione, ma un passo essenziale per mantenere la biodiversità e la salute del nostro ambiente. Questo articolo ti guiderà attraverso le migliori piante nettarifere da coltivare, spiegando come ciascuna di esse può contribuire a sostegno delle popolazioni di api.

L’importanza delle api per il nostro ecosistema

Le api non sono solo creature affascinanti, sono essenziali per la pollinazione di molte delle nostre colture e piante selvatiche. Senza di loro, non solo avremmo una drastica riduzione delle nostre risorse alimentari, ma vedremmo anche un impatto negativo sulla varietà delle piante, essenziali per un habitat sano. Le api aiutano a mantenere l’equilibrio degli ecosistemi e a produrre semi, frutti e verdure che formano la base dell’alimentazione di numerosi animali selvatici.

È allarmante sapere che molte specie di api sono a rischio di estinzione. Il loro declino è accelerato dalla perdita di habitat, malattie, parassiti e, significativamente, dall’uso di pesticidi come i neonicotinoidi, che possono danneggiare il loro sistema nervoso e ridurre la loro capacità di orientamento e sopravvivenza. È qui che entra in gioco la tua azione personale: coltivando piante appropriate, puoi fornire rifugio e nutrimento a queste vitali creature.

Piante nettarifere che fanno la differenza

Non tutte le piante sono ugualmente utili per le api; alcune offrono molto più nettare e polline di altre. Piante come la Lavanda, il Girasole e la Salvia farinacea non solo attirano le api con i loro colori vivaci e il loro nettare abbondante, ma offrono anche habitat essenziali e nutrimento per tutto l’anno. Queste piante sono facili da coltivare e possono trasformare il tuo giardino in un paradiso per le api.

Coltivare piante nettarifere non solo contribuisce alla salute delle api, ma arricchisce anche il tuo giardino, attirando una varietà di altri impollinatori che contribuiscono alla biodiversità e alla vitalità del tuo spazio verde. Questo non solo crea un ambiente più sano e resiliente ma contribuisce anche a un ecosistema più robusto e sostenibile.

Quando e come coltivare

La scelta del momento giusto per piantare è cruciale per il successo del tuo giardino nettarifero. La maggior parte delle piante nettarifere beneficia di una semina primaverile, che consente loro di stabilirsi e crescere robuste prima dell’arrivo dell’estate. Tuttavia, alcune, come i tulipani, necessitano di essere piantati in autunno.

È importante informarsi sulle specifiche esigenze di ogni pianta che decidi di coltivare. Assicurati di considerare anche il tipo di suolo e l’esposizione al sole, poiché questi fattori possono influenzare notevolmente la crescita e la floridità delle tue piante. Pianificare in anticipo ti permetterà di massimizzare la salute delle tue piante e di garantire un habitat ottimale per le api durante tutto l’anno

Piante consigliate per un giardino nettarifero per le api

Prima di darti al giardinaggio, ecco alcune piante che puoi considerare per il tuo giardino nettarifero:

  • Salvia farinacea: questa pianta ama il sole e fiorisce fino al tardo autunno, offrendo cibo per le api per la maggior parte dell’anno. È ideale per chi desidera avere un giardino vivace anche oltre l’estate.
  • Lavanda: con i suoi fiori profumati e lilla, è ideale anche in vaso, perfetta per balconi soleggiati. Oltre a essere esteticamente gradevole, è molto efficace nel fornire nutrimento continuativo alle api.
  • Basilico: nota per tenere lontane le zanzare, questa pianta aromatiche attira le api con i suoi piccoli fiori. Perfetta per chi cerca un doppio beneficio: utilità in cucina e supporto agli impollinatori.
  • Tulipano: uno dei primi fiori primaverili, predilige i climi temperati. Il tulipano aggiunge un tocco di colore precoce al tuo giardino che è molto invitante per le api.
  • Girasole: simbolo dell’estate, è semplice da coltivare e molto efficace nell’attirare api. I suoi grandi fiori gialli non solo abbelliscono il giardino ma sono anche un’importante fonte di cibo per le api.
  • Calendula: i suoi fiori vivaci sono un magnete per le api durante i mesi più caldi. Facile da coltivare, è perfetta per chi inizia il giardinaggio e desidera risultati immediati.

Coltivare queste piante non solo aiuterà le api, ma arricchirà anche il tuo ambiente, offrendoti uno spazio verde più vivo e colorato. Ogni piccolo gesto conta: piantando anche solo una di queste specie, contribuirai significativamente alla conservazione delle api e alla salute del nostro pianeta

Olio rancido, come riconoscerlo

L’ossidazione dei lipidi è stata riconosciuta come il problema principale che affligge gli oli commestibili, poiché è la causa di importanti cambiamenti deteriorativi nelle loro proprietà chimiche, sensoriali e nutrizionali. L’autossidazione e la fotoossigenazione, dovute alla presenza di ossigeno nell’aria, sono praticamente inevitabili. Quando i lipidi si ossidano, possono formare idroperossidi, che sono suscettibili di ulteriore ossidazione o decomposizione in prodotti di reazione secondari come aldeidi, chetoni, acidi e alcoli. In molti casi, questi composti influenzano negativamente sapore, aroma, gusto, valore nutrizionale e qualità generale. Molti sistemi catalitici possono ossidare i lipidi. La maggior parte di queste reazioni coinvolgono alcuni tipi di radicali liberi o specie di ossigeno. L’ossidazione può essere prodotta sia al buio che in presenza di luce, che presentano differenze nel loro percorso di ossidazione dovute all’azione di variabili esterne.

L’olio di oliva vergine è considerato resistente alla degradazione ossidativa a causa di un basso contenuto di acidi grassi saturi, di un elevato rapporto tra acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi e della presenza di componenti minori antiossidanti naturali come α-tocoferolo e composti fenolici. Tuttavia, la degradazione ossidativa dell’olio d’oliva è la causa più importante di una percezione sensoriale sfavorevole.

L’ossidazione dell’olio di oliva: come nasce il difetto di rancido

Per identificare gli odori responsabili di un sapore rancido negli oli di oliva, in primo luogo, i composti aromatici chiave in un olio extravergine di oliva premium sono stati caratterizzati mediante l’approccio sensomico e sono stati poi confrontati con quelli presenti in un sapore rancido certificato. aroma di olio d’oliva ottenuto dal Consiglio oleicolo internazionale (CIO).

L’acido acetico ha mostrato il coefficiente di Pearson più alto tra l’intensità percepita del difetto di rancido e la concentrazione dell’odore. In particolare, (E,Z)- e (E,E)-2,4-decadienale e (Z)-2-nonenale possono essere suggeriti come marcatori chimici per l’irrancidimento dell’olio d’oliva in combinazione con marcatori aromatici positivi, ad esempio l’acetaldeide e (Z)-3-esenale.

Dopo un processo di ossidazione le sostanze volatili iniziali, molte delle quali responsabili delle gradevoli caratteristiche sensoriali dell’olio e prodotte principalmente attraverso vie biochimiche, scompaiono nelle prime ore, e la formazione di aromi sgradevoli, prodotti attraverso vie ossidative, aumenta gradualmente. Sono stati identificati i principali composti volatili possibilmente responsabili di off-flavor (51) ed è stata studiata la loro evoluzione durante il processo ossidativo.

Durante il processo di ossigenazione è stato determinato il contenuto di acidi grassi. Gli acidi grassi insaturi sono risultati essere i principali precursori dei composti volatili presenti nei campioni ossidati. La misurazione precoce del nonanale (che non è stato rilevato affatto, o solo a livello di tracce, nei campioni di olio extravergine di oliva) potrebbe essere un metodo appropriato per rilevare l’inizio dell’ossidazione. Il rapporto esanale/nonanale è stato utilizzato per differenziare tra campioni di olio d’oliva vergine ossidato e di buona qualità. La valutazione sensoriale dei campioni e il valore di perossido concordavano sull’evoluzione dell’ossidazione.

L’ossidazione dell’olio di oliva: come nasce il difetto di rancido

Per identificare gli odori responsabili di un sapore rancido negli oli di oliva, in primo luogo, i composti aromatici chiave in un olio extravergine di oliva premium sono stati caratterizzati mediante l’approccio sensomico e sono stati poi confrontati con quelli presenti in un sapore rancido certificato. aroma di olio d’oliva ottenuto dal Consiglio oleicolo internazionale (CIO).

L’acido acetico ha mostrato il coefficiente di Pearson più alto tra l’intensità percepita del difetto di rancido e la concentrazione dell’odore. In particolare, (E,Z)- e (E,E)-2,4-decadienale e (Z)-2-nonenale possono essere suggeriti come marcatori chimici per l’irrancidimento dell’olio d’oliva in combinazione con marcatori aromatici positivi, ad esempio l’acetaldeide e (Z)-3-esenale.

Dopo un processo di ossidazione le sostanze volatili iniziali, molte delle quali responsabili delle gradevoli caratteristiche sensoriali dell’olio e prodotte principalmente attraverso vie biochimiche, scompaiono nelle prime ore, e la formazione di aromi sgradevoli, prodotti attraverso vie ossidative, aumenta gradualmente. Sono stati identificati i principali composti volatili possibilmente responsabili di off-flavor (51) ed è stata studiata la loro evoluzione durante il processo ossidativo.

Durante il processo di ossigenazione è stato determinato il contenuto di acidi grassi. Gli acidi grassi insaturi sono risultati essere i principali precursori dei composti volatili presenti nei campioni ossidati. La misurazione precoce del nonanale (che non è stato rilevato affatto, o solo a livello di tracce, nei campioni di olio extravergine di oliva) potrebbe essere un metodo appropriato per rilevare l’inizio dell’ossidazione. Il rapporto esanale/nonanale è stato utilizzato per differenziare tra campioni di olio d’oliva vergine ossidato e di buona qualità. La valutazione sensoriale dei campioni e il valore di perossido concordavano sull’evoluzione dell’ossidazione.

Carciofo: origine, varietà e caratteristiche

Con il ricercatore Nicola Calabrese approfondiamo origine, varietà e caratteristiche del carciofo, coltura centrale nel panorama ortofrutticolo italiano

L’Italia è al primo posto nel mondo per superficie coltivata a carciofo. Presente in tutte le regioni, la produzione si concentra soprattutto in Sicilia, Puglia e Sardegna.

Nell’ultimo numero della rivista, con Nicola Calabrese – ricercatore CNR-Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari di Bari – abbiamo approfondito origine, varietà e caratteristiche di questa coltura così centrale nel panorama ortofrutticolo italiano. Eccone la prima parte.

Origine e diffusione

Il carciofo, il cui nome scientifico è Cynara cardunculus L. subsp. scolymus (L.), è originario dei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. La parola Cynara sembra derivare da cinis perché, secondo Columella, il terreno destinato a ospitare piante di carciofo veniva preventivamente arricchito con cenere.
Gli antichi Greci usavano la parola scolymus per indicare varie specie di cardo selvatico con foglie e capolini appuntiti, utilizzate per numerosi scopi. Dall’arabo al-karshuf, ardi-shoki, harshaf deriva il termine italiano carciofo, lo spagnolo alcachofa, il catalano carxofa; mentre dal neolatino articactus prendono origine la parola italiana ormai in disuso di articiocco, il francese artichaut, l’inglese artichoke, il tedesco artishoke.

Durante il I secolo a.C. gli agricoltori riuscirono ad addomesticare le piante selvatiche del carciofo, che in quel periodo erano consumate a scopo alimentare e farmaceutico, e a metterne a punto la coltivazione. Numerosi autori greci e romani, tra cui Marco Terenzio Varrone, Gaio Plinio Secondo e Lucio Giunio Moderato Columella, citano il carciofo nelle loro opere, tramandando ai posteri le tecniche di coltivazione dell’epoca e le proprietà medicamentose di questa pianta. Le proprietà del carciofo sono anche state descritte da Galeno, medico greco di Pergamo, e attraverso le sue opere il carciofo entra ufficialmente nella medicina e nella farmacopea.

Carciofaia in produzione

Carciofaia in produzione

L’Italia è al primo posto nel mondo per superficie coltivata (38.500 ha, corrispondenti al 33% della superficie mondiale) e produzione di capolini, pari a 376mila t (26% del totale mondiale).

Il secondo Paese produttore è l’Egitto con 315mila t, seguito dalla Spagna (215mila t). Partendo dal bacino del Mediterraneo, la coltivazione del carciofo si è diffusa progressivamente in terre lontane a testimonianza di un lungo percorso ricco di successo che è ben lungi dalla sua conclusione.
Nelle Americhe è stato introdotto dai migranti italiani, spagnoli e francesi e occupa posizioni di rilievo in Perù, Stati Uniti, Argentina e Cile. In Perù, fino a 15 anni fa, la coltivazione del carciofo era poco diffusa e praticata in piccoli appezzamenti sulle Ande a 2.000-3.000 metri di altitudine. Negli ultimi anni, con la diffusione in ambienti pianeggianti costieri sono stati raggiunti altri Paesi tra i quali Francia, Marocco, Algeria, Tunisia, Turchia e Grecia, in cui la coltivazione di questo ortaggio ha una lunga e consolidata tradizione.

In Italia il carciofo è presente in tutte le regioni, ma la coltivazione è concentrata in SiciliaPuglia Sardegna, che complessivamente rappresentano quasi il 90% della superficie e l’85% della produzione nazionale. Presenze significative della coltivazione del carciofo si registrano anche in Campania e Lazio.

Morfologia e panorama varietale del carciofo

La parte edule del carciofo è in realtà un bocciolo fiorale, chiamato capolino, più o meno compatto a seconda della cultivar e della fase in cui viene raccolto. Il capolino a sua volta è costituito da un peduncolo (denominato comunemente stelo o gambo), una base a forma di piccola coppa (ricettacolo, talamo o fondo) sul quale sono inserite quelle che vengono chiamate impropriamente foglie, il cui termine corretto è brattee, di forma diversa (allungata, ovale o semisferica) e colore variabile, dal verde pallido al violetto intenso, a volte dotate di spine all’apice. Le brattee esterne, più consistenti e fibrose, sono normalmente eliminate prima del consumo, mentre quelle interne – più tenere e carnose – costituiscono, assieme al ricettacolo (e spesso anche a una porzione di gambo), la parte edule del capolino. Sulla porzione più interna del ricettacolo sono infine inseriti i primordi fiorali costituenti il pappo, chiamato comunemente peluria o barba.

Capolino di carciofo in fioritura

Capolino di carciofo in fioritura

Il panorama varietale presente in Italia comprende numerose cultivar che hanno a volte una diffusione territoriale limitata e che prendono il nome della località di coltivazione.

Spesso la stessa varietà è denominata in modo diverso in aree differenti, generando confusione non solo per i nomi e gli eventuali sinonimi, ma anche in riferimento agli aspetti tecnici e commerciali.

In Puglia, Sicilia e Sardegna la produzione è basata prevalentemente su varietà di carciofo definite precoci, rifiorenti o autunnali, perché caratterizzate da un calendario di raccolta molto ampio che parte dall’autunno – in alcune zone con opportune tecniche agronomiche la raccolta dei capolini inizia già nella prima metà di settembre – per poi proseguire anche durante l’inverno (laddove le temperature lo consentono) e la primavera successiva. La caratteristica comune di tutte le cultivar di carciofo precoce o rifiorente è quella di produrre, oltre a un buon numero di capolini da destinare al mercato fresco (di solito la produzione autunnale, invernale e parte di quella primaverile), anche una notevole quantità di carciofini, raccolti nei mesi di aprile e maggio e destinati quasi esclusivamente all’industria di trasformazione.

carciofo Capolini

Capolini di carciofo

Le cultivar più diffuse in Puglia sono il Violetto di Provenza, che si è affermato in provincia di Foggia, mentre in provincia di Brindisi è coltivato il Brindisino e in quella di Bari il Locale di Mola; nel territorio pugliese si segnalano inoltre impianti di Terom e Tema 2000.

In Sicilia prevale la coltivazione del Violetto di Sicilia, del Catanese e altri ecotipi a essi ascrivibili; molto comune e apprezzato sui mercati locali è il Violetto Spinoso di Palermo.

In Sardegna è maggiormente diffusa la cultivar Spinoso Sardo, con capolini muniti di robuste spine, ma dal sapore molto delicato, perfetti per essere consumati crudi, tagliati in fette sottili e assieme ai gambi, in pinzimonio. Terom, Tema 2000Masedu e Romanesco completano l’offerta varietale della Sardegna.

Particolarmente diffuse nel Lazio e in Campania sono le diverse tipologie di carciofo romanesco (C3CampagnanoCastellammare, Tondo di Paestum), cultivar con epoca di produzione tardiva con le raccolte che cominciano di solito dalla fine di febbraio e che proseguono fino a maggio. Di pregio notevole è la produzione del Carciofo violetto di Sant’Erasmo, coltivato sull’isola di Sant’Erasmo nella laguna di Venezia; i capolini principali, raccolti quando molto piccoli e chiamati comunemente “castraure”, sono consumati crudi.

Negli ultimi anni, in tutti gli ambienti cinaricoli nazionali sono state introdotte con successo cultivar ibride propagate per seme, destinate sia al mercato fresco che alla trasformazione industriale, e che si contraddistinguono per le produzioni elevate, l’ottima qualità dei capolini e la sanità delle piante.

La forte radicazione territoriale della produzione cinaricola italiana, caratterizzata in alcune aree da particolari condizioni pedo-climatiche, specifiche soluzioni di tecnica agronomica, profondi e antichi legami sociali e culturali con il territorio e le sue tradizioni, spiega la possibilità di valorizzare la produzione del carciofo di alcune zone con marchi DOP o IGP fortemente legati al territorio di produzione. Troviamo infatti in Puglia il Carciofo Brindisino IGP, nel Lazio il Carciofo Romanesco del Lazio IGP, in Sardegna il Carciofo Spinoso di Sardegna DOP e in Campania il Carciofo di Paestum IGP.

Primavera – tempo di concimazioni

La primavera è il momento in cui la natura si risveglia, e con essa, anche gli alberi da frutto nel tuo giardino iniziano il loro ciclo vitale. La chiave per una fioritura abbondante e una ricca produzione di frutti risiede nell’uso sapiente dei concimi naturali. Questi non solo nutrono le piante ma migliorano anche la struttura del suolo, rendendolo più fertile e vivo. In questo articolo, esploreremo come l’impiego di queste sostanze organiche in marzo possa fare la differenza, portando i tuoi alberi a un nuovo livello di prosperità.

Il momento giusto per concimare: una guida stagionale

La concimazione degli alberi da frutto richiede un approccio mirato che rispetti le esigenze nutrizionali specifiche delle piante durante le varie fasi della loro crescita. In primavera, la necessità di azoto diventa predominante per supportare lo sviluppo vigoroso di foglie e rami. L’utilizzo di concimi a lenta cessione durante questo periodo assicura una fornitura costante e bilanciata di nutrienti, evitando picchi che potrebbero stressare le piante.

Con l’arrivo dell’estate, l’attenzione si sposta verso il potassio, fondamentale per stimolare una fioritura abbondante e supportare la produzione di frutti. Questo elemento aiuta anche le piante a resistere meglio a stress idrici e termici. L’autunno rappresenta il momento per un’ultima concimazione, con l’obiettivo di preparare gli alberi al periodo di riposo invernale.

In questa fase, è cruciale fornire una riserva di nutrienti che sostenga le piante fino alla ripresa vegetativa della successiva primavera, completando così un ciclo di nutrizione che le accompagnerà in ogni fase del loro sviluppo. Questa pianificazione attenta garantisce una crescita sana e una produzione ottimale, sfruttando al meglio le risorse naturali e i tempi biologici delle piante.

Tipologie di concimi: naturale vs chimico

Comprendere le differenze tra i concimi organici e quelli chimici è fondamentale per scegliere la strategia di fertilizzazione più adatta al proprio giardino o coltivazione. Entrambi i tipi di concimi hanno vantaggi e svantaggi a seconda delle esigenze specifiche delle piante e dell’ambiente in cui vengono utilizzati.

  • Concimi Organici: Questi concimi sono derivati da materiali naturali, come il letame, il compost, la cenere di legno e altri residui organici. Sono noti per il loro rilascio graduale di nutrienti, che non solo fornisce un’alimentazione bilanciata alle piante nel lungo periodo ma anche migliora la struttura del suolo e la sua biodiversità. Utilizzando concimi organici, si favorisce un ambiente più sano e sostenibile, ricco di microrganismi benefici che aiutano nella decomposizione del materiale organico e nell’assorbimento dei nutrienti da parte delle piante.
  • Concimi Chimici: Questi prodotti sono formulati in laboratorio per fornire una concentrazione elevata di specifici nutrienti, come azoto (N), fosforo (P) e potassio (K), essenziali per la crescita delle piante. I concimi chimici garantiscono un effetto immediato, migliorando rapidamente la salute e la produttività delle piante. Tuttavia, il loro uso eccessivo o improprio può compromettere la salute del suolo, riducendo la presenza di microrganismi benefici e potenzialmente causando l’accumulo di sostanze chimiche tossiche.

La scelta tra concimi organici e chimici dovrebbe basarsi su una valutazione attenta degli obiettivi di crescita delle piante, delle condizioni del suolo e dell’impatto ambientale desiderato. Mentre i concimi organici sono spesso preferiti per un approccio più sostenibile e a lungo termine alla fertilizzazione, i concimi chimici possono essere utili in situazioni specifiche dove è necessario un intervento nutrizionale rapido e mirato.

Concimi naturali fai-da-te

L’adozione di concimi naturali fai-da-te rappresenta un eccellente metodo per nutrire il tuo giardino in maniera sostenibile ed economica. L’acqua di cottura delle verdure, ad esempio, è un’ottima soluzione per riutilizzare risorse altrimenti sprecate, offrendo un mix ricco di nutrienti essenziali per le piante. Le bucce di banana sono un’altissima fonte di potassio, essenziale per stimolare una vigorosa fioritura e supportare lo sviluppo sano dei frutti

La cenere del camino, ricca di potassio, calcio e magnesio, può essere sparsa sul terreno per arricchirlo di minerali vitali, ma va usata con moderazione per non alterare il pH del suolo. I fondi di caffè, con il loro elevato contenuto di azoto, sono particolarmente indicati per acidificare il terreno, beneficiando piante acidofile come azalee e rododendri.

Infine, i gusci d’uovo triturati forniscono calcio, un nutriente cruciale per prevenire disturbi come la marciume apicale nei pomodori, oltre a combattere efficacemente alcuni parassiti del suolo. Questi semplici ma potenti rimedi naturali non solo arricchiscono il terreno ma promuovono anche un giardinaggio più ecologico e consapevole.

benefici insostituibili dei concimi naturali

L’uso di concimi naturali non solo garantisce una nutrizione equilibrata per le tue piante ma contribuisce anche a un ecosistema più sano e sostenibile. Vediamo alcuni dei principali vantaggi:

  • Miglioramento della struttura del suolo: I concimi organici aumentano la porosità del terreno, migliorando l’areazione e la capacità di ritenzione idrica.
  • Incremento della biodiversità: Favoriscono la vita microbica nel terreno, essenziale per la decomposizione organica e l’assorbimento dei nutrienti da parte delle piante.
  • Nutrizione equilibrata: Forniscono un ampio spettro di minerali e altri nutrienti essenziali, promuovendo una crescita sana e bilanciata delle piante.
  • Sostenibilità ambientale: Riducono la dipendenza da prodotti chimici sintetici, limitando l’inquinamento del suolo e delle falde acquifere.

In conclusione, l’utilizzo di concimi naturali rappresenta una scelta vincente per chiunque desideri promuovere una fioritura e una fruttificazione abbondanti nei propri alberi da frutto. Integrando queste pratiche nel ciclo di cura del giardino, si possono ottenere risultati sorprendenti, assicurando al contempo la salute del pianeta.

Fioritura e fruttificazione con concimi naturali.

Ricorda che la natura ha sempre una soluzione a portata di mano; a volte, basta semplicemente ascoltarla e collaborare con essa.

Natale 2023 – scopriamo con gusto la Valle dell’ Halaesa

di Letizia Passarello

Persino gli eterni indecisi sanno che c’è un’unica certezza nei regali di Natale gastronomici: con il cibo non si sbaglia mai. Perché è bello assaggiare, sperimentare, proporre novità. E poi durante le feste le prelibatezze non bastano mai, perché stare a tavola in famiglia e con gli amici, spizzicando e indugiando, è uno dei grandi piaceri del periodo. In Sicilia poi il cibo la fa da padrone e se girato in lungo e in largo la Sicilia, dalle principali città fino ai piccoli borghi dell’entroterra,  troveremo una tradizioni gastronomica e dolciaria affascinante e diversificata, questo grazie soprattutto alla biodiversità naturale del territorio isolano che garantisce la presenza di materie prime di altissima qualità provenienti dal ricco giacimento enogastronomico della regione: le mandorle di Avola, l’uva passa di Pantelleria, la manna di Castelbuono, lo zafferano di Enna, i pistacchi di Bronte, il cioccolato di Modica, i capperi di Salina e il mandarino di Ciaculli

La territorialità costituisce quindi un imperativo categorico per le imprese del settore soprattutto che si trattino di piccoli laboratori a conduzione familiare o aziende più strutturate. Una scelta di marketing che punta sull’originalità e l’unicità dei prodotti, sulla rivisitazione della tradizione in una chiave moderna ed adatta ad un mercato in continua evoluzione.

Una scelta condivisa in pieno anche dalla Casaleni Natural Bio di Placido Salamone, il primo brand dedicato alla produzione agricola bio certificata della Valle dell’Halaesa, un angolo di Sicilia inedito ma ricco di ricco di storia, Un’isola nell’Isola, ai confini del Parco dei Nebrodi, tra la provincia di Palermo e quella della città dello Stretto

Dalla terra alla tavola, senza intermediari, Casaleni Natural bio” è un patto di fiducia tra produttori e consumatori. La vision, contemporanea dal cuore antico, affonda le proprie radici in oltre un secolo di storia della nobile famiglia Salamone che, da ben sei generazioni, cura con rispetto l’azienda agricola, seguendo il ritmo delle stagioni, senza l’utilizzo di sostanze chimiche, per il benessere della salute e la salvaguardia del paesaggio, oltre che dei consumatori. Per un totale di circa 230 ettari, l’azienda agricola Casaleni si divide tra Nicosia, in provincia di Enna, dove ci sono gli allevamenti e la produzione di cereali e Castel di Tusa, in provincia di Messina dove si produce il pregiatissimo olio, e partiamo proprio da qui per presentare due interessanti novità per questo  Natale 2023

Novità che coniugano il passato ed il presente come, appunto, originale nella sua semplicità è la rievocazione dell’ arte artigiana stefanese con la giaretta d’olio d’oliva, espressione di fatto di una tradizione olearia illustre. Il design e la funzionalità delle giare stefanese resero famose queste produzioni in tutto il mondo e la riproduzione in miniatura come idea regalo rappresenta un omaggio ad una intramontabile storia imprenditoriale

Seconda novità i panettoni artigianali della Valle dell’ Halaesa. Parliamo cioè di lievitati naturali realizzati con percentuali d farina prodotta dall’ Azienda che raccontano un territorio ricco di tradizione e produzioni. Il “mistrettese” con cioccolato bianco noci e farcitura di more selvatiche che racconta i sapori della montagna nebroidea, il “Mottese” con crema di nocciole in omaggio al paese di Motta D’Affermo conosciuto per la produzione di nocciole, ed ancora il “Pettinese” panettone agrumato con frutta candita e crema di arance e limone dedicato al paese patria del rinomato limone in seccagno. Esiste poi un comune denominatore che unisce tutti i siciliani, ossia il pistacchio/mandole ed una caratterizzazione dell’Isola di ponte tra l’Oriente e l’ Occidente. Pertanto nel solco di una grande tradizione culturale, Casaleni ha voluto aggiungere due lievitati particolari “Il Siciliano” con cioccolato, granella di mandole e crema di pistacchio e “Alom” che in ungherese significa – Il Sogno – e che costituisce un’ assoluta novità. Un’ incontro equilibrato di gusti che simboleggiano la naturale storia della cultura europea, incontro di civiltà tra Oriente e d’Occidente. Per questa ragione l’albicocca simbolo dell’Est si coniuga con l’agrumato della frutta candita e delle scaglie di buccia di limone, espressione della cultura mediterranea per un sapore unico ed irriproducibile.

FORMAZIONE PROFESSIONALE – IL COLLABORATORE DI CUCINA

Si parla spesso di formazione come un percorso necessario per l’ingresso nel difficile mondo del lavoro.  La formazione è il processo didattico necessario alla trasmissione delle competenze. Può riguardare sia gli studenti al termine di un ciclo di studi così come i lavoratori attivi o alla ricerca di occupazione. Nel primo caso, si parla di formazione professionale iniziale rivolta ai giovani che iniziano la propria carriera lavorativa finita la scuola, l’università o un corso post-universitario. Nel secondo caso si parla di formazione professionale continua. Un tema che coinvolge sia i lavoratori occupati sia quelli inoccupati o disoccupati. In Italia, la formazione professionale è regolata dall’articolo 117 della Costituzione e delegata alle singole regioni che hanno competenza autonoma in materia.

Ogni regione quindi istituisce corsi di formazione, di carattere tematico cioè corsi professionali che hanno come obiettivo l’acquisizione di specifiche nozioni, da poter impiegare nel proprio ambito lavorativo. I corsi di formazione ti aiutano a sviluppare competenze specifiche che possono essere utilizzate nel lavoro o nelle attività personali. Questo può aiutare a diventare più competitivi sul mercato del lavoro e di conseguenza a fare progressi nella carriera.

<<La preparazione di professionalità da inserire nei quadri tecnici di una azienda è un’esigenza richiesta dal mondo imprenditoriale che riduce drasticamente i tempi d’ingresso nel mondo del lavoro. Lavorare con personale specializzato rende dinamica ed efficiente l’azienda, riduce gli errori in fase di lavoro e gratifica il lavoratore nel suo percorso personale di crescita>> come afferma Placido Salamone imprenditore e Vicepresidente del Circolo Anspi Camminiamo insieme di Castel di Tusa ad oggi presieduto dal Rev. Padre Bernardo Idim  che da questa primavera ha lanciato la campagna promozionale per la formazione di quadri professionali nella ristorazione e professionalità turistica in qualità di supporter di enti professionali accreditati allo svolgimento di corsi professionali di settore, di cui il primo in itinere è il corso di “COLLABORATORE DI CUCINA” .

La figura del collaboratore di cucina interviene, a livello esecutivo, nelle attività della ristorazione a supporto dei responsabili dei processi di lavoro. L’utilizzo di metodologie di base, di strumenti e di informazioni gli consentono di svolgere attività relative alla preparazione dei pasti con competenze di base nella scelta, preparazione, conservazione e stoccaggio di materie prime e semilavorati, nella realizzazione di piatti cucinati.

Le competenze professionali che si acquisiscono servono a definire e pianificare le fasi delle operazioni da compiere sulla base delle istruzioni ricevute e del sistema di relazioni; ed a scegliere e preparare le materie prime e i semilavorati secondo gli standard di qualità definiti e nel rispetto delle norme igienico -sanitarie vigenti.

I destinatari di questo progetto sono i  giovani maggiori di 18 anni e adulti disoccupati e occupati e tra i destinatari sono compresi: i titolari di “Buono servizi al lavoro”, i percettori di reddito di cittadinanza che hanno stipulato un Patto per il lavoro (D.lgs. 4/2019 art 4,co.76), i lavoratori dipendenti di aziende posti in CIGS: per i quali è stato sottoscritto un accordo di ricollocazione,(art 24 bis, dl.gs 148/2015), con assegno di ricollocazione (AdR), che non possono beneficiare di Adr per CIGS o per i quali non sia stato sottoscritto l’accordo di ricollocazione ,(art 24 bis, dl.gs 148/2015).

Certamentel’ammissione al corso è condizionata da: presentazione dello stato di disoccupazione (DID rilasciata dal CPI);presentazione titolo di studio (licenza media inferiore) mentre il Il regolamento prevede ai partecipanti con almeno 2/3 delle ore corso frequentate e il superamento dell’esame finale il rilascio di attestato di Qualifica Professionale.

Utili per ampliare le proprie possibilità di inserimento professionale, ed avere dunque maggiori opportunità lavorative, gli attestati di qualifica professionale certificano le competenze e le conoscenze professionali acquisite da un allievo nel corso di un determinato percorso formativo.

Si tratta di un documento con il quale un Ente di formazione, ovvero un’ organizzazione regionale che offre un servizio di qualifica professionale (la Regione di residenza) certifica la frequentazione, da parte di uno studente, di un percorso istruttivo finalizzato a conferire determinate competenze culturali.

Attestato di qualifica professionale, a cosa serve e quando prenderlo

L’attestato di qualifica professionale permette dunque al corsista di esercitare il titolo conseguito e, in base alla tipologia di lavoro e corso di formazione scelto, di esercitare la professione in totale autonomia. Ma vediamo nei dettagli cos’è un attestato di qualifica professionale, la sua validità professionale e come si consegue.

L’attestato di qualifica professionale ha una piena validità in tutto il territorio nazionale, non solo nella Regione in cui è stato conseguito, ma anche nei Paesi esteri appartenenti all’Unione Europea. L’accesso al corso di qualifica professionale è possibile dopo il termine di un percorso di studi di primo grado, dopo aver ottenuto un diploma di licenza media. I corsi professionali sono comunque aperti a tutte le persone che non abbiano ancora raggiunto i 18 anni di età.

Ogni studente può optare per diversi livelli formativi: percorsi di istruzione e formazione professionale triennali, di competenza regionale, senza alcun costo.

I percorsi formativi, volti a conferire la qualifica professionale, hanno infatti una durata di tre anni, e alla fine dell’ultimo anno di corso lo studente dovrà affrontare un esame con finalità abilitative: questo certificherà le competenze acquisite dallo studente, con valore legale.

Dopo aver ottenuto il diploma di qualifica di istituto professionale, sulla base della Decreto legislativo n. 226/05, lo studente potrà optare per il proseguimento della sua carriera professionalizzante, decidendo se fermarsi o frequentare i successivi due anni di specializzazione professionale, in modo da ottenere un diploma di istruzione secondaria superiore ad indirizzo professionale. In alternativa lo studente può cercare di inserirsi subito nel mondo del lavoro, tramite l’iscrizione alle agenzie interinali e agli uffici di collocamento.

Il percorso di formazione per ottenere l’attestato di qualifica professionale: come funziona?

I settori di qualifica professionale, offerti a livello regionale, sono davvero molto numerosi e coprono diverse aree di interessi: vi sono ad esempio quelli attinenti all’industria e all’artigianato, al settore aziendale e turistico, fino a quello sanitario e dei servizi sociali, al settore dell’estetica, del benessere e del mondo artistico. Tutti i corsi mirano ad offrire ai candidati le competenze tecniche e professionali necessarie per operare adeguatamente nel settore lavorativo scelto, questi coprono infatti diversi percorsi istruttivi: attività di laboratorio e pratiche, con la possibilità di accedere a tirocini orientativi e formativi.

Diploma di qualifica professionale in modalità telematica

Si è visto che gli attestati di qualifica professionale, condotti a livello regionale, sono gratuiti e offrono una formazione aperta a quegli studenti che non hanno ancora raggiunto la maggiore età.

Con l’avvento di internet, tuttavia, si sono aperte nuove opportunità per coloro che desiderano studiare e ampliare le proprie capacità professionali pur avendo superato i 18 anni di età. Si tratta di corsi di qualifica professionale online, erogati tramite delle piattaforme di e-learning, i percorsi sono a pagamento e possono essere frequentati da tutti coloro che possiedono un diploma di licenza media.

Alla fine del percorso di studi, durante il quale il candidato avrà modo di seguire lezioni online e apprendere le competenze necessarie per il conseguimento del titolo, gli studenti potranno sostenere gli esami di qualifica professionale privatisti, recandosi presso l’istituto di competenza: l’importante è che siano in grado di documentare la propria idoneità psico-fisica per il lavoro di interesse e che, naturalmente, abbiano frequentato un corso di qualifica professionale o abbiano svolto un impiego per almeno tre anni nel settore relativo alla qualifica al quale ambiscono, purché il lavoro sia stato svolto in modo continuativo.

Settembre – Arrivano le nocciole

di Placido Salamone

Settembre è un mese fantastico. Un mese dove le pratiche agricole prendono vigore. la campagna mostra i suoi colori autunnali che caratterizzeranno il mese di ottobre. Nelle aree arborate collinari di alcune parti d’ Italia questo è il periodo della raccolta delle nocciole.

Il nocciolo è una pianta che troviamo diffusa in tutta Italia anche come albero spontaneo, le nocciole sono molto utilizzate dall’industria dolciaria, per questo è una coltura su cui si sta puntando molto a livello di agricoltura professionale.

L’albero di nocciolo è interessante anche per chi ha un piccolo frutteto famigliare o un giardino: è una pianta resistente, davvero semplice da coltivare, che richiede pochi trattamenti e può essere potata con meno frequenza rispetto ai classici alberi da frutto, può essere gestito ad alberello o vaso cespugliato, ma anche in forma di cespuglio e possiamo inserirlo in siepi o tenerlo a margine del giardino

La pianta di nocciole: Corylus avellana

Il nocciolo è una pianta un po’ diversa dalle altre specie tipiche del frutteto, poiché i suoi frutti rientrano nella categoria “frutta secca” o “frutta a guscio” e quindi si consumano in modo diverso rispetto agli altri. La pianta fa parte della famiglia delle Betulacee e ha portamento naturale a cespuglio con apparato radicale fascicolato, ha corteccia liscia e sottile, foglie ovoidali a margine seghettato e provviste di peluria nella pagina inferiore. La sua indole cespugliosa la rende una pianta esuberante e capace di gettare polloni. Ha fiori unisessuali: alla fioritura vediamo prima di tutto il fiore maschio (amento) che porta il polline, permane sui rami tutto l’inverno ed è molto caratteristico. Feconderà poi i fiori femminili per dar vita alle nocciole.

Il nome botanico del nocciolo è Corylus avellana, si presta molto bene a valorizzare gli ambienti collinari e la sua coltivazione professionale, chiamata corilicoltura, si può condurre efficacemente secondo i metodi dell’agricoltura biologica.

la coltivazione del nocciolo

Il nocciolo è una pianta tipica dell’Italia, lo si trova in particolare in zone collinari, sia del centro Italia che in settentrione, sono famose in tutto il mondo le nocciole del Piemonte. Si tratta di una specie ben resistente e adattabile, che teme il freddo estremo e il caldo siccitoso e i ristagni idrici. Clima necessario alla coltivazione è quello temperato e in Italia si trova allo stato spontaneo in molte zone collinari e di bassa montagna. Si tratta di una pianta rustica, che si adatta bene a svariate situazioni, anche se le temperature sotto i -12 °C accompagnate da un’elevata umidità dell’aria possono danneggiarla.

Il momento di maggiore sensibilità al freddo è il risveglio vegetativo primaverile, quando i germogli appena spuntati vengono danneggiati anche da ritorni di freddo di 0°C. Anche le estati molto calde e siccitose con temperature che si protraggono a lungo sopra i 30 °C sono nocive perché causano la perdita anticipata delle foglie e portano ad un raccolto inferiore, con nocciole vuote.

Il terreno ideale per il nocciolo è quello che rifugge i ristagni idrici in cui si verificano marciumi radicali e quello con troppo calcare attivo dove si notano sintomi di clorosi ferrica sul fogliame. Sono preferibili quindi i suoli abbastanza sciolti o di medio impasto, con ph vicino alla neutralità e con un buon tenore di sostanza organica.

Mettere a dimora un nocciolo

Per l’impianto di un noccioleto o anche solo di pochi esemplari, l’ideale è partire da piante di 2 anni di cui si abbia la garanzia che siano sane, solitamente fornita dai vivai professionisti. Il momento migliore per il trapianto è l’autunno, anche se si possono realizzare impianti primaverili, purché non troppo avanti nella stagione per non incorrere nel rischio di fallanze, ovvero della moria di alcuni esemplari. Se si tratta di un noccioleto professionale è bene lavorare il terreno, meglio se nell’estate precedente all’impianto, allo scopo di garantire il drenaggio alle radici delle piante, mentre per la messa a dimora di poche piante si può ricorrere allo scavo delle singole buche come per gli altri fruttiferi.
La buca deve avere grandi dimensioni proprio per garantire un buon volume di terra smossa all’apparato radicale, e quindi un buon sgrondo dell’acqua in eccesso. Nel ricoprire la buca si esegue una concimazione di fondo con letame o compost ben maturi, miscelandoli alla terra degli strati più superficiali. Si consiglia anche di aggiungere manciate di stallatico in pellets o di altro concime organico come cornunghia, per apportare più nutrienti. La buca può essere scavata a mano o con mototrivelle, soprattutto se il terreno è particolarmente compatto e dobbiamo piantare molti noccioli. La piantina si mette diritta nella buca, il colletto deve restare a livello del suolo ed è consigliato affiancarle un tutore come una canna per un sostegno iniziale. Si preme delicatamente il suolo per farlo aderire alle radici e infine si esegue una prima irrigazione per favorire l’attecchimento della pianta.

Per piantare un albero non conviene seminare la nocciola, sarebbe lungo. Il sistema più semplice e diffuso per la propagazione del nocciolo è l’uso di polloni provenienti da ceppaie certificate, in cui si abbia la sicurezza di ottenere esemplari dalle stesse caratteristiche della pianta madre. Altri metodi di propagazione usati sono la micropropagazione e la talea.

L’impollinazione del nocciolo è anemofila, avviene cioè grazie al vento che fa volare il polline dei fiori maschili, detti “amenti” su quelli femminili provvisti di ciuffo rosso. Le piante sono però autosterili, quindi per l’impollinazione è indispensabile la presenza di varietà diverse da quella coltivata che fungano da impollinatrici o di noccioli spontanei delle immediate vicinanze. A seconda delle diverse varietà, soprattutto in base alla vigoria e anche in base alla fertilità del terreno, le distanze minime consigliate tra le piante in un noccioleto professionale sono di 4 x 5 metri e le massime di 6 x 6 metri.

Operazioni colturali

Oltre alla potatura e al controllo delle avversità il noccioleto richiede poche operazioni di manutenzione: lo sfalcio periodico del suolo inerbito, un’eventuale pacciamatura intorno alle piante e l’irrigazione al bisogno sono le principali lavorazioni da effettuare. Durante lo stesso anno della messa a dimora, soprattutto se l’estate risulta molto calda e secca, è importante poter fare almeno delle irrigazioni di soccorso mediante un impianto a goccia, che non bagni la parte aerea. Negli anni successivi è importante garantire alle piante disponibilità idrica a giugno e a luglio perché questo porta poi ad agosto ad una produzione buona ed evita l’alternanza negli anni. Alla base delle piante è valido predisporre una pacciamatura organica a base di uno spesso strato di paglia sul terreno attorno alla proiezione della chioma. In alternativa si possono stendere i teli neri ed entrambe le soluzioni impediscono alla flora spontanea di crescere in quel punto e di competere per acqua e nutrienti con il nocciolo.

Come potare il nocciolo

Il nocciolo è un arbusto dall’intensa attività vegetativa, che deve essere potato perché assuma una forma ordinata, funzionale alla coltivazione, e la mantenga. Scopo della potatura oltre allo sfoltimento è anche favorire la produttività svecchiando i rami.

Possiamo decidere di potare il nocciolo tutti gli anni, ma anche intervenendo ogni due o tre anni si ottiene comunque una buona produzione e si riesce a mantenere l’albero produttivo. Il nocciolo cresce spontaneamente con un portamento a cespuglio, forma che spesso si asseconda anche nella coltivazione. Per ottenerla, dopo l’impianto della piantina in autunno si taglia quasi a terra in modo che emetta numerosi fusti o polloni. In primavera se ne scelgono 4 o 5 ben distanziati tra loro, che saranno gli organi principali, e si eliminano gli altri.

Un’alternativa al cespuglio già ben collaudata è il portamento a vaso cespugliato, con un fusto principale basso da cui partono le branche a 30-40 cm da terra. Questa forma offre il vantaggio di eseguire le operazioni di potatura e di raccolta con più facilità rispetto al cespuglio. Un’altra forma possibile è quella ad alberello, che rispetto alla precedente presenta un fusto più alto ed è adatta alla corilicoltura professionale in cui si prevede la meccanizzazione.

La potatura di produzione

La potatura nel nocciolo ha gli obiettivi di equilibrare l’attività vegetativa con quella riproduttiva, limitare il fenomeno dell’alternanza e quello della cascola anticipata dei frutti. Un ulteriore vantaggio è l’arieggiamento della chioma e quindi la migliore penetrazione della luce al suo interno. I periodi più indicati per potare sono l‘autunno-inverno, escludendo i momenti del gelo, fino a poco prima della fioritura.

Durante i primi due anni di norma non si eseguono interventi di potatura. Dal terzo anno e per gli anni successivi si interviene sfoltendo i fusti del cespuglio eliminando alla base quelli in eccesso. I 4 o 5 fusti principali del cespuglio, che nel gergo vengono chiamati pertiche, vanno periodicamente rinnovati. Dai fusti si sviluppano le branche che originano a loro volta i rami, che devono essere lasciati nel numero di 4 o 5 e lunghi circa 20 cm per garantire la produzione (quelli troppo corti non producono). Dopo 10 anni la potatura diventa più intensa, con vari tagli di raccorciamento, e questo aiuta ad equilibrare vegetazione e produzione.

Malattie del noccioleto

Le patologie che possono colpire il nocciolo sono abbastanza occasionali. Tra le malattie più frequenti nel noccioleto ci sono i marciumi radicali, più probabili sui terreni soggetti a ristagno idrico. Queste patologie si notano per imbrunimenti spugnosi alla base della pianta e si fermano solo asportando le piante infette. L‘oidio o mal bianco invece è semplice da riconoscere: nel nocciolo mostra sintomi solo sulle foglie e si può contenere con irrorazioni di bicarbonato di sodio. Il mal dello stacco si verifica in prevalenza nei vecchi noccioleti e si manifesta con macchie bruno rossastre sulla corteccia delle branche e dei rami. Questa ultima patologia si blocca eliminando al più presto le parti di pianta colpite ed eventualmente trattando con prodotti a base di rame, adottando le dovute precauzioni e seguendo tutte le indicazioni presenti sull’etichetta del prodotto commerciale.

Quelle sopra menzionate sono tutte patologie di tipo fungino, ma il nocciolo può anche essere colpito da alcune batteriosi come lo Xanthomonas campestris, che si riconosce per le macchie su foglie e germogli, che si incurvano, si accartocciano e seccano, e che si può frenare trattando anche in questo caso con prodotti rameici. Gli insetti che occasionalmente attaccano i noccioli sono il balanino, che col suo lungo rostro buca le nocciole per deporvi l’uovo. Dall’uovo esce la larva che vive a spese del seme, e che si può sconfiggere con trattamenti autunnali a base del fungo entomopatogeno Beauveria bassiana. Atri parassiti possibili sono le cimici, tra cui di recente anche la pericolosa e polifaga cimice asiatica, gli afidi. Altro nemico frequente nel noccioleto è l’eriofide galligeno, che danneggia le gemme e si riconosce dal loro ingrossamento, e che si può trattare con olio bianco estivo e zolfo, prodotti ammessi in agricoltura biologica. Tra gli insetti nocivi per il nocciolo citiamo anche il rodilegno, la cui presenza viene tenuta a bada dai picchi che si cibano delle larve.

Mini lepri e ghiri

In alcuni ambienti di coltivazione del nocciolo si possono riscontrare danni da parte delle mini lepri, che si cibano delle giovani foglie e dei germogli. Per ostacolarle si possono mettere delle reti circolari attorno alla base delle piantine appena trapiantate, da togliere poi man mano che queste cresceranno. Un altro mammifero che si ciba delle nocciole negli ambienti collinari e montani è il ghiro, contro il quale possiamo solo sperare nei sui predatori naturali come la faina e il gufo reale.

Raccolta delle nocciole

Verso metà agosto le nocciole sono mature e iniziano a cadere dalle piante, quindi è molto utile predisporre delle reti sotto la chioma per facilitare la raccolta e non disperdere i frutti. L’entrata effettiva in produzione dei noccioli avviene al quinto o sesto anno dalla messa a dimora, è crescente fino all’ottavo e poi si stabilizza durando anche 30 anni. Da una pianta adulta mediamente si possono ottenere 5 kg di nocciole.

Questo frutto a guscio una volta raccolto non è ancora pronto al consumo: le nocciole devono essere essiccate per risultare conservabili, arrivando al 5-6% di umidità del seme e al 9-10% del guscio. L’ideale è stenderle su graticci su cui rigirarle spesso, oppure, soprattutto per produzioni destinate alla vendita, ricorrere ad essiccatoi ad aria, che lavorano a temperature di circa 45 °C. Dopo l’essiccazione vanno conservate in locali asciutti e a temperature di circa 15 °C, meglio se all’interno di materiale traspirante come sacchi di carta o di juta.

Le nocciole si consumano tali e quali come frutta secca, ma sono molto utilizzate anche per la trasformazione in pasticceria, in gelateria e per prodotti da forno, così come nelle note creme spalmabili.

Varietà di nocciole

In Piemonte, una delle regioni in cui più si coltivano i noccioli, sono diffuse le varietà Tonda Gentile delle Langhe, detta adesso Tonda Gentile Trilobata, la quale viene impollinata bene dalla varietà Tonda Gentile Romana, che fiorisce nello stesso periodo e che come si intuisce dal nome è di provenienza laziale. Citiamo inoltre alcune varietà campane come la Tonda di Giffoni, la Mortarella e la S. Giovanni, queste ultime due a frutto allungato.Il nome scientifico del nocciolo è “corylus avellana”, fu attribuito dai romani sulla base della parola greca “corys” ,termine che significava “elmo”, probabilmente in riferimento alla ghianda del nocciolo che funge da casco nei confronti della nocciola. Alcuni fossili rinvenuti in Germania, Svezia e in Danimarca dimostrano che le nocciole fossero incluse nell’alimentazione dell’uomo primitivo anche quando non si conosceva ancora la pratica della coltivazione, e quando questo si nutriva ancora di bacche e frutti tra i quali sono annoverate le nocciole .

Il nocciolo è una pianta ampiamente apprezzata fin dall’antichità, oltre che per le qualità nutrizionali del suo frutto, anche perché il suo legno consentiva di difendersi da tutti gli animali che striscianti, infatti i pastori lo utilizzavano come bastone. Le nocciole erano apprezzate anche da personaggi di spicco del mondo dell’antica Roma, Catone. Ad esempio, ne raccomandò la coltivazione negli orti romani.

Plinio, inoltre, aveva notato che, se assunte in ingenti quantità, potevano causare un notevole aumento di peso. Tuttavia, se assunte con moderazione e se tostate, avrebbero potuto curare il mal di gola. Da quanto emerge, quindi, il nocciolo è una pianta originaria dell’Asia Minore, è annoverato tra le piante più antiche coltivate dall’uomo infatti, alcune fonti, in modo particolare dei manoscritti risalenti a circa 5 millenni fa, citano questo pianta.

Diversi tipi di nocciole siciliane di qualità

Le nocciole siciliane sono conosciute ed apprezzate in tutto il mondo per il loro gusto inconfondibile. Tra le qualità siciliane, le più rinomate sono sicuramente le Nocciole dei Nebrodi e le Nocciole di Polizzi. Entrambe sono caratterizzate da un aroma intenso e da un gusto inconfondibile, sono molto pregiate e racchiudono al loro interno tutta la bellezza delle tradizioni da diverse generazioni.

Le Nocciole dei Nebrodi

Le nocciole dei Nebrodi sono una varietà che viene coltivata in un’area che si estende per circa 12 mila ettari, nel terreno che è parte del territorio del Parco dei Nebrodi (la più grande area naturale protetta della Sicilia) e sono tipiche della provincia di Messina.

Questa varietà è stata insignita del marchio di Denominazione di Origine Protetta. Questa tipologia di nocciole è particolarmente apprezzata per consistenza, aroma, profumo intenso e sapore delicato che permane in bocca lasciando un intenso retrogusto. Le nocciole dei Nebrodi si raccolgono alla fine di agosto e a mano, si staccano dalla pianta appena giunte a maturazione.

La coltivazione di questa qualità ha subito una vera e propria esplosione intorno al 1890, quando la crisi della gelsicoltura aveva gettato in grande difficoltà economiche molte famiglie siciliane. Fortunatamente, il nocciolo, è una pianta che si adatta facilmente ed, inoltre, è tipico dell’ambiente mediterraneo. Il territorio dei Nebrodi è un habitat protetto e caratterizzato da una straordinaria biodiversità. “L’estensione di 12mila ettari garantisce alla Sicilia il primato nazionale per la produzione delle nocciole”.

Le nocciole dei Nebrodi vengono utilizzate in pasticceria! Si usano per la preparazione della pasta reale di Tortorici, le ramette di Longi, i croccantini ed altri prodotti tipici della zona, ma anche in gelateria per la lavorazione di gelati e granite.

Le Nocciole Polizzi

Le nocciole di Polizzi sono un’altra qualità di nocciole siciliane. La loro coltivazione risale all’antichità, fin dai tempi dei normanni. Infatti, se ne parla perfino in alcuni atti di vendita del periodo. L’introduzione di questa qualità della nocciola risale al periodo tardo-normanno. Successivamente, gli Arabi diedero un forte impulso alla raccolta di nocciole nella zona di Piazza Armerina, da qui la produzione si estese fino a Polizzi.

Nel passato le distese di noccioli ricoprirono diversi ettari del territorio intorno a Polizza e, come nel caso dei Nebrodi, riuscirono a sostenere l’economia del luogo. Tuttavia, verso gli anni Sessanta cominciò il declino ed attualmente la nocciola di Polizzi viene coltivata unicamente su 150 ettari. Anche in questo caso la raccolta avviene tra fine agosto e settembre, le nocciole sono sferiche, schiacciate e color avana. Hanno un aroma particolarmente intenso e, se tostate, questo viene ulteriormente esaltato. Vengono impiegate nell’industria dolciaria, ad esempio, a Polizzi, sono utilizzate per la produzione dei pasticciotti, torroni, nucatoli e castagnoli.

La nocciola di Polizzi è un eccellente ingrediente per i dolci. In particolare per torroni ed i famosi nucatoli.

Proprietà delle nocciole siciliane e il loro utilizzo in cucina:

Tutte le nocciole sono ricche di fitosteroli: questi possono prevenire malattie del sistema cardiovascolare, e contengono omega 3 e omega 6, i cosiddetti “grassi buoni” importanti per abbassare il colesterolo. Contengono la vitamina E, B6 e sali minerali come calcio, ferro, magnesio e potassio. Le nocciole fresche deperiscono abbastanza velocemente, possono essere acquistate anche tostate, sotto forma di farina o di granella. Le nocciole possono essere utilizzate per la preparazione di diverse pietanze ed anche per alcuni dolci natalizi

POMODORO – un frutto antiossidante ed antitumorale

di Placido Salamone

Il pomodoro è uno dei simboli della cucina italiana, frutto dalle mille forme e colori, concentrato di gusto e bontà, protagonista di svariate ricette, ingrediente succoso e imprescindibile della nostra tavola, tanto elogiato da avere anche un museo dedicato a Collecchio. Molte regioni producono prodotti di eccellenza, la Sicilia con il suo pomodorino ciliegino di Pachino, o la Campania con il San Marzano o il Pomodorino del Piennolo sono solo degli esempi. Gioielli dai nomi un po’ strani, oltre ai classici pomodori rossi, ne esistono anche gialli, verdi o neri. Anche la forma varia molto, e accanto al tipico frutto tondo e grosso troviamo le varietà allungate, a pizzo, con le pieghe, a punta ed altre ancora. Per quanto una completa classificazione sia un po’ complicata, vediamo alcune tipologie di questo succoso e dolce re delle nostre tavole.

Pomodoro ciliegino di Pachino

Il nome deriva proprio dalla somiglianza con le ciliegie, piccolo, tondo e rosso il pomodorino ciliegino è un concentrato di bontà e, proprio come per le ciliegie, non puoi fare a meno di mangiarne uno dopo l’altro! Il più famoso e conosciuto è il pomodoro di Pachino Igp, che si coltiva sulla costa orientale della Sicilia. Il ciliegino è molto dolce e succoso, si gusta al naturale, rigorosamente con le mani, o condito in insalata, ma è ottimo anche cucinato al forno o come condimento per la pasta.

Pomodoro datterino

Anche il pomodoro datterino è molto dolce e si presta a molte ricette. Ideale per condire le bruschette e preparare gustose insalate, se viene usato per la salsa darà un risultato eccezionale.

Pomodoro a pizzo

Il pomodoro a “pizzo” si produce principalmente in Campania, nella zona del Vesuvio, ma anche nel Lazio, in Calabria ed in Sicilia, e proprio in questa regione sono presenti due Presìdi Slow Food di tale varietà: il siccagno della Valle del Bilìci ed il pizzutello delle Valli Ericine, quest’ultimo tipico della zona di Trapani ed ingrediente del saporito pesto alla trapanese con mandorle e basilico.

San Marzano

Il pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino Dop è il vero protagonista del sugo. Coltivato nella zona di Salerno, Napoli ed Avellino, questa varietà è la più richiesta al mondo, ideale per le conserve (non ha neanche bisogno di sale) è l’ingrediente inimitabile di molte ricette tipiche napoletane, del ragù e della passata per la pizza.

Pomodoro cuore di bue

Dalla forma grossa ed irregolare, il pomodoro occhio di bue ha un peso medio di 300 grammi, ma può arrivare anche ad 800 grammi, la sua polpa è carnosa e gustosa, e la buccia sottile e liscia. Ideale da mangiare a crudo, in insalata o sulle bruschette, è anche usato per realizzare la passata di pomodoro.

Pomodoro costoluto

Il pomodoro costoluto è un pomodoro dalla superficie ondulata e regolare, pesante e compatto è il più profumato tra le varietà. Il più conosciuto è il fiorentino, ingrediente della fantastica pappa al pomodoro, ma ne esistono anche altri tipi.

Pomodoro del Piennolo del Vesuvio

Piccolo, rosso fuoco, dalla buccia resistente e dalla polpa soda e compatta, con un sapore dolce ma un retrogusto un po’ acido, ecco la carta d’identità del pomodoro del Piennolo del Vesuvio. Deve il suo nome alla tecnica di conservazione, ovvero al “piennolo” o pendolo. Dopo la raccolta, che avviene in estate, i pomodorini vengono legati insieme con un filo di canapa a cerchio, a formare un unico grappolone che, maturando lentamente, resiste meravigliosamente fino alla primavera seguente. Esiste anche una tipologia giallo oro, il pomodorino giallo del Cilento. Il piennolo è molto versatile in cucina, puoi usarlo per insalate, bruschette, conserve o saltato in padella come contorno gustoso.
Cotto o crudo è comunque eccellente!

Pomodoro pronto all’uso

No, non è una nuova varietà di questo fantastico frutto, ma la passata di pomodoro in bottiglia, o i pomodori cubettati in scatola sono delle alternative ideali per aiutare in cucina chef, pizzaioli e chiunque voglia preparare gustose ed appetitose ricette utilizzando questo inimitabile ingrediente. Vengono selezionati i migliori pomodori provenienti da coltivazioni italiane, lavorati dopo poco la raccolta, allo scopo di mantenere tutta la qualità ed il gusto del frutto fresco, ed hanno il vantaggio di essere pronti all’uso e sempre disponibili

I PREZIOSI NUTRIENTI CONTENUTI NEL POMODORO

Per un analisi scientifica affidabile ci siamo appoggiati al centro ricerche della Fondazione Veronesi

I carotenoidi sono un gruppo di sostanze fitochimiche responsabili alcuni colori tipici degli alimenti vegetali (giallo, arancio e rosso). Svolgono un ruolo importante nella prevenzione delle malattie umane e nel mantenimento di una buona salute generale. Oltre ad essere potenti antiossidanti, alcuni carotenoidi (beta carotene) contribuiscono anche alla formazione della vitamina A. I carotenoidi sono tra le molecole più studiate per il loro ruolo potenziale sulla salute umana. Il pomodoro contiene in particolare il carotenoide licopene che conferisce al frutto maturo la caratteristica colorazione rossa ed ha una spiccata azione antiossidante. Altre sostanze contenute nel pomodoro maturo hanno proprietà antiossidanti: i polifenoli, composti prodotti dal metabolismo secondario delle piante, la cui concentrazione sembra diminuire con il procedere della maturazione e risulta maggiore nei pomodori coltivati in pieno campo rispetto a quelli coltivati in serra; i flavanoni, la naringenina e, tra gli acidi fenolici, l’acido clorogenico. Nel pomodoro sono presenti altre molecole come la solanina, un alcaloide con un’azione moderatamente tossica, presente nel pomodoro acerbo e in particolare nella buccia che a mano a mano scompare con la maturazione ed è poco resistente al calore. La tomatina o licopersicina, alcaloide scarsamente tossico per l’uomo, è prodotto dalle infezioni fungine e dal danneggiamento meccanico del frutto e si perde con la maturazione mentre permane nelle foglie e nei semi.

MA IL LORO CONTENUTO NON È SEMPRE UGUALE

La composizione in macro e micronutrienti del pomodoro, come per tutti i prodotti ortofrutticoli, è fortemente influenzata da fattori come il tipo di cultivar (ovvero la varietà coltivata), le pratiche agronomiche, l’esposizione alla luce solare, le caratteristiche del terreno, la trasformazione tecnologica ed il metodo di cottura a cui eventualmente sottoponiamo il prodotto. Per esempio, la vitamina C e il betacarotene continuano ad accumularsi nei pomodori che proseguono la fase di maturazione anche dopo raccolta, ma l’accumulo di betacarotene è comunque inferiore rispetto ai pomodori che maturano sulla pianta. La concentrazione del licopene aumenta man mano che il frutto matura. Tuttavia i pomodori coltivati in serra presentano concentrazioni di licopene più basse rispetto a quelli coltivati nei campi. È stato anche evidenziato che nei pomodori raccolti a giugno, dicembre e marzo si hanno le più alte concentrazioni di carotenoidi mentre nei mesi più caldi la concentrazione di queste molecole è inferiore.

COME CAMBIANO I NUTRIENTI CON LA COTTURA E LA CONSERVAZIONE?

I metodi di cottura e di conservazione possono incidere sul contenuto e sulla disponibilità delle sostanze contenute nel pomodoro. Nel caso della vitamina C, le perdite dovute alla cottura possono essere di considerevole entità (circa il 60 per cento in caso di cottura in acqua). Al contrario, il licopene si può ossidare se il pomodoro viene lavorato a crudo a lungo con strumenti metallici, mentre la cottura lo rende più disponibile. I carotenoidi sono infatti legati alle proteine nelle cellule vegetali e la cottura dell’alimento facilita la rottura dei legami. Studi condotti su un gruppo di soggetti adulti sani hanno messo in luce che il licopene ingerito con il pomodoro è più biodisponibile se proviene dal pomodoro trattato tecnologicamente (concentrato di pomodoro) anziché dal pomodoro fresco. Inoltre, i carotenoidi, essendo delle molecole liposolubili, possono essere assorbiti dall’organismo umano mediante la stessa via di assorbimento seguita dai grassi, per cui l’olio extravergine di oliva, elemento importante della dieta mediterranea, ne favorisce l’assorbimento.fullscreen gallery

IL RUOLO DEL POMODORO NELLA PREVENZIONE ONCOLOGICA

Secondo alcuni studi, i carotenoidi non hanno solo funzione antiossidante, ma contribuirebbero a potenziare il sistema immunitario e agirebbero anche come antitumorale. La correlazione inversa più documenta tra consumo di pomodoro e tumori è quella con il tumore della prostata, un tessuto in cui il licopene si concentra in modo parti colare. Uno studio in cui sono stati seguiti circa 50.000 soggetti per 12 anni ha dimostrato un effetto protettivo sul cancro alla prostata per chi consumava almeno una porzione di passata di pomodoro per settimana. Più recentemente, un simile effetto protettivo del pomodoro è stato riportato anche per quanto riguarda il tumore dell’ovaio. Questi dati ci indicano che è assolutamente auspicabile un aumento del consumo di pomodoro in tutte le sue forme, un consiglio che si sposa perfettamente con i dettami della dieta mediterranea.

LA VERA PASTA…SOLO DI SEMOLA DI GRANO DURO

di Placido Salamone

Entrare nel mondo delIa pasta richiede l’esigenza di fare chiarezza sui concetti di farina e semola. Solitamente la farina proviene dalla macinazione del grano tenero, tondo, opaco e friabile, mentre la semola deriva dalla macinazione del grano duro, allungato e traslucido. La semola, dal colore giallo, si usa nella preparazione della comune pasta secca mentre la farina è più comune nelle preparazioni lievitate.

La farina di grano duro è, invece, il prodotto della rimacinazione della semola. L’ulteriore sminuzzamento e raffinazione, rende la semola rimacinata più pura, e le attribuisce proprietà chimico-fisiche differenti. Farina e semola di grano duro vengono spesso usate per panificare e per creare dell’ottima pasta.
La pasta di semola di grano duro viene prodotta impastando semola di grano duro e acqua e lavorando l’impasto in forme diverse. La prima fase della sua preparazione è la selezione del grano duro da usare: questo momento definisce la qualità dell’intero prodotto. Le semole devono essere macinate prima di essere impastate. Il frumento dovrà essere setacciato, ripulito e poi macinato per ottenere una semola più o meno raffinata. Le fasi successive sono impasto e gramolatura che consiste nel lavorare l’impasto per fare in modo che diventi omogeneo ed elastico. Dopo aver preparato le diverse forme di pasta nella fase che prende il nome di trafilatura (pasta lunga o pasta corta), i pastifici la predispongono per l’essiccamento, ed infatti è definita pasta secca.
Alla fine della fase di essiccamento, si procede con il raffreddamento all’interno di appositi raffreddatori, per riportare la pasta a temperatura ambiente.

pasta semola grano duro

La pasta di semola di grano duro fa male?

La semola e anche la semola integrale sono caratterizzate da un elevato potere calorico e forniscono un lento rilascio di glucosio nel sangue, assicurando all’organismo energia a lungo termine. I soggetti con problemi cardiovascolari possono consumare tranquillamente gli alimenti a base di semola di grano duro per via della totale assenza di colesterolo. Inoltre, la pasta di semola integrale aiuta la regolare attività intestinale in quanto contiene quantitativi di fibre maggiori rispetto alla semola comune e il suo consumo è da sconsigliare ai soggetti che soffrono di problemi legati a eccessiva attività intestinale (come, ad esempio, la colite). Ovviamente essendo una pasta di grano duro contiene glutine e non può, pertanto, essere consumata da soggetti celiaci o intolleranti al glutine.
Pasta di semola di grano duro calorie

Cento grammi di pasta di semola (cruda) apportano circa 353 calorie e contengono approssimativamente: 79 grammi di carboidrati, 68 grammi di amido, 11 grammi di acqua e altrettanti grammi di proteine, 4 grammi di zuccheri, 2,7 grammi di fibre, 1,4 grammi di lipidi e altri elementi come sodio, potassio, ferro, calcio, fosforo, zinco, magnesio, rame e tracce di vitamina B1, B2, B3 e E.

Migliore pasta di semola di grano duro meglio acquistarla dal produttore

La selezione scrupolosa delle materie prime è solo il primo passo per la produzione di un’ottima pasta, processo che culmina con la trafilatura al bronzo e l’essiccazione lenta a bassa temperatura, per conservare integre le proprietà nutritive del grano e donare al prodotto un profumo e una consistenza uniche.

NASCE SU GIALLO ZAFFERANO “TORRE DEL GUSTO GOURMET “

di Elisabetta Canalopolis

E’ certamente un importante risultato quello ottenuto dall’imprenditore Placido Salamone, coordinatore del Gruppo Salamone e da anni alla presidenza della Torre del Gusto. Un accordo con uno dei più famosi marchi della comunicazione culinaria, GialloZafferano, il primo sito italiano di cucina, con oltre 5000 ricette, videoricette e audioricette con milioni di visitatori al giorno. I termini dell’ accordo consistono nella costituzione del Blog di “cucina ” TORRE DEL GUSTO GOURMET” sotto il dominio Blog.Giallozafferano.it. “Un risultato che premia il dinamismo di un progetto che continua a crescere di giorno in giorno e che certamente avrà un riflesso positivo sui nostri canali di comunicazione” – afferma Placido Salamone – ” inoltre una piattaforma a servizio dei nostri talentuosi chef e neofiti della cucina che avranno in occasione in più per mettere in mostra la propria fantasia culinaria”

Qui di seguito il nuovo sito web

https://blog.giallozafferano.it/torredelgustosalamone/

Giallozafferano è un brand editoriale di cucina, punto di riferimento sul web e sui social italiani per chi voglia imparare a cucinare, approfondire le proprie tecniche culinarie e tenersi aggiornato sui nuovi trend del mondo food.Nato come sito web di ricette nel 2006, e in seguito sviluppatosi con una community di blogger, negli anni Giallozafferano ha sviluppato un’app per smartphone, pubblicato libri di cucina con Mondadori, creato un programma televisivo con Mediaset e sviluppato una forte presenza social su tutte le piattaforme (Facebook, Youtube, Instagram, TikTok, Twitter e Pinterest)Oggi il brand ha 20 profili social con una fanbase anche internazionale che globalmente conta 37 milioni di follower ed ha attivato numerose collaborazioni con food influencer e creator. Dal 2016 Giallozafferano fa parte del Gruppo Mondadori

Ad Agosto intanto la notizia dell’uscita pubblica del blog a marchio Torre del Gusto con l’ augurio di un positivo riscontro.