Il Battello del Brenta

 

Il diario di  viaggio da Venezia a Padova

Continuiamo il nostro itinerario alla scoperta del Veneto attraverso un suggestivo itinerario  nella rinomata riviera del Brenta. Partiti da Venezia, percorrendo con un battello un tratto delle riviera andiamo alla scoperta delle bellissime ville settecentesche del Veneto. Un fiume d’arte tra la magia del classicismo e la sintonia tra architettura, arte e paesaggio.

Andrea Palladio, Vincenzo Scamozzi, Giuseppe Jappelli, Giambattista Tiepolo, sono solo alcuni degli illustri nomi che hanno contribuito a rendere questo territorio incredibilmente interessante per tutti gli amanti dell’arte.

Prima sosta del nostro viaggio Villa FOSCARI detta LA MALCONTENTA è l’unica villa del Palladio lungo la Riviera del Brenta. Conservata nella sua architettura, si specchia nel Brenta in localita’ Malcontenta, vicino a Mira (VE). Tornata di proprietà della famiglia Foscari nel 1973, nel 1994 è stata segnalata come “Patrimonio dell’Umanità” dall’UNESCO. La Villa è tuttora priva d’illuminazione elettrica, per scelta dei proprietari.

Continuiamo poi con la visita alla VILLA WIDMANN detta anche Villa Seriman, Foscari Widmann-Rezzonico si trova lungo la Riviera del Brenta, nel Comune di Mira (VE), in località Riscossa.
Oggi questa spettacolare Villa Veneta è di proprietà della Provincia di Venezia ed è utilizzato quale sede di mostre ed eventi culturali e mondani. La Villa comprende la casa padronale con il giardino e la corte adiacente, la barchessa, la chiesetta ed il vasto parco a nord con la serra, arricchito da statue settecentesche, numerose specie arboree,volatili ed un laghetto.

Villa Pisani detta anche la Nazionale, rappresenta certamente uno dei più celebri esempi di Villa Veneta della Riviera del Brenta; sorge a Stra, in provincia di Venezia, ed occupa un’ intera ansa del naviglio del Brenta, si estende su una superficie di 11 ettari ed un perimetro esterno di circa 1.500 metri. Venne costruita a partire dal1721 su progetto di Gerolamo Frigimelica e Francesco Maria Preti per la nobile famiglia veneziana dei Pisani di Santo Stefano. Al suo interno sono visibili opere di Giambattista Tiepolo, Giovanni Battista Crosato, Giuseppe Zais, Jacopo Guarana, Carlo Bevilaqua, Francesco Simonini, Jacopo Amigoni e Andrea Urbani.

Percorriamo  quindi la foce fino a Padova. Un antico detto recita: “Venezia la bella, e Padova sua sorella“,Il paragone con Venezia dovrebbe già far comprendere, a chi non è mai stato in questa città, cosa troverà durante la sua visita. La Cappella degli Scrovegni di Giotto, il più importante ciclo pittorico del mondo, basterebbe già da sola a giustificare una visita a Padova.

Sempre in tema di arte, i Musei Civici raccolgono una bella collezioni di pittori soprattutto veneti (Tiepolo, Tintoretto, Veronese) e nel Battistero del Duomo è perfettamente conservato un altro straordinario ciclo di affreschi, quello di Giusto de’ Menabuoi.

Non si può dimenticare la presenza del “Santo” come lo chiamano i padovani: Sant’Antonio la cui presenza secolare in città si ritrova non solo nelle reliquie conservate nella Basilica ma anche nei tanti dolci che portano il suo nome.

Le molte piazze cittadine, in particolare Piazza delle Erbe, della Frutta e dei Signori, tradiscono il piacere dei padovani (o patavini) per la socialità, di cui lo Spritz è l’emblema contemporaneo. Una scelta insolita per gli abitanti di una città del Nord, dove il clima non è sempre clemente. Poi c’è una straordinaria gastronomia, la presenza dotta ma giovane dell’Università e molti altri motivi di interesse.

La cucina padovana è una cucina di orto e di corte, basata cioè sulle verdure che si possono coltivare negli orti di casa e sugli animali che si allevano in cortile.

Abbondano, quindi, i piatti in cui i protagonisti sono la Gallina Padovana e tutti i suoi parenti stretti: l’oca, il cappone, l’anatra, la faraona, la Gallina Polverara, il galletto nano e i più comuni polli. Da questi ingredienti nascono i piatti tipici della tradizione: tra i primi, da assaggiare i bigoli (spaghetti grossi e ruvidi) e i tradizionalissimi risotti: non solo “risi e bisi“, riso e piselli ma anche con asparagi, o il radicchio. I bigoli si sposano splendidamente con “l’Oca in Onto“, carne d’oca dissossata, salata e conservata nel suo stesso grasso, usata anche come secondo piatto. Ancora tra i primi piatti: la pasta e fagioli, la zuppa con verze o altri ortaggi. I secondi seguono la linea della tradizione: bollito misto alla padovana, prosciutto di petto d’oca, i salami, la soppressa, la salsiccia luganega e il cotechino. Non mancano secondi piatti e salumi a base di cavallo e mulo. Tra i dolci da provare, la fugassa padovana (focaccia), la figassa (torta di fichi), la smegiassa (con uvetta) e la sbrisolona. C’è poi una lunga tradizione pasticciera legata a Sant’Antonio con il Pan del Santo, il Dolce del Santo gli Amarettoni e i Merletti. Ogni pranzo si apre con un classicissimo aperitivo Spritz e si chiude con una grappa. Per i vini non avete che scegliere: siete in Veneto!

E’ quindi la volta di visitare il famoso Orto botanico di Padova, tra i più importanti e certamente il più antico al mondo dal momento che la sua fondazione, risale al 1545, quando il Senato della Repubblica di Venezia decide di dar vita al progetto di Francesco Bonafede, docente e studioso dei “semplici”, le piante medicinali. La necessità di un luogo in cui coltivare e studiare le erbe ad uso terapeutico, potendo contare sulla loro osservazione diretta, nasceva dai frequenti errori nell’interpretazione dei testi classici e dalle numerose truffe commesse dagli speziali, i commercianti di erbe curative.

L’Orto Botanico costituisce il punto d’arrivo di una lunga tradizione scientifica cittadina in questo campo. Nel Medioevo Padova aveva conosciuto personalità di spicco, come Pietro D’Abano, traduttore di Galeno, e Giacomo Dondi, divulgatore delle opere di Dioscoride. L’Orto, realizzato da Daniele Barbaro e Pietro Da Noale, ebbe come primo curatore Luigi Squalermo detto Anguillara, che fece introdurre e coltivare circa 1800 specie. A causa dei continui furti di piante, nel 1552 la struttura dell’Orto, di forma circolare con un quadrato inscritto, fu cinta con un muro.

Oggi l’Orto Botanico accoglie 6000 specie diverse, e dal 1997 fa parte della Lista del Patrimonio Mondiale Unesco (World Heritage List) come bene culturale. Tra i preziosi alberi storici dell’Orto, il più famoso è una palma di San Pietro messa a dimora nel 1585 e resa famosa da Goethe, che le dedicò alcuni scritti e opere scientifiche; vi sono poi un platano orientale del 1680 con il fusto cavo, un ginkgo del 1750 e una magnolia forse risalente al 1786.

Da settembre 2014, a seguito dell’acquisizione di una nuova area a sud dell’Orto botanico antico, sono aperte al pubblico le nuove serre del Giardino della biodiversità, un simbolico microcosmo che permette al visitatore di sperimentare le diverse condizioni climatiche e di vegetazione presenti sulla Terra.

Non potevamo concludere il nostro percorso senza prima farci un giro nella campagna padovana di cui molto c’è da dire, sebbene noi ci soffermeremo su un prodotto in particolare, il celebre formaggio Asiago.Parliamo cioè  è un prodotto caseario di latte di vacca a pasta semi-cotta e a denominazione di origine protetta. La produzione di formaggio Asiago è oggetto di tutela D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta), deve quindi avvenire all’interno di un territorio circoscritto e solo con materia lattea proveniente da allevamenti ricadenti nel suo ambito.

La zona di produzione dell’Asiago è identificata nelle province di Vicenza, Trento e in parti confinanti con esse di quelle di Padova e Treviso, corrispondenti alla loro fascia pedemontana, inclusiva dei prati irrigui circostanti le relative, copiose risorgive.

La produzione di Asiago è tipica dell’omonimo altipiano, in cui avviene in numerosi caseifici e, nella sola estate (per il tempo di vegetazione delle erbe spontanee), nelle caratteristiche malghe di proprietà privata o, più spesso, collettiva, in virtù di usi civici antecedenti la formazione del diritto statuale italiano e da esso recepiti come fonte normativa di tipo consuetudinario.

Le malghe sull’Altopiano dei Sette Comuni sono oltre 100 e costituiscono per estensione e per numero il più importante sistema d’alpeggio dell’intero arco alpi

Il formaggio Asiago viene sostanzialmente prodotto in due tipi diversi: pressato (fresco) e d’allevo (stagionato) che a sua volta a seconda della durata della stagionatura si divide in tre categorie.

Asiago pressato: viene prodotto utilizzando latte intero. Viene lavorato a pasta semicruda e durante la prima cottura del latte a 35 °C si aggiungono fermenti specifici e caglio liquido. Ottenuta la cagliata, si procede a liberarla dal siero e a romperla a dimensione di un guscio di noce, quindi, si cuoce nuovamente a 45 °C circa. Dopo questa operazione si esegue una prima salatura a secco e si ripone la pasta in appositi stampi a pareti forate; a questo punto la forma viene pressata con un torchio, solitamente idraulico, per circa quattro ore.

Successivamente le forme vengono avvolte lateralmente con fascere di plastica, che imprimono il marchio Asiago attorno a tutta la forma e vengono messe in un locale, chiamato “frescura”, per 2-3 giorni ad asciugare. Si tolgono le fascere per eseguire l’ultima salatura mediante un bagno in salamoia per altri due giorni e infine si mettono le forme a maturare per un periodo che va dai 20 ai 40 giorni. Il formaggio finito si presenta con forma cilindrica dal diametro di 30–40 cm e l’altezza di circa 15 cm. Il peso medio di una forma è di 11–15 kg.

La crosta è sottile ed elastica; la pasta interna è morbida, burrosa, di colore bianco o leggermente paglierino e con occhiatura irregolare. Il sapore dolce e delicato, ricorda la panna e il latte appena munto. Ottimo come formaggio da tavola, si presta egregiamente anche a molteplici ricette.

Asiago d’Allevo: lavorato a pasta semicotta, con latte vaccino proveniente da due mungiture, mattutina e serale, di cui una scremata per affioramento naturale. Per questo tipo di Asiago, la cagliata viene rotta con un apposito strumento chiamato “spino” così da raggiungere la dimensione di un chicco di riso; successivamente la cagliata viene cotta altre due volte prima a 40 °C e poi a 47 °C. A questo punto il prodotto grezzo, dopo essere stato posto nelle fascere che imprimono il marchio Asiago, è salato in leggera salamoia e messo a stagionare.

La durata della stagionatura darà luogo alla denominazione di vendita:

  • Asiago mezzano, stagionato per 3-8 mesi. La pasta è compatta, anche se ancora abbastanza morbida, di colore paglierino abbastanza intenso, con occhiatura di piccola e media grandezza, molto gustoso ma ancora dolce. Ottimo formaggio da tavola, magari abbinato a delle buone pere mature.
  • Asiago vecchio, stagionato per 9-18 mesi. A pasta dura, compatta, di colore paglierino, con occhiatura media e sapore deciso, tendente al piccante.
  • Asiago stravecchio, stagionato per due anni o più. La pasta è molto dura, granulosa, di colore paglierino, con occhiatura abbastanza piccola. Il sapore è intenso, avvolgente, penetrante. Questo formaggio è un’autentica e rara “perla” per i buongustai, soprattutto se l’affinamento si protrae per oltre due anni donando al formaggio un sapore unico. Straordinario abbinato alla polenta, ai funghi e a vini rossi importanti.

Si usano localmente varie altre denominazioni, come mezzanello (dolce o piccante), che si riferisce al grado di stagionatura e ai caratteri organolettici, che diventano più marcati con il protrarsi della maturazione; vezzena, sostanzialmente un asiago d’allevo prodotto nel contiguo altopiano delle Vezzene, e altre ancora, in genere collegate al caseificio di produzione.

Il prodotto finito, ha forma cilindrica con 30–35 cm di diametro e circa 10 cm di altezza; il peso di ogni forma varia dagli otto ai 12 chilogrammi. La crosta è sottile ma dura, liscia e regolare, di colore ambrato nel mezzano e bruno nel vecchio e stravecchio. Anche la pasta interna e il sapore sono molto diversi a seconda della stagionatura e meritano quindi descrizioni separate.